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Massimo Troisi: Il nostro ricordo
Un grandissimo talento e la capacità di arrivare al cuore della gente: Massimo Troisi
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7 mesi agoon
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Luca BoveMassimo Troisi ci lasciava nella notte del 4 giugno 1994.
Da poche ore aveva concluso le riprese del suo ultimo film (il “Postino”) ed era a casa della sorella Annamaria al Lido di Ostia.
Cedette il cuore, quel cuore che tanto aveva fatto penare l’artista napoletano, già quando era piccolo, ma proprio piccolo, senza neanche un po’ di barba, come avrebbe detto lui con il suo caratteristico tono sarcastico.
Dalla Smorfia all’Oscar con Il postino
L’unico modo per evitare la morte, sarebbe stato un trapianto di cuore, operazione che Massimo aveva rimandato per realizzare Il Postino (1994), scritto insieme ad Anna Pavignano, tratto dal romanzo Il postino di Neruda del cileno Antonio Skarmeta.
In occasione dell’anniversario della sua morte è stata pubblicata recentemente anche una graphic novel dedicata alla vita dell’attore. Il volume (firmato da Tomasso Vitiello, vincitore del Premio Siani con un un fumetto sull’omicidio di Angelo Vassallo, e Luca Albanese, disegnatore formatosi alla Scuola internazionale di Comics e già autore di Exit: Dossier sul fine vita) è pubblicato dalla casa editrice Beccogiallo.
Si parte dal suo esordio nei panni di Pulcinella, personaggio interpretato nei piccoli teatri della sua San Giorgio a Cremano, alle porte di Napoli, dove nacque nel 1953, per poi passare alla fondazione de La Smorfia, insieme a Lello Arena e Enzo Decaro; infine, la sua carriera cinematografica, consacrata nel 1996 con la candidatura al Premio Oscar.
Dopo alcuni spettacoli al teatro Sancarluccio di Napoli, il trio Troisi-Arena-Decaro approdò alla RAI nel programma Non Stop, andato in onda tra 1977 e il 1979. Ma è con Luna Park, condotto da Pippo Baudo, che La Smorfia ottiene un successo nazionale e dà l’occasione a Massimo Troisi di realizzare il suo primo film. Quando arrivò la proposta dal produttore Mauro Berardi, Troisi non aveva alcuna competenza tecnica per dirigere un film, ma nonostante ciò accettò la sfida e, insieme ad Anna Pavignano, iniziò a mettere in ordine i tanti fogliettini su cui aveva appuntato, nel corso degli anni, svariate storie e situazione: così nacque Ricomincio da tre (1981).
Il film racconta la storia di Gaetano (Massimo Troisi ), un ragazzo timido e introverso che, stanco della vita di provincia, decide di partire e raggiungere Firenze, dove vive sua zia. Dopo alcuni giorni, viene raggiunto da Lello (Lello Arena), suo amico. A Firenze, Gaetano incontra Marta (Fiorenza Marchegiani ), i due s’innamorano e vanno a vivere insieme. Nel finale, Marta comunica a Gaetano di aspettare un bambino, ma non è sicura che il padre sia lui. Dopo uno scontro tra i due, il film si conclude con Marta e Gaetano indecisi sul nome del bambino: “Massimiliano… N0..! Ugo… se proprio è… Ciro…”
L’esordio cinematografico e il successo strepitoso di Ricomincio da tre
Durante le riprese del film, Sergio D’Offizi, direttore della fotografia, avvertì il produttore che l’audio delle scene realizzate era quasi del tutto incomprensibile. Troisi, soprattutto nelle parti recitate insieme ad Arena, parlava un napoletano molto stretto. Il rischio di produrre un film che non superasse i confini regionali era molto grande. Ma quando il 5 Marzo 1981 la pellicola uscì nelle sale cinematografiche fu un grande successo. Ricomincio da tre incassò circa 15 miliardi di lire, risultando campione d’incassi nella stagione 1980-81, ottenendo anche numerosi riconoscimenti, tra cui il David di Donatello come miglior film.
Ricomincio da tre diventa autobiografico senza volerlo essere. Massimo Troisi e Anna Pavignano non raccontano le loro vicende personali, ma le loro tematiche. In questo suo primo lungometraggio Troisi accenna a temi che poi verranno approfonditi nelle successive opere. Centrale è sicuramente la questione dell’amicizia. Il rapporto tra Gaetano e Lello dà vita ad alcune situazioni davvero esilaranti. Come la sequenza in cui i due discutono sul miracolo che il padre di Gaetano (Lino Troisi) aspetta da anni, cioè la ricrescita di una mano che non c’è. Il film pecca in molti punti, con una regia statica, più teatrale che cinematografica, ma sono svariati i momenti di vera comicità, come il dialogo tra Gaetano e Robertino (Renato Scarpa), oppure la sequenza finale dove Gaetano e Marta decidono il nome del bambino.
