Cinema della memoria
L’opera di Giuseppe Varlotta è un poetico ritratto dell’Italia sotto occupazione nazista. Presentata qualche anno fa al Giffoni Film Festival, è ora sulla piattaforma IndieCinema.
“Il film è ispirato a fatti realmente accaduti nell’astigiano…”, avverte la didascalia posta all’inizio di Zoé, curatissimo lungometraggio in costume disponibile, già da qualche giorno, sulla piattaforma IndieCinema. E tale precisazione anticipa in parte le peculiari coordinate spazio-temporali di questa piccola, coraggiosa produzione indipendente.
Il lavoro di Giuseppe Varlotta si colloca infatti sul solco di un cinema che, dal Neorealismo agli esiti contemporanei del filone resistenziale, ha saputo rievocare con grande dignità alcune delle pagine più dolorose e drammatiche della nostra Storia recente: nei primi decenni del nuovo millennio, tra gli approcci più genuini all’argomento, vanno ricordati senz’altro quello di Guido Chiesa ne Il partigiano Johnny (2000) e, soprattutto, quello di Giorgio Diritti ne L’uomo che verrà (2009), il più vicino tematicamente a Zoé essendo ispirato a un altro e più celebre eccidio nazista, quello di Monte Sole.
Una piccola perla da riscoprire
Proprio nel mezzo, cronologicamente, va a situarsi la pellicola diretta nel 2008 da Giuseppe Varlotta, magari un po’ differente dai titoli precedentemente citati per quella sua ostentazione di un linguaggio poetico, surreale, per qualche verso anche naïf ed onirico, almeno nel modo in cui certe crude vicende belliche vengono accostate all’esperienza della bambina protagonista. In estrema sintesi è un toccante discorso filmico sull’innocenza violata e sulle disgrazie della povera gente, quando la guerra prova a cancellare ogni traccia di umanità.
Per quanto di Zoé, malauguratamente, negli ultimi anni si fossero un po’ perse le tracce, non è certo una sorpresa che all’epoca fosse stato presentato proprio al Giffoni Film Festival, rassegna tradizionalmente vicina ai ragazzi. Notevole di lì in poi il suo curriculum: premiato infatti al Salento International Film Festival (Miglior attrice protagonista), al MIFF Milano International Film Festival (Miglior Montaggio ), al Terre di Siena Film Festival (Premio della Critica “Music Feel”), al Festival Internazionale del Film di Brazov (Migliori Costumi ), al Busseto Film Music Festival (Migliore colonna sonora ), al Festival Internazionale “Storie nella Storia” (Migliore Regia, miglior attore protagonista, miglior attrice non protagonista).
Tutto ciò a riprova di come l’autarchica generosità, l’eccentricità e la passione riscontrabili nella messa in scena avessero già sortito un effetto positivo su diverse platee.
L’odissea di una bimba coraggiosa
Certo, qualche eccesso di natura para-felliniana nel racconto e altri passaggi drammaturgicamente poco chiari possono talvolta spiazzare lo spettatore, sommandosi a quelle piccole stonature che a volte penalizzano il panorama indipendente di casa nostra. Eppure, alla cupa e perigliosa avventura toccata in sorte a Zoé, bimba in fuga da un paesello dell’astigiano dove i nazisti hanno appena fatto strage, non si resta affatto insensibili, anche in virtù della grazia infusa dall’esordiente Monica Mana ai suoi incontri nelle campagne circostanti con altri personaggi ugualmente stravolti, disperati, confusi. Il resto del cast riserva poi non poche sorprese: da un umanissimo Francesco Baccini (coinvolto pure nell’intensa colonna sonora) al carognesco Bebo Storti, da un’invecchiata ma sempre ruspante Serena Grandi ad Antonio Catalano, che interpreta qui la toccante figura di Dado lo scemo del villaggio. Per dar vita tutti quanti insieme a un apprezzabile esempio di cinema in costume, col quale rievocare un tragico episodio dell’occupazione nazista rispettosamente, col pathos dovuto e secondo i crismi di un lirico minimalismo.