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Il 15 Giugno di cento anni fa veniva al mondo Alberto Sordi, la maschera dell’italiano medio

Alberto Sordi, Lo scapolo d’oro del cinema italiano ha interpretato quasi 200 film, rendendo indimenticabili i suoi personaggi

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Il 15 giugno del 1920, esattamente cento anni fa, veniva al mondo Alberto Sordi. Lo scapolo d’oro del cinema italiano ha interpretato, nel corso della sua carriera, quasi 200 film, rendendo indimenticabili alcuni suoi personaggi.

L’IMPATTO SULLA SOCIETÀ

Le battute dei suoi film sono straripate nel quotidiano della società italiana e sono, dopo 17 anni dalla sua morte, ancora attuali. Indimenticabile è: “Maccarone… m’hai provocato e io te distruggo, me te magno!”, che Sordi fa dire al suo Nando Mericoni in Un americano a Roma (1954), diretto da Steno; oppure, come dimenticare i tanti scherzi messi in atto da Onofrio del Grillo, il protagonista de Il Marchese del Grillo (1980), film che Mario Monicelli realizzò sfruttando al meglio le capacità istrioniche dell’Albertone nazionale? E il suo celebre gesto dell’ombrello, oltre che una sonora pernacchia, nella celebre sequenza de I vitelloni (1953) di Federico Fellini, ha scomodato addirittura sociologi e intellettuali.

IL FALLIMENTO ALL’ACCADEMIA DEI FILODRAMMATICI

La carriera di Alberto Sordi non è stata sempre facile, tutt’altro. Nel 1936, quando aveva circa 16 anni, riesce a incidere un disco di fiabe musicali per bambini e con il ricavato inizia a frequentare le lezioni di recitazione tenute da Emilia Varini, presso l’Accademia dei Filodrammatici a Milano. Ma il giovane Sordi non riesce, o forse non vuole, correggere i suoi difetti di dizione e viene espulso. La sua carriera sembrava troncata prima che iniziasse, ma come dichiarò lo stesso Sordi, anni dopo, quando l’Accademia decise di conferigli il diploma honoris causa, a salvare il suo sogno di diventare un attore fu l’avvento del Neorealismo. È con questa fortunatissima stagione cinematografica che Sordi avrà vari contatti. Oltre a doppiare un venditore del mercato di Piazza Vittoria in Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica, interpreterà il personaggio di Fernando in Sotto il sole di Roma (1948) di Renato Castellani.

IL SORDI REGISTA

Riassumere l’attività cinematografica di Alberto Sordi è un’operazione davvero complessa, essendo tra gli attori più prolifici. Dal’1937, anno della sua prima apparizione, nei panni di un soldato, nel film storico Scipione L’Africano di Carmine Gallone, Sordi ha recitato per i più grandi registi italiani. Oltre a Federico Fellini, l’attore romano ha interpretato film per Goffredo Alessandrini, Alberto Lattuanda, Mauro Bolognini e, ovviamente Steno, Mario Monicelli ed Ettore Scola. Ma è stato anche lui un regista, dirigendo circa 20 film, di cui tre in coppia fissa con Monica Vitti: Amore mio aiutami (1969), Polvere di stelle (1973) e Io so che tu sai che io so (1982).

Sono questi i migliori film diretti da Sordi, che con la Vitti crea un forte sodalizio, non solo artistico. Se Polvere di stelle è una divertente commedia che racconta le avventure di una compagnia di avanspettacolo, sul finire della seconda guerra mondiale, gli altri due film sono dedicati al rapporto tra marito e moglie. In Io so che tu sai che io so, Sordi affronta anche il problema della dipendenza dalla droga, tema di forte attualità negli anni ‘80.

Comico e tenero, è invece, In viaggio con papà, che Sordi dirige e interpreta insieme a Carlo Verdone. Il film è incentrato sul rapporto tra un padre, intraprendente e donnaiolo, interpretato da Alberto Sordi, e un figlio, amante della natura, impacciato e pasticcione, interpretato da Carlo Verdone.