Con Scusate il ritardo Troisi affina la tecnica registica e conferma il suo talento
Dopo due anni da Ricomincio da tre, Massimo Troisi realizza il suo secondo film, Scusate il ritardo (1983). Il titolo è un riferimento sia al tempo trascorso da Ricomincio da tre, sia ai diversi tempi che l’uomo e la donna hanno nel rapporto di coppia, tema centrale di questo secondo film dell’attore e regista napoletano. Vincenzo (Massimo Troisi) è un giovane disoccupato con scarsa voglia di lavorare e praticamente mantenuto dalla madre, dalla sorella Patrizia (Lina Polito) e dal fratello (Franco Acampora), un attore affermato. L’inerzia e l’apatia di Vincenzo vengono turbate dalla vicissitudine amorosa dell’amico Tonino (Lello Arena), che non riesce a uscire dal tunnel della disperazione perché abbandonato dalla fidanzata. Vincenzo, dal canto suo, incontra Anna (Giuliana De Sio), ma i due vivono la storia con tempi diversi.
Con questo secondo film, Troisi sembra acquisire maggior padronanza della macchina da presa, come dimostra la sequenza iniziale, in cui scorrono i titoli di testa. Interessante è anche il lungo piano sequenza dove Tonino, sotto una pioggia insistente, sfoga la sua rabbia per l’abbandono subito dalla sua ragazza, che ha preferito uno svedese. Notevole è la recitazione di Lello Arena, che con questo film conquista il David di Donatello per il miglior attore non protagonista. Ma è sempre Massimo Troisi a dettare i tempi con il suo caratteristico stile, fatto di ripetizioni, sospensioni e un continuo tornare indietro con le sue battute, dove la parola sembra non approdare a nulla, creando un giocoso e comico effetto nonsense. È con questo film, molto probabilmente, che Troisi diventa consapevole delle sue capacità attoriali. In lui si fondano le due principali tradizioni della recitazione napoletana: il naturalismo, la capacità di riempire lo spazio con il corpo e la mimica e, allo stesso tempo, l’arte della parola e i giochi che ne conseguono. In Troisi sembra avvenire la fusione di Eduardo e Totò.
Scusate il ritardo è un film delizioso dove lo spettatore non può che ridere ascoltando i dialoghi dei protagonisti, come quando Gaetano espone la sua teoria sulla crisi dell’agricoltura: “Ma và fà l’operai, a cusì i sold ti dann rind a bust e nun i pierd”. Ma è percepibile anche un forte senso claustrofobico, laddove è quasi interamente girato in interni, e quando ci sono esterni sono ambientati di notte o sotto la pioggia. Questa sensazione claustrofobica, aggiunta a un ermetismo linguistico molto forte (in alcuni punti il napoletano usato in Scusate il ritardo è più estremo di Ricomincio da tre), rivelano una caratterista fondamentale della personalità di Troisi. E cioè la volontà di nascondersi, di sottrarsi alle regole della società, ma anche a quelle cinematografiche. Troisi appare spaventato e sembra rifiutare un successo che ormai ha mutato per sempre la sua vita, lui un semplice figlio di un ferroviere.
Questa sua caratterista lo avvicina molto al cinema di Nanni Moretti. Pur essendo due autori molto diversi, come ci ricorda il critico Mario Sesti, il loro cinema ha molti lati in comune, come quella vocazione di eliminare ogni effetto spettacolare, euforico e concentrarsi principalmente sul messaggio che i loro personaggi vogliono trasmettere. I film di Massimo Troisi sono nati per raccontare delle storie, la vita di personaggi del tutto normali, che spesso e volentieri scappano dalle loro responsabilità. La sua esigenza non era quella di realizzare delle commedie, piuttosto era il proprio porsi davanti e dietro la macchina da presa a rendere le sue pellicole tali.
Insieme a Benigni realizza e interpreta Non ci resta che piangere, film di una forza comica memorabile
L’unico film concepito al solo scopo di far ridere è Non ci resta che piangere (1984) scritto, diretto e interpretato insieme a Roberto Benigni. I due protagonisti, Mario (Massimo Troisi ) e Saverio (Roberto Benigni), si ritrovano a Frittole, un immaginario borgo toscano nel 1400, quasi 1500. Inizialmente credono che sia uno scherzo, ma poi si rendono conto che non lo è per nulla. Mario e Saverio incontrano Vitellozzo (Carlo Monni), il quale trascina i due in una terribile faida con Giuliano De Capecchio, che sta sterminando la sua famiglia. Nel contesto rinascimentale, Saverio sembra subito a suo agio, mentre Mario non vuole saperne di ambientarsi; ma durante una funzione religiosa, quest’ultimo fa la conoscenza di Pia (Amanda Sandrelli), con la quale inizia a vedersi. Saverio è geloso del suo amico e lo convince a lasciare il borgo per mettersi in viaggio per la Spagna, per raggiungere Cristoforo Colombo e dissuaderlo dalla partenza per l’America. Il film ha delle sequenze memorabili, come l’incontro di Saverio e Mario con Leonardo Da Vinci (Paolo Bonacelli), oppure l’attraversamento della dogana, con un dialogo di una comicità unica, che oggi ci appare profetica, visto le vicende vissute negli ultimi mesi.
