Dimentichiamo i buoni sentimenti, abbandoniamo il concetto di nucleo familiare come porto sicuro propinatoci per anni dai cartoon disneyani, esploriamo “il lato oscuro”dei più piccoli, godiamoci gli “unhappy endings”. Basato sul romanzo per ragazzi della scrittrice Lois Lowry, La famiglia Willoughby di Kris Pearn narra la storia bizzarra di una famiglia, la cui peculiarità fisica è quella di avere una capigliatura molto folta dal colore rosa shocking. Non si tratta, però, di una famiglia amorevole: i genitori troppo presi da loro stessi sono infastiditi dalla presenza dei loro quattro figli che non hanno mai amato. I bambini (Tim, Jane e Barnaby A e B) sono molto uniti tra loro a dispetto del cattivo esempio familiare e devono subire le angherie dei loro genitori. Sebbene vivano in una casa da favola, ricca di cimeli che ricordano l’esaltante storia di tutte le generazioni Willoughny, non si può dire certo che siano dei bimbi fortunati. Non potendo più sopportare l’indifferenza e l’egoismo dei genitori, i quattro fratelli escogitano un piano per liberarsi di loro: organizzano un tour fatta su misura per mamma e papà nei luoghi più pericolosi del mondo, sperando che quella vacanza li uccida, rendendoli così orfani liberi e felici. I genitori, ignari del diabolico piano messo in atto dai bambini, partono per il viaggio e li affidano alle cure di una tata alle prime armi che si affezionerà a loro.
La famiglia Willoughby non è un cartoon per bambini
Vivace e accattivante dal punto di vista visivo, con un’animazione che si rifà molto alla tecnica stop-motion, La famiglia Willoughby è una commedia sopra le righe dal ritmo frenetico. I personaggi sono stati realizzati da Craig Kellman, disegnatore dei film di animazione Madagascar, Hotel Transylvania e La famiglia Addams. La narrazione della storia è affidata a un gatto soriano blu (nella versione originale il paffuto micione ha la voce di Ricky Gervais) che “spia” le vite dei protagonisti e le commenta con sarcasmo sprezzante. L’universo infantile dei Willoughby è intriso di umorismo dark e azioni malefiche, ma anche di arcobaleni e caramelle colorate perché, è vero, i Willoughby sono delle pesti malefiche ma pur sempre dei teneri bambini bisognosi di attenzione e amore. La storia ricorda molto le atmosfere dei romanzi di Roald Dahl, di Lemony Snicket e le opere di Tim Burton, tant’è che il film è stato classificato PG; sebbene non manchi l’incanto tipicamente infantile espresso con soluzioni visive vivaci e sognanti, non si può certo dire che il cartoon non si avventuri in terreni più oscuri come il pericolo e la morte.
La famiglia Willoughby, una favola dark di bambini cresciuti senza amore
L’aspetto più destabilizzante, però, è il fulcro stesso della vicenda, ovvero l’analisi di una famiglia disfunzionale, il trauma di una mancanza legata all’anaffettività dei genitori nei confronti dei propri figli. Una favola in cui i veri mostri che spaventano i bambini non sono fuori, all’esterno, ma all’interno, in una casa apparentemente felice e confortevole. L’incapacità di amare, la mancanza di empatia dei genitori Willoughby nei confronti di ogni altro essere umano al di fuori di loro stessi, non trova alcuna soluzione morale in questa favola che non vuole impartire lezioni se non una: non si può instillare l’amore in chi ne è privo, ma farlo trionfare idealmente attraverso l’immaginazione.
I personaggi che i bambini Willoughby incontreranno nel loro cammino, durante il lungo viaggio dei genitori, consentono loro di ridefinire il concetto di nucleo famigliare e conoscere un volto diverso degli adulti come esseri capaci di amare, di sognare e persino di attraversare il mondo sulla coda di un arcobaleno. Questi incontri fortuiti restituiscono loro la meraviglia dell’infanzia, quello spazio magico di cui nessun bambino deve essere privato, neanche da adulto.
Cristina Locuratolo