Diretto e interpretato da Giorgio Pasotti, Abbi fede sbarca su Raiplay l’11 giugno 2020. Claudio Amendola, Robert Palfrader, Aram Kian, Gerti Drassel e Roberto Nobile, compongono il resto del cast della pellicola, remake di Le mele di Adamo (2005) di Anders Thomas Jensen. Una sorta di favola sulle scelte di vita, le ferite del passato e la fede che salva.
Abbi fede riporta Giorgio Pasotti dietro la macchina da presa
Noto soprattutto in veste di attore, Giorgio Pasotti, classe 1973, originario di Bergamo, nel 2014 esordisce dietro la macchina da presa, affiancato dal collega Matteo Bini e dà vita a Io, Arlecchino. A distanza di circa cinque anni, decide che è arrivato il momento di rimettersi in cabina di regia. Il risultato prende il titolo di Abbi fede.
La pellicola nasce da una coproduzione italo-austriaca, grazie alla quale si ha modo di percepire la straordinaria bellezza di quei luoghi altoatesini incontaminati e capaci di rimettere le cose in prospettiva. Come se bastasse l’amore e il contatto con la natura a redimere un animo dannato. D’altro canto, la vicenda narrata non brilla di originalità e certamente vale lo stesso discorso per il compartimento tecnico e artistico, nel quale non spiccano particolari elementi di interesse.
Abbi fede si propone come una sorta di favola – il finale ne è un evidente attestazione – che racconta brandelli di vita segnati dalle ferite del passato e ricuciti a forza, tra negazioni, atti criminosi e una strana fede in un’entità superiore. Se sono però apprezzabili le intenzioni di fondo, è la risoluzione che lascia un po’ a desiderare.
La scelta del “politicamente scorretto” che non ripaga
Le tematiche trattate dalla storia sono comunque complesse e alquanto delicate e la scelta di utilizzare anche tutta una terminologia e degli atteggiamenti “politicamente scorretti” risulta talvolta importuno.
Si parla di malattia, di abusi, di morte, e va bene rivolgersi alla commedia, alla sua leggerezza e alla sua ironia, per spezzare magari la pesantezza, ma bisogna fare davvero molta attenzione. Ciò che potrebbe rivelarsi vincente, si traduce qui in uno sguardo fin troppo semplicistico.
La sceneggiatura non permette alle eventuali doti attoriali di dare il loro contributo, per cui lo stesso Claudio Amendola, che aveva già dato prova di saper gestire il ruolo di ex galeotto ne Il permesso –48 ore fuori, nonostante il phisique du role, non riesce nell’impresa. Mentre Pasotti appare una macchietta, con quel calcato difetto di pronuncia e il look da giovane marmotta.
Certo, nel calderone spuntano anche elementi positivi, come l’insistere sull’importanza di avere uno scopo nella vita, al fine di trovare una propria libertà, metaforica o reale che sia, ma anche una guida, per cui quando questa viene a mancare i protagonisti si ritrovano allo sbaraglio.
Dal punto di vista della fede emergono poi altre suggestioni: il fatto che in ogni situazione si nasconda una prova, che sia necessario seguire il proprio cuore e che non esistano persone cattive, rientra però in quel discorso di semplificazione di cui sopra.
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