IL SORDI DOPPIATORE

Alberto Sordi, in ogni modo, esprime le sue migliori qualità artistiche, come attore, ma anche come doppiatore. Nel 1937, dopo il fallimento nell’Accademia dei filodrammatici, torna nella sua Roma, dove partecipa a un concorso indetto dalla Metro Goldwyn Mayer per doppiare la voce di Oliver Hardy. Seppur privo di preparazione tecnica, Sordi vinse il concorso e iniziò una lunga carriera da doppiatore. La sua voce la ritroviamo in film italiani, come Domenica d’agosto, e internazionali, come La vita è meravigliosa e Il massacro di Fort Apache.

IL SUCCESSO CINEMATOGRAFICO

Come attore sul grande schermo, invece, la popolarità giunse tra il 1953 e il 1955. Ma già nel 1952, Alberto Sordi aveva interpretato una parte di rilievo in Lo sceicco bianco di Federico Fellini. Con Steno, Alberto Sordi raggiunge la grande popolarità, interpretando Un giorno in pretura (1953), Un americano a Roma (1954) e Piccola posta (1955). In questi film, Sordi dà vita al personaggio che caratterizzerà per sempre i suoi successivi ruoli. Il suo volto diventerà, dagli anni ‘50 in poi, la maschera ideale che rappresenterà l’italiano medio: qualunquista, approfittatore, indolente, scansafatiche e, soprattutto, infantile. Secondo Mario Monicelli, con la sua maschera, Sordi si è imposto, non tanto come attore, piuttosto come un vero autore, capace, per la prima volta, di far ridere con delle caratteriste del tutto negative.

Monicelli ha senz’altro ragione, Sordi impone il suo personaggio, non solo in filmetti di consumo come Costa azzurra (1959) di Vittorio Sala o in classici della commedia all’italiana come in Arrivano i dollari! (1957) di Mario Costa, Ladro lui, ladra lei (1958) di Luigi Zampa e Il conte Max (1957) di Giorgio Bianchi, ma anche in pellicole d’autore come i Vitelloni (1953). I vitelloni è il primo film di Fellini ad avere una distribuzione internazionale; racconta la storia di cinque ragazzi di provincia. Sordi interpreta la parte di Alberto, uno dei cinque ragazzi che passa le giornate tra partite al bigliardo e il girovagare per la cittadina senza una meta ben precisa.

I VITELLONI

È con questo film che l’attore consacra la sua maschera di italiano medio ed è famosissima la sequenza in cui, con il gesto dell’ombrello e una sonora pernacchia, si rivolge a degli operai incontrati per strada. La sequenza ebbe non pochi problemi con la censura e rischiò di essere eliminata dal film, essendo offensiva nei confronti del proletariato. Ma è proprio in questa parte del film del maestro romagnolo che si potrebbe estrarre il significato tout court della maschera di Sordi, dove risalta soprattutto la sua caratteristica codardia ed è a tratti paradossale che la rabbia degli operai si sfoghi, poi, su Leopoldo (Leopoldo Trieste), il commediografo con simpatie socialiste.

LA GRANDE GUERRA

È nel 1959 che Alberto Sordi sfrutta al meglio le sue capacità attoriali, senza rinunciare alla sua perenne maschera. E lo fa ne La grande guerra, film diretto da Mario Monicelli e vincitore, insieme a Il generale Della Rovere di Roberto Rosselini, del Leone d’oro al Festival di Venezia. Il film è ambientato al fronte durante il primo conflitto mondiale e Alberto Sordi interpreta il personaggio di Oreste Jacovacci, che in coppia con Giovanni Busacca, interpretato da Vittorio Gassman, cerca di evitare ogni pericolo pur di uscire indenni dalle operazione di guerra.

