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Quinto: non uccidere – Dominique’s story

“Quello che Mario Marazziti e Giulia Sirignani fotografano nel loro reportage è la vita dentro e fuori dal braccio della morte di Dominique, un ragazzo resosi accidentalmente responsabile di un omicidio a soli diciotto anni. Un documentario che si confronta con la questione a tutt’oggi irrisolta della pena di morte”.

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Il 30 novembre è stata la giornata mondiale contro la pena di morte, la terza da quando è stata istituita nel dicembre del 2007. L’Italia, in questa battaglia irrinunciabile che vuole vietare ad un individuo di decidere della vita di un altro, è sempre stata in prima linea già dagli anni ’90, e la ratifica della moratoria deve molto al lavoro svolto da enti e organizzazioni tutte nostrane come la Comunità di Sant’Egidio o “Nessuno tocchi Caino”. In questa importante data, dunque, Raiuno ha tematizzato il suo palinsesto giornaliero modellandolo per la ricorrenza internazionale. È infatti il 30 Novembre – in verità in un orario mortificante come le 01:50 di notte – è stato trasmesso Quinto: non uccidere – Dominique’s story, un reportage in terra texana ad opera di Mario Marazziti e Giulia Sirignani che ripercorre la storia di Dominique Green. Classe 1974, Dominique è un ragazzino afroamericano che cresce fra i sobborghi alle porte di Houston, fra una madre alcolizzata e violenta, un padre che dopo poco abbandona le mura domestiche e due fratelli minori che ha dovuto crescere lui per colmare le lacune genitoriali. Con dei gravi problemi economici, Dominique inizia a spacciare droga per rimpinguare le finanze familiari, ma mentre sta eseguendo un furto con due suoi compari, la vittima delle loro azioni rimane riversa per terra trafitta mortalmente da un proiettile. Dominique giura di non aver sparato, ma a causa di eventi sfavorevoli – come i due complici che per evitare l’ergastolo accusano Dominique, e la madre che con disturbi psichici accusa il proprio figlio – il ragazzo viene condannato alla pena di morte. Nel giorno della sentenza Dominique aveva solo 19 anni; 18 ai tempi dell’omicidio.

Quello che Mario Marazziti e Giulia Sirignani fotografano nel loro reportage è la vita dentro e fuori dal braccio della morte del ragazzo, che oramai trentenne appare totalmente mutato. Dominique è, all’alba del 2004, un uomo saggio e maturo, pacificato con se stesso, con la propria famiglia e con quella dei familiari della vittima. In seguito a questo suo radicale cambiamento, quasi mistico, ha attirato le attenzioni della società civile texana e internazionale, dai due documentaristi italiani fino all’arcivescovo premio Nobel Desmond Mpilo Tutu. Grazie all’opera di Marazziti e Sirignani tutto ciò è riccamente testimoniato. Ma Quinto: non uccidere – Dominique’s story è anche un documentario realizzato per caso, come afferma lo stesso Mario Marazziti, dove la serie di contributi audiovisivi filmati non nasceva con l’intento di essere poi raccolta in un lungometraggio, ma con il solo scopo di dare visibilità alla vicenda di Dominique, per imprimere la sua vita paradigmatica su un supporto magnetico affinché la sua esperienza non fosse andata dimenticata l’indomani della sua esecuzione. È infatti grazie al successivo interessamento di Rai Cinema, e a collaborazioni preziose come quelle di John Turturro (nelle vesti di voce narrante, doppiato per l’Italia da Flavio Insinna), che i materiali registrati dai due autori hanno potuto convertirsi in un’opera, in un lungometraggio (montato da Federico Schiavi). Così si spiega d’altro canto il respiro nient’affatto artistico, ma tutto didattico di Quinto: non uccidere – Dominique’s story, opera molto asciutta, cronachistica, che si fonda su interviste fatte a Dominique e ai suoi familiari, dai chiari intenti educativi e divulgatori contro la pena capitale; fattori questi ultimi che non possono non tradursi in ricorrenti pieghe retoriche disseminate in tutta la pellicola. Ma non si deve commettere l’errore di considerare questi termini dei limiti circa il lavoro svolto da Marazziti e Sirignani, poiché scopo degli autori era quello di creare un prodotto istruttivo, che esponesse con dovizia di particolari i demeriti morali, civili e culturali di chi avalla la pena di morte, senza tacere nulla affinché il senso più alto dell’opera non venisse meno, affinché i fini divulgatori fossero facilmente fruiti dallo spettatore. È infatti lo stesso Marazziti ad auspicare proiezioni del documentario in luoghi scolastici e accademici, a ribadire la natura formativa – nonché gli steccati artistici – entro cui si vuole muovere Quinto: non uccidere – Dominique’s story. Esso infatti non vuole essere altro che un documentario, un reportage d’inchiesta che restituisca in maniera puntuale la barbarie della pena capitale, e che se visto in quest’ottica può produrre ottimi frutti, specialmente fra gli spettatori più giovani o inconsapevoli.

Emanuele Protano

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