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Disponibile su Youtube I figli della violenza di Luis Bunuel
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5 anni agoon
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Luca BoveÈ disponibile su YouTube I figli della violenza (1950) di Luis Bunuel, vincitore del premio per la miglior regia al Festival di Cannes 1951. Nel 2003 la pellicola è stata inserita dall’Unesco nel Registro della Memoria del Mondo.
I figli della violenza, tra Neorealismo e Surrealismo
Dopo il suo esordio surrealista, tra la Spagna e la Francia, realizzando Un Chien andalou (1929) e L’age d’or (1930), Luis Bunuel si trasferisce negli Stati Uniti, dove lavora come direttore di doppiaggio e successivamente in Messico, dove riprende la sua attività di regista. I film che il regista realizzò in Messico erano tutti, o quasi, su commissione, concepiti nell’ambito dell’industria cinematografica messicana. Nonostante ciò, il regista non abbandonò il suo gusto dissacrante, l’ironia e l’attacco ai valori dominanti della società borghese. E I figli della violenza (Los olvidados, titolo originale) ne è un esempio.
Il film è ambientato in una zona periferica di Città del Messico. Jaibo, appena fuggito dal riformatorio e i ragazzi, poco più che bambini, della sua banda, vivono tutti in una condizione di assoluta miseria e commettono le azioni più brutali per ottenere pochi spiccioli, come l’aggressione a Don Carmelo, un cieco suonatore ambulante. Jaibo, con l’aiuto inconsapevole di Pedro, ammazza a bastonate Julian, ritenuto responsabile del suo arresto. Nei giorni successivi, quando viene scoperto il cadavere di Julian, Pedro è ossessionato dai sensi di colpa, Jaibo, invece, non dà importanza alla morte di Julian e si preoccupa solo di scappare dalla polizia; quando va a fare visita a Pedro, che intanto ha trovato lavoro presso un arrotino, ruba un coltello con il manico d’argento. Del furto è accusato lo stesso Pedro, che è costretto a fuggire e trovare un nuovo lavoro presso un giostraio. Ma viene catturato dalla polizia e portato in riformatorio, dove il direttore gli dà fiducia e gli affida cinquanta pesos per svolgere una commissione fuori dall’istituto. Per strada incontra ancora Jaibo, che lo deruba, per poi ammazzarlo.
I figli della violenza, apparentemente, si avvicina molto al Neorealismo e molti critici lo considerarono un’espressione neorealista del mondo messicano, d’impronta bunueliana
Senza dubbio il film ha molto tratti del Neorealismo e in alcuni momenti ricorda Sciuscia (1946) di Vittorio De Sica. Dello stesso anno è Miracolo a Milano, sempre di Vittorio De Sica. D’altronde, I figli della violenza condivide con la favola di De Sica e Zavattini l’atmosfera onirica e la denuncia sociale, ma le modalità con cui vengono realizzati i due film sono totalmente diverse. Luis Bunuel è un regista singolare, per molti aspetti unici nella storia della cinematografia mondiale, e definire il suo cinema, o dare un interpretazione alle sue pellicole, è un’operazione ardua e in alcuni casi impossibile. Il Neorealismo, pur considerato molto importante, non era particolarmente amato da Bunuel, che lo riteneva privo di elementi enigmatici e fantastici, le vere basi dell’arte cinematografiche, secondo il regista spagnolo.
I figli della violenza ha senza dubbio un contesto neorealista. La sequenza introduttiva sembra dirottare la pellicola addirittura verso il genere del documentario ma, subito dopo, il regista mette in pratica il suo particolare stile e tutto cambia
La sequenza della corrida, con brevi inquadrature e un montaggio vivace, viene usata per presentare i protagonisti del film, tra cui Jaibo, il capo della banda, che appare ripreso dal basso, come una figura eroica. Ma sono proprio i personaggi ad allontanare Los olvidados dal Neorealismo. Antonio Ricci di Ladri di Biciclette, Pasquale e Giuseppe di Sciuscià e soprattutto Totò di Miracolo a Milano sono personaggi positivi, che non commettono azioni ai danni del prossimo. Ne I figli della violenza, invece, i vari ragazzini, soprattutto Jaibo, sono dei veri mostri, capaci di ogni malefatta. La loro crudeltà supera la realtà stessa, diventando paradossale, surreale.