Già nella sequenza iniziale emergono le solite caratteriste dei personaggi di Sordi, che pur rispettando la sceneggiatura del film, dà ad Oreste Jacovacci una connotazione del tutto personale. Anche in questo film l’attore interpreta il tipico personaggio anti-eroe, ma in parte la sua immagine da lavativo e vigliacco viene riabilitata nel finale del film, quando viene fucilato dagli austriaci per non aver rivelato un segreto militare, mentre i suoi commilitoni credono che se la sia scampata ancora una volta.

UN BORGHESE PICCOLO PICCOLO

Nel 1977 Sordi interpreta ancora un film di Mario Monicelli, Un borghese piccolo piccolo, tratto da dall’omonimo romanzo di Vincenzo Cerami. È considerato uno dei film che segna una svolta della commedia all’italiana e che, per alcuni aspetti, indica la sua fine.

Sordi interpreta Giovanni Vivaldi, un impiegato al ministero alla soglia della pensione che vuole a tutti i costi che suo figlio Mario (Vincenzo Crocitti) prenda il suo posto. Ma, proprio il giorno del concorso, Mario viene accidentalmente ucciso durante una rapina. Il tragico evento sconvolge la tranquilla vita di Giovanni e di sua moglie Amalia (Shelley Winters). Il personaggio interpretato da Sordi riesce a farsi giustizia da sé e il finale del film sembra preannunciare la trasformazione di un tranquillo ometto di mezza età in uno spietato vendicatore. Alberto Sordi, anche in questo caso, sembra incarnare l’italiano medio, con tutti i suoi difetti e le sue ossessioni, come quella di trovare un posto fisso al suo unico figlio. Il film contiene anche sequenze comiche, come l’iniziazione di Giovanni alla massoneria, ma l’atmosfera è cupa e la maschera di Sordi, senza rinunciare alle sue principali caratteristiche, assume una fisionomia più crudele; sono ormai lontani i tempi spensierati degli anni ‘50, che sembrano cedere il passo a nuovi tempi dove i conflitti sociali si fanno più violenti e l’attore, con le sue interpretazioni, sembra riflettere questo mutamento della società italiana.

IL MARCHESE DEL GRILLO

Il marchese del Grillo è il ritorno di Alberto Sordi alla pura commedia. Il film, ancora diretto da Mario Monicelli, dà l’occasione all’attore romano di interpretare al meglio, forse per l’ultima volta, la maschera dei difetti del popolo italiano. E lo fa nei panni di Onofrio del Grillo. Il film è ambientato nella Roma papalina del 1800 e il marchese Onofrio, nobile romano alla corte di Papa Pio VII (Paolo Stoppa), passa le sue giornate nell’ozio, frequentando bettole e osterie, ma soprattutto organizzando scherzi ai danni di potenti personaggi, ma anche povera gente, come il falegname ebreo Piperno (Riccardo Billi).

Il film è un continuo gioco del protagonista, zeppo di situazione esilaranti, come lo scambio di persona tra il nobile marchese e il popolano carbonaro Gasperino, interpretato sempre da Sordi. Celebre è la battuta di Sordi/Onofrio, che rivolge ad un gruppo di popolani, coinvolti come lui in una rissa: “Io so’ io, e voi non siete un cazzo”.

GLI ULTIMI FILM

L’ultimo film di Alberto Sordi sarà Incontri proibiti (1998), ma è proprio Il marchese del Grillo l’ultima sua peculiare interpretazione, dove con la sua tipica maschera, ha dato vita ai vizi dell’italiano medio. L’attore è ormai consapevole di essere invecchiato, e non riuscire più essere specchio della società italiana e forse anche di questo parla in Nestore, l’ultima corsa (1994).

PIER PAOLO PASOLINI SU ALBERTO SORDI

È questa, ovviamente, solo una breve descrizione della lunghissima filmografia di Alberto Sordi, che oggi viene festeggiato come uno dei migliori attori italiani di tutti i tempi. Ma senza nulla togliere alle qualità artistiche di questo grande personaggio, è innegabile che quando assistiamo alla visione di un suo film, oltre a scorgere il lato comico, veniamo colpiti da una sorta di vergogna, nell’immedesimarci nei suoi personaggi. Le sue battute sono comiche, ma solo superficialmente, in realtà nascondono un universo crudele e meschino. E c’è anche chi non ci sta di appartenere al popolo raccontato da Sordi attraverso i suoi personaggi. Come Nanni Moretti che nel suo Ecce bombo (1978) attacca apertamente l’Albertone nazionale.

