Luciano Emmer pone in forma narrativa una nostalgica rivisitazione della giovinezza. Le ragazze di Piazza di Spagna è un mélo popolare, in cui il realismo è la devota adesione a quell’assenza di pretese che è, insieme, la fragilità e la forza della gente comune. Con Lucia Bosè e Marcello Mastroianni
Le ragazze di Piazza di Spagna, un film del 1952, diretto da Luciano Emmer ed interpretato da Lucia Bosè, Cosetta Greco e Liliana Bonfatti. Nel 1998 il film è stato fatto oggetto di un remake televisivo andato in onda in tre mini-serie su Rai 2, intitolato anch’esso Le ragazze di Piazza di Spagna. Le tre protagoniste sono state interpretate da Romina Mondello, Vittoria Belvedere e Alice Evans. Nel film Marcello Mastroianni è doppiato da Nino Manfredi e Lucia Bosè da Gabriella Genta. Sceneggiato da Sergio Amidei, Fausto Tozzi e Karin Valde, con la fotografia di Rodolfo Lombardi, il montaggio di Jolanda Benvenuti, le scenografie di Mario Garbuglia e le musiche di Carlo Innocenzi, Le ragazze di Piazza di Spagna è interpretato da Lucia Bosé, Marcello Mastroianni, Cosetta Greco, Ave Ninchi, Liliana Bonfatti, Renato Salvatori ed Eduardo De Filippo.
Sinossi Tre sartine, che lavorano in centro, a Roma, ma vivono in borgata, hanno diverse storie d’amore: Marisa, fidanzata con un operaio deve scegliere tra l’innamorato e la carriera di indossatrice. Cosa sceglierà? Elena, dopo una delusione amorosa, pensa addirittura al suicidio. Per sua fortuna incontra presto un bravo giovane, che fa il tassista, che la riconcilia con la vita. Lucia accetta finalmente la corte di uno spasimante da lei costantemente respinto.
“Di questo mondo che ha una certa nobiltà nativa, discendente di un’antica cultura decaduta e rimasta in alcune forme di vita, Emmer sembrerebbe il più autentico narratore. È ormai perfino troppo bravo a mostrare appartamenti popolari sovrappopolati e camioncini carichi di famiglie che vanno a divertirsi. Ma quando avremo data la sua parte a una certa facilità, bisognerà riconoscergli un talento poetico vero nel rappresentare certi rapporti, gli amori e i litigi, e le testimonianze indiscrete dei ragazzi che dividono la vita e i drammi degli adulti. E almeno una scena di forte carica poetica, e che forse riassume tutto quanto egli ci vuol dire, d’un popolo vero ma che ha reali beni nel mondo sensibile elaborato da generazioni di artisti, e nelle giovani donne che paiono partorite dall’eterno femminino dell’arte italiana: la scena in cui il ragazzo del camioncino spia, nella sala della grande sartoria, la ragazza vestita da gran dama e trasformata in gran dama“. (Corrado Alvaro, “Il Mondo”, 1° Marzo 1952)
Luciano Emmer pone in forma narrativa una nostalgica rivisitazione della giovinezza: la luminosa, ma inquieta, freschezza delle tre protagoniste è dipinta dall’io narrante come un incerto preludio all’età matura, ossia a quella fase della vita in cui la saggezza fiorisce dal disincanto e, improvvisamente, sembra bello e giusto impegnarsi per costruire qualcosa, nonostante tutto. Le delusioni sentimentali di Elena, Lucia e Marisa sono i dolorosi passaggi che consentono di porre le proprie aspirazioni entro i limiti del realismo e della ragionevolezza, arrivando a vedere, nei piccoli doni di sincera umanità, opportunità preziose e importanti come perle rare.
Il mondo delle tre ragazze è ristretto, racchiuso in quella porzione di Roma che va dalle loro modeste abitazioni alla sartoria di Piazza di Spagna, eppure è abbastanza grande da contenere la complessa trama delle loro (dis)avventure amorose, definendo, dapprima, la loro infelicità di fidanzate ingannate, tradite o semplicemente confuse, e, successivamente, la loro rinascita come donne serene, coraggiose e determinate. La loro scomparsa dalla famosa scalinata, dove, da signorine, ogni giorno sedevano a chiacchierare sotto il sole, segnala infine il loro approdo alla stabilità, la raggiunta “sistemazione” che le ha sottratte, per sempre, alla lirica precarietà del cielo aperto. Le ragazze di Piazza di Spagna è un mélo popolare, in cui il realismo è la devota adesione a quell’assenza di pretese che è, insieme, la fragilità e la forza della gente comune.