Troisi e Benigni con questo film sembrano giocare continuamente con lo strumento cinematografico e le sue componenti, come i costumi, estrosi e appariscenti, ma anche per quanto riguarda la procedura di montaggio e le inquadrature. Con Non ci resta che piangere la macchina da presa sembra diventare un giocattolo, una palla, come quella che Pia fa volteggiare “nell’aree”.
Il film della maturità: Le vie del Signore sono finite
Alla viglia del suo quarto film, Massimo Troisi si convince di diventare anche produttore e, insieme a Mauro Berardi e Gaetano Daniele, fonda la Esterno Mediterraneo. Il primo lungometraggio che realizza con la nuova casa di produzione è Le vie del Signore sono finite (1987). Il film è ambientato ad Acquasalubre, località di fantasia, in epoca fascista. Camillo (Massimo Troisi) soffre di una malattia psicosomatica, ha infatti perso l’uso delle gambe, senza avere nessuna lesione, dopo la fine della storia d’amore con Vittoria (Jo Champa), una ragazza francese da anni in Italia. Nel treno da ritorno da Lourdes, Camillo, accompagnato da suo fratello Leone (Marco Messeri), incontra Orlando (Massimo Bonetti) che, a differenza di Camillo, è realmente paraplegico. Camillo e Orlando sono diversissimi, ma comunque riescono a creare una profonda amicizia.
Quando Vittoria lascia Bernard (Andre Landais), il suo nuovo fidanzato, Camillo torna a camminare, nella speranza di riconquistare la ragazza, ma lo rivela solo a suo fratello Leone per non dispiacere Orlando. E sempre Camillo, con l’aiuto di Vittoria, organizza un incontro per il suo amico Orlando con Anita (Carola Stagnaro), ma Orlando s’innamora di Vittoria. Dopo tante peripezie, tra cui l’arresto di Camillo, i tre si perdono di vista. Ma Camillo riesce a raggiungere Parigi, dove ritrova Vittoria.
Con questo film Troisi raggiunge la sua maturità artistica. Il film risulta un’opera più matura, sia a livello narrativo, con la cornice della storia principale (il giovane medico che racconta attraverso delle lettere la vicenda di Camillo), sia a livello di regia, con una maggior padronanza della macchina da presa. In Le vie del Signore sono finite Troisi, oltre a riproporre sue vecchie tematiche, come l’amicizia, l’amore e il rapporto con la religione, ovviamente sempre in chiave ironica, per la prima volta elabora anche un esplicito messaggio politico. La pellicola può essere considerata un’opera antifascista. È molto forte la critica espressa nei confronti del regime di Mussolini. Oltre alla celebre battuta di Camillo: “Per fare arrivare i treni in orario non c’era bisogno di farlo capo del governo, bastava farlo capostazione“. È molto interessante la sequenza in cui si reca a Roma per brevettare le sue invenzioni, una lozione contro la caduta dei capelli e un’altra contro ogni forma di dolore.
Continua la riflessione sui sentimenti e il rapporto di coppia: Pensavo fosse amore… invece era un calesse
L’ultimo film di Troisi regista è Pensavo fosse amore… invece era un calesse (1991). Con questo film si abbandona, in parte il suo ermetismo linguistico. Il suo napoletano sembra smussato a favore di una formula più italianizzata e anche la regia risulta molto più audace, con lunghe carrellate e l’uso del dolly in varie sequenze. Il film ha come protagonista Cecilia (Francesca Neri) e Tommaso (Massimo Troisi). I due stanno per sposarsi, ma lei si tira indietro all’ultimo momento. Cecilia inizia una relazione con un altro uomo. Ma Tommaso riesce a riconquistarla, ma dopo un po’ è lui che lascia lei.
Pensavo fosse amore… invece era un calesse chiude un ciclo che Troisi aveva inaugurato con Ricomincio da tre, dove aveva iniziato un suo personale discorso sui sentimenti. In questo suo ultimo film espone le sue idee sul rapporto di coppia, che si può sintetizzare nella battuta conclusiva: “L’uomo e la donna sono le persone meno adatte per stare insieme”.
Il postino, le nomination agli Oscar e la prematura scomparsa
Il Postino (1994) interpretato da Massimo Troisi e Philippe Noiret, nel ruolo di Pablo Neruda, viene diretto da Michael Radford. Troisi non si sente pronto di dirigere un film così importante, è consapevole di non essere giunto a una maturità stilistica adeguata per un progetto così ambizioso. Il film, comunque, dona all’attore fama internazionale, ottenendo ben cinque candidature al Premio Oscar. Con questo film l’artista napoletano aveva intenzione di aprire una nuova fase della sua filmografia, realizzando film meno intimi e con un messaggio politico molto forte. Purtroppo non ebbe tempo e ci resta solo il rammarico di ciò che poteva essere il suo nuovo cinema dopo il successo in America.
Massimo Troisi è stato definito in tantissimi modi, ma forse la definizione, o meglio la dedica più bella, più toccante è quella di Francesca Neri
“Angelo e marionetta; e allora si che c’è spettacolo”.