Ma Alberto Sordi suscitò riflessioni anche nel pieno della sua carriera. È il 1960 e Pier Paolo Pasolini pubblica sulla rivista Reporter un interessante articolo dal titolo “La comicità di Sordi: Gli stranieri non ridono“. Pasolini tocca un punto centrale del profilo dell’attore romano: il suo scarso successo all’estero. Alberto Sordi realizza pochissimi film con registi non italiani e tutti di scarso valore artistico, come A farewell to Arms di Charles Vidor, un goffo tentativo di riadattare al cinema il romanzo di Ernest Hemingway. Pasolini, nel suo articolo, ricorda come in quel 1960 Alberto Sordi era stato protagonista in tantissimi film italiani; oltre a La grande guerra, l’attore in quel 1960 aveva girato anche I magliari di Francesco Rosi e tanti altri film. Sempre secondo lo scrittore di Ragazzi di vita, Alberto Sordi ormai possedeva il monopolio della comicità in Italia. Ma all’estero non riuscivano a ridere alle sue battute.

Pasolini continua il suo articolo paragonando Alberto Sordi ad Anna Magnani. I due attori hanno molto in comune. Eppure la Magnani ha avuto successo all’estero. Il suo “particolarismo” è stato subito compreso, è diventato subito universale, patrimonio comune di diversi pubblici. La sua arte recitativa si è spogliata del colore locale, divenendo internazionale. Questo non è avvenuto per Sordi. La sua comicità appare intraducibile. L’attore sembra soffrire di una profonda forma di infantilismo, come tutti i comici. Ma mentre in altri produce bontà e altruismo, come in Chaplin, in Sordi ha prodotto egoismo, vigliaccheria e opportunismo. La bontà, ecco, quello che manca a Sordi.

Inevitabilmente, Pier Paolo Pasolini dà alla mancanza di bontà in Sordi una motivazione marxista, individuando le sue origini borghesi e non popolari come la Magnani. Ma aggiunge come causa anche la sua educazione religiosa. Sordiè stato educato in sacrestia” e una volta uscito dall’oratorio si è dovuto adattare, ha conosciuto “l’arte di arrangiarsi”(non per caso è anche il titolo di un film che l’attore interpreta nel 1954) e la cattiveria, la sua maschera di qualunquista, vigliacco e approfittatore, è diventata la sua arma. Questo processo è ben visibile a noi italiani, che conosciamo quello che c’è dietro e sotto (aggiunge Pasolini), ma all’estero no.

Fuori dall’Italia non sono cattolici, sono protestanti, puritani e se sono cattolici lo sono senza compromessi. Per un pubblico simile è difficile ridere su un modo di vita che è il peccato stesso, è il male stesso. Fuori dall’Italia non conoscono l’arte di arrangiarsi e se la conoscono ne hanno una visione molto più romantica. La comicità di Sordi, secondo Pasolini, non urterà mai la censura italiana, ma urterà chi possiede una sensibilità civica, cioè il pubblico di cultura francese e anglosassone.

Nonostante l’articolo sembri una vera stroncatura di Alberto Sordi, Pasolini consiglia all’attore di rendersi universale, inserendo nel suo personaggio quel tanto di pietà e di conoscenza del mondo, ritenendo l’interpretazione ne La grande guerra come un nuovo inizio dell’attore romano. Purtroppo, o per fortuna, Sordi ha preferito continuare a indossare la sua maschera di italiano medio, evidenziando, evidentemente, un suo limite, che oggi potremmo definire provincialismo, ma è questo suo limite a renderlo ancora oggi tanto amato.

Luca Bove ha scritto anche di Bunuel, De Sica, Troisi e altri personaggi del cinema. Leggi i suoi articoli

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