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Disponibile su Raiplay I soliti ignoti, il capolavoro di comicità di Mario Monicelli

I soliti ignoti è una pietra miliare (o “emiliana” come direbbe un personaggio di Totò) della commedia all’italiana, ma Monicelli non spezza del tutto il filo che la lega al Neorealismo

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Lo scorso 16 Maggio è stato l’anniversario della nascita di Mario Monicelli. Il maestro ci ha lasciato nel Novembre del 2010, perché, come aveva dichiarato in una delle sue ultime interviste, non avrebbe mai sopportato di aspettare la morte in un letto d’ospedale, mentre i suoi cari gli portavano la minestrina. Negli anni ‘30 del Novecento, quando il futuro maestro della commedia all’italiana aveva circa 17 anni, già si interessava di cinema, che veniva considerato poco più di un fenomeno popolare da fiera.

I suoi primi lavori nel mondo