IL METODO KOMINSKI: la recensione della serie, in streaming su Netflix
Sopravvivere all'invecchiamento: è questo il nucleo della storia di Sandy Kominski e il suo amico Norman, che affrontano con ironia e cinismo gli alti e bassi della terza età
IL METODO KOMINSKI è una serie televisiva di genere comico ideata da Chuck Lorre e giunta alla seconda stagione, con Michael Douglas e Alan Arkin. Prodotta da Warner Bros Television, la serie (ancora in produzione) è in streaming su Netflix dal 2018.
Chuck Lorre è sinonimo di garanzia, e con Il Metodo Kominski non aspirava certo alla palma di miglior serie televisiva comica della storia. Eppure, tra una susseguirsi di eventi che ricorda alcune delle sue celebri serie, tra cui Due Uomini e Mezzo (soprattutto la versione con Aston Kutcher) e il rimando al rapporto di un’amicizia disordinata tra l’agente Charlie Runkle e il proprio assistito Hank Moody in Californication, Lorre ha creato l’ennesima serie tv godibilissima, capace di sfruttare alcuni crismi della classica commedia di situazione (predilizione per ambientazione in interni, probabilmente ricostruzioni in studio, spesso ciclicamente riproposte, incluso i dialoghi in macchina ripresi con camera fissa frontale), per viaggiare incessantemente tra temi esistenziali estremamente seri allo stereotipo cine-televisivo hollywoodiano più stereotipato, per quanto sempre essenziale alla trattazione ironica dello scarto che passa tra l’amara insensatezza della nostra vita e il suo aspetto più involontariamente caricaturale.
In questo quadro, non potevano non farla da padroni interpreti di un certo peso attoriale internazionale come Michael Douglas e Alan Arkin, ma spiccano anche le interpretazioni di Nancy Travis (L’uomo di casa, dal 2011) e la più giovane Sarah Baker.
Douglas è Sandy Kominsky, attore che ha sfiorato il vero successo di Hollywood ma che se la cava assai bene, però, a insegnare recitazione agli altri. Il suo pregio e il suo difetto è, al tempo stesso, quello di crederci. Per questo rimane uno spiantato, con una figlia che, dopo la sua separazione dalla moglie, lo aiuta con poca fortuna nella parte amministrativa e contabile della sua scuola per attori.
Arkin è invece Norman Newlander, ricchissimo agente di Hollywood, quasi ottantenne, preciso, metodico, con una moglie che sta per morire di cancro e una figlia nevroticamente finita nel tunnel dell’alcolismo.
Due vite, insomma, opposte ma, in maniera equivalente, disastrose.
Ed è questo triste dato che li unisce a dispetto di enormi differenze caratteriali e di solidità economica, persino spingendoli a passare insieme, sebbene a volte rocambolescamente, attraverso una sempre maggiore presa di coscienza della propria vecchiaia, dell’avvicinarsi della fine e di esser ormai irrimediabilmente giunti al cospetto di tutti i loro errori, presenti e passati.