Cinema e sceneggiatori: Film girati in una stanza ce ne sono molti, da La finestra sul cortile a Madre, potrei citarne molti di più prodotti nell’arco degli ultimi 70 anni. Ho scelto due titoli prodotti in epoche differenti, per confrontare la scrittura di questa scelta cinematografica.
Il cinema che esalta le vite dei personaggi
Il cinema è essenzialmente immagine in movimento. Colore e inquadrature scelte, danno il sapore di cosa stiamo vedendo. La storia si snocciola attraverso gli ambienti, i personaggi e le loro vite. Ogni personaggio che incontriamo nel film, è portatore di cambiamento, nell’ambiente in cui vive o nelle persone che incontra.
In una storia, ritroviamo sempre un tema centrale, che diventa spinta per i personaggi, qualunque esso sia, determina le scelte dei protagonisti, che si muovono intorno al tema centrale e portano con loro dei sotto temi.
Torniamo alla storia. Talvolta un banale pretesto innesca una serie di eventi che volgono a epiloghi estremi. Se l’alibi utilizzato porta i protagonisti in una stanza, ecco che lo sceneggiatore ha un compito davvero complicato e rischioso.
Film girati in una stanza. Che cosa significa girare un film in un appartamento
L’impossibilità di accompagnare lo spettatore attraverso diversi scenari, costringendolo in una stanza con i protagonisti, obbliga lo sceneggiatore, e successivamente, il regista e il direttore della fotografia, ad utilizzare le loro armi con precisione chirurgica.
I rischi saltano subito agli occhi. Il ritmo e la dinamicità sono a rischio e si potrebbe cadere nella noia. Questo è il nodo cruciale. Per rendere la dinamicità in un ambiente chiuso, serve una scrittura brillante.
L’importanza dei dialoghi nei film girati in una stanza
La riflessione sulla necessità di dialoghi vividi per ottenere il ritmo è facilmente rilevabile in pellicole come Festa per il compleanno del caro amico Harold di William Friedkin (1970), tratto dalla pièce The boys in the band di Mart Crowley, che ha firmato la sceneggiatura del primo film sull’omosessualità.
Lo sceneggiatore ci presenta subito alcuni protagonisti, intenti nei loro impegni, muoversi nella frenetica New York, prima di raggiungere la festa di compleanno del loro caro amico.
In pochi minuti siamo nell’appartamento e poi nella terrazza che accoglierà gli ospiti della festa. Inaspettatamente bussa alla porta un vecchio amico dell’università, l’unico eterosessuale. La sua presenza trasformerà la festa, inducendo involontariamente gli ospiti ad una seduta analitica collettiva che farà uscire veleni e rancori in un gioco al massacro.
Quando l’alibi per chiudere i nostri protagonisti in una stanza, nel caso di Carnage di Roman Polanski (2011), è un banale bisticcio tra bambini, diventa la miccia che darà fuoco ad un intenso confronto/scontro tra due realtà.
Le due coppie di genitori decidono di incontrarsi per risolvere civilmente il piccolo incidente tra i loro figli. Presto i convenevoli si trasformano in velenosi battibecchi e i loro comportamenti degenerano in inaspettate situazioni assurde.
Il ritmo sembra essere segnato da un tentativo costante di accomiatarsi mai realizzato. Il finale ci rivela i protagonisti esausti in un salotto che, come i protagonisti, non ha più l’aspetto iniziale.
Anche in questo caso si tratta di una pièce teatrale Il dio del massacro di Yasmine Reza, che insieme al regista è stata premiata nel 2012 con il César per il miglior adattamento.
La scrittura di questa tipologia di film è un’operazione molto delicata e l’ombra del fallimento è dietro le spalle. Servono coraggio e un notevole talento, oltre ad una grande cultura visiva, perché lo sceneggiatore scrive ciò che vede e rende visibile l’animo dell’uomo.