Jean-Pierre Jeunet questa volta ha deciso di mirare alto con “L’esplosivo piano di Bazil”, una pellicola che narra la storia di una vendetta portata avanti con un’arma inusuale: il potere della fantasia.
Jean-Pierre Jeunet, già regista del surreale Delicatessen e de Il favoloso mondo di Amelie, questa volta ha deciso (letteralmente) di mirare alto con L’esplosivo piano di Bazil, una pellicola dinamitarda che narra, con una certa ironia, la storia di una vendetta portata avanti con un’arma inusuale: il potere della fantasia.
Dany Boon, eccellente protagonista e ideatore di quel Giù al nord, da noi trasformato con enorme successo in Benvenuti al sud, diventa, per l’occasione, una sorta di Chaplin moderno, che vive con una pallottola in testa e viene aiutato da una banda di spiantati rigattieri underground a vendicarsi di alcuni mercanti d’armi senza scrupoli, responsabili, tra le altre cose, della prematura morte del padre.
Un film citazionista che esalta Sergio Leone e Terry Gilliam, animato da qualche ossimorica contraddizione, come l’assenza di qualsiasi denuncia concreta, ma attento ad esaltare il lato surreale della vicenda. Personaggi rubati dalla strada, che diventano protagonisti di un mondo fiabesco e indolore, mentre i mercanti di armi sono ritratti nel loro essere persone qualunque: sospese le categorie del bene e del male, solo il grottesco riesce, così, a dare una logica al film. Un lavoro molto ben confezionato, dove l’ordine della narrazione non è la priorità e lo slapstick prende il sopravvento su tutto.
L’esplosivo piano di Bazil è, in controluce, un film sulla potenza e la fragilità del cinema, riuscendo a rappresentare la sintesi più efficace e completa della poetica del suo regista. Jeunet è uno di quei pochi autori dei quali si può senz’altro rintracciare uno stile ben preciso, un generatore di colori e immagini esclusivamente propri: anche qui potremmo dire di fare una gita all’interno del favoloso mondo di Bazil, altra creatura piena di candore, gentilezza e ingenuità. Parliamo di un’opera ricca, per non dire satura, di riferimenti metatestuali. Assemblando magistralmente materiali di diversa provenienza, tra i quali l’animazione tradizionale e in stop-motion, suggestioni rubate all’ art-brut e reminiscenze da nouvelle vague, Jeunet si conferma come l’autore francese che meglio ha saputo metabolizzare e fare sue le istanze postmoderne del cinema nordamericano. Non a caso, in questo suo ultimo, magico film, il discorso metalinguistico raggiunge l’apice: Bazil ed i suoi amici, artisti del recupero e del riciclaggio, sono dei geniali “bricoleurs” che si muovono, frugano e pescano tra le maglie dell’immaginario cinematografico, ricombinando gli ingredienti fino ad ottenere uno scoppiettante pastiche, divertendosi (e divertendo) come ogni buon regista dovrebbe fare.
I riferimenti al mondo del cinema sono vari, dai più raffinati ai più espliciti: Jeunet tappezza gli ambienti dove si snoda la vicenda con locandine e poster proprio del film che stiamo guardando, omaggia miti e icone pop (l’Humprey Bogart de Il grande sonno di Hawks, C’era una volta il west di Leone, il De Niro di Taxi Driver) e si concede addirittura una tenera incursione “dentro” una scena del suo primo lungometraggio Delicatessen, come per suggerire l’idea che i personaggi della cosiddetta fiction continuino a vivere anche dopo e al di fuori dei film.
Un’opera composita e sospinta da una moltitudine di desideri, questo L’esplosivo piano di Bazil; miracolosa per come il suo autore riesce a far convivere l’amore per Tex Avery e un forte spirito antimilitarista (già ben evidenziato in Una Lunga domenica di passioni). Ancora una volta, il cinema di Jeunet mette in scena personaggi al margine, corpi dalla fisicità ‘cartoonesca’, tanto figli di Charlot quanto delle creature Pixar. Utopico e naif, lucido e, a guardarlo bene, anche un po’ amaro, L’esplosivo piano di Bazil è il manifesto per eccellenza del Jeunet-pensiero: un mondo migliore c’è, ma ahinoi, solo al di là dello schermo.
Valeria Natalizia
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