Focus Italia

La storia, le frasi il film in streaming: Felicia Impastato

Published

on

Ottima scelta, quella della Rai, che la vigilia della strage di Capaci ha riproposto il film tv di Gianfranco Albano, Felicia Impastato ricordandone la storia, le frasi e le ambientazioni. Nei giorni precedenti, il fratello di Peppino Impastato, Giovanni, ha invitato gli italiani a ritrovarsi la stessa sera del 22 maggio insieme davanti al televisore, per stare uniti in questa importante doppio anniversario. Ma anche per dimostrare alla Rai che vale sempre la pena dare spazio a contenuti di qualità. Peccato, le fastidiosissime interruzioni pubblicitarie che, per fortuna, nonostante l’eccesso, non sono riuscite a impedire l’emozione, grazie all’intensità del film.

Raccontare il dolore

Ci si commuove alle parole di Felicia (“Me l’avete ammazzato voi a mio figlio” e ”Ve l’avevo detto che questo giorno veniva”). Non è facile raccontare un dolore così, la disperazione che, alla perdita di un figlio, aggiunge le false accuse delle autorità, impegnate a infangarne il nome. Un doppio omicidio, una doppia violenza, impuniti per oltre due decenni. Ma Gianfranco Albano c’è riuscito. Quando Felicia si trova sola, batte forte i pugni contro le tempie, tanto da svenire. Scoperta, assicura che non ne morirà, non prima di aver dato giustizia al figlio Peppino. Giustizia e non vendetta, è la grande lezione di civiltà offerta da una madre coraggio come lei, importante per la  nostra storia.

L’intuizione di Felicia Impastato: la casa museo

Per gli altri, invece, Felicia apre inaspettatamente la casa, attraverso quella porta finestra che dà direttamente sulla strada, come in tante abitazioni del sud. I paesani se ne discostano, timorosi di solidarizzare con chi denuncia la mafia, con chi accusa pubblicamente Gaetano Badalamenti, responsabile di questo assassinio e boss temuto anche dai carabinieri. Rivediamo così quei cento passi del film di Marco Tullio Giordana, dalla casa degli Impastato a quella di Badalamenti, oggi bene confiscato alla mafia e sede della biblioteca comunale.
In più, Felicia ha l’intuizione di trasformare casa sua in un museo e aspettare fiduciosa: prima o poi qualcuno che ama la giustizia come lei arriverà. E qualcuno a Cinisi arriva davvero. Nel tempo sempre più persone, fino a trasformare le giornate commemorative di maggio in opportunità di rievocazione collettiva. Conferenze, confronti, iniziative e manifestazioni contro la mafia sempre più sentite e affollate. Quest’anno, purtroppo no, e la visione del film, come ci ha raccomandato Giovanni Impastato, è stata ancora più significativa.
Ci fa piacere rivedere la foto di Peppino nella casa museo della madre. Il suo volto non compare in questo film, nemmeno nelle scene ripetute dell’omicidio che fanno tanto male. Perché qui è più vivo che mai nel ricordo, dei familiari degli amici e di tutti coloro per cui è diventato il simbolo della legalità negata. Recuperata attraverso l’ostinazione di Felicia e Giovanni, la partecipazione dei siciliani onesti, finalmente, e l’Italia tutta (a tratti, ahinoi, così disonesta!).

Ambientazione siciliana vera e struggente

Bellissimo l’ambiente siciliano, così reale, nella narrazione! Il cibo non è quello stereotipato dell’arancino di Montalbano, ma una pasta coi tinniruma, la verdura molto ordinaria al sud che non sono mai riuscita a descrivere, finché non è comparsa anche sulle bancarelle dei mercati rionali milanesi. Sono le foglie della zucchina, quella lunga (in dialetto, a cucuzza). Il tavolo di casa Impastato ne è pieno e Felicia, sapientemente, monda le foglie larghe prima di cuocerle, e condire la pasta che metterà in tavola la sera dell’omicidio. Sullo sfondo la voce di Peppino alla radio, in quello che sarà il suo ultimo discorso. Le parole sono coperte dalla musica, si colgono però commissione edilizia, grande capo e Tano Seduto, l’epiteto con cui dileggiava Badalamenti. Struggente il contrasto tra la quotidianità del cibo servito nei piatti al figlio Giovanni e alla fidanzata, e l’attesa, in una serata che, non lo sanno ancora, cambierà la loro vita per sempre. “Quando uno è impegnato a fare il comunista mica può arrivare puntuale a cena”, dice Felicia, giustificando come sempre i ritardi e le scelte del figlio. Il siciliano parlato da Lunetta Savino è perfetto, a parte le due volte in cui le sentiamo dire “mica”, tipica negazione del Nord. Stona un po’, ma noi non l’abbiamo conosciuta di persona; chissà che non fosse un vezzo tutto suo, tutto personale.

Interpretazione intensa e mai retorica di Lunetta Savino

Intensissima l’interpretazione di Lunetta Savino, al pari di quella di Lucia Sardo, vent’anni fa, ne I cento passi. Lucia Sardo però lì era soprattutto la madre di un Peppino Impastato vivo, quella che, quando il padre (il bravissimo e compianto Luigi Burruano) lo cacciava di casa, gli portava da mangiare di nascosto. Lunetta-Felicia queste cose le racconta, a rimarcare una complicità con il figlio fatta di amore, sì, ma anche di ideali condivisi. E le espressioni del viso, la resa ironica, il suo sorriso di sufficienza quando restituisce a carabinieri e magistrati l’assurda accusa di terrorismo! O quella ancora più incredibile del suicidio.
Voglio abbandonare la politica e la vita” avrebbe scritto Peppino, ma lei smonta tutto rispondendo che chi vuole suicidarsi non lascia un biglietto nascosto tra le pagine di un libro. Lo dice guardando negli occhi gli interlocutori, con l’incrollabile sicurezza di una madre, che della fiducia nel figlio ha fatto la propria ragione di vita. Una persona che ha così tanto sofferto, nel momento in cui diventa personaggio filmico, ha bisogno di un grande rispetto e Lunetta Savino afferma di avere evitato così da subito il rischio di retorica nella sua recitazione (un riguardo che riserva a tutti i personaggi, ma questa volta di più). Rispetto per Felicia, per Giovanni Impastato e una buona direzione da parte di Gianfranco Albano sono stati gli elementi dell’ottima riuscita di questo lavoro. Che ha avuto, meritatamente, più di cinque milioni di telespettatori.

Commenta
Exit mobile version