Bunuel non si fa remore e ci presenta la malvagità dei suoi personaggi senza mezze misure. Dopo le sequenze iniziali, ci mostra i ragazzini in azione che aggrediscono con pietre e bastoni Don Carmelo, il suonatore ambulante. Ma proprio quando la sequenza acquista il suo valore realista, il regista sorprende lo spettatore inserendo il suo elemento surrealista: Don Carmelo cade al suolo ferito e accanto a lui appare una gallina nera, che sembra dialogare con il povero cieco. Anche la sequenza dell’assassinio di Julian sembra realista, o meglio, neorealista, ma anche questa volta, grazie alla fotografia e alla messa in scena, si va oltre e il tutto diventa surreale.
I figli della violenza di Luis Bunuel sembra porsi a cavallo tra il Neorealismo, la denuncia sociale e la capacità di trasmettere qualcosa che superi la realtà
Verso il finale, quando Pedro è per strada con i cinquanta pesos del direttore viene aggredito e derubato da Jaibo, che poi scappa su un autobus e vediamo la figurina di Pedro che si allontana diventando sempre più piccola. L’immagine non può che ricordare la celebre sequenza di Pina (Anna Magnani) in Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini. Questa sequenza potrebbe essere una citazione o addirittura un omaggio al cinema Neorealista ma, appunto, Bunuel è un cineasta singolare, atipico, e forse non era sua intenzione omaggiare Rossellini e non è escluso che abbia fatto addirittura sarcasmo nei confronti del maestro italiano. Del resto una delle principali caratteristiche del cinema di Bunuel è il sarcasmo, il capovolgimento della realtà con le sue regole. Come farà vent’anni dopo realizzando Il fantasma della libertà (1974), dove un gruppo di amici si riuniscono per defecare e si appartano per mangiare.
Ne figli della violenza, comunque, tutti i personaggi sono vittime, e Pedro lo è in particolare. La sequenza del suo sogno, o meglio del suo incubo, è la più interessante del film
Dopo aver partecipato, anche se inconsapevolmente, all’omicidio di Julian, Pedro è tormentato, ossessionato dai sensi di colpa. Nel sogno di Pedro il regista usa tutti gli elementi del surrealismo. La sequenza è realizzata con le immagini rallentate e anche la presenza della madre acquista una valenza fantastica, come quella della vittima, e il tutto sembra avvenire in un acquario, deformando la realtà. Una delle caratteristiche ricorrenti del cinema di Luis Bunuel è la misoginia e ne I Figli della violenza emerge in maniera inaspettata, nel rapporto che si viene a creare tra la madre di Pedro e Jaibo. La donna odia suo figlio, frutto di una violenza carnale, e decide di avere un rapporto sessuale con il ragazzo, che poi sarà anche l’assassino di suo figlio.
L’erotismo diventa un gioco che nell’economia generale del film assume il tono di una forte provocazione nei confronti della società, del mondo convenzionale, che Bunuel attacca e rovescia in ogni momento. Il regista disprezza tutto ciò che è convenzionale, sociale, soprattutto le istituzioni e il direttore, che sembra l’unico personaggio positivo del film, ma in realtà rappresenta l’ipocrisia della società borghese. È questa un’altra operazione surrealista che il regista introduce all’interno del film.
La fine di Pedro non può che essere la morte, la sua sconfitta per mano di Jaibo, suo carnefice. Ma muore anche lui, ed è interessante che la morte di quest’ultimo venga immediatamente commentata da Don Carmelo, il cieco, che nel corso del film acquista il ruolo di veggente, quasi un Tiresia, ma diventa anche un pedofilo, quando prova ad approfittare di una ragazzina. L’ultima sequenza del film è l’ultima crudeltà del regista. Il cadavere di Pedro viene chiuso in un sacco e caricato su un asino, mentre passa sua madre che lo cerca.
Bunuel con questo film racconta senza orpelli, la crudeltà dell’uomo nel vivere con gli altri uomini e lo fa al suo modo, superando la realtà in maniera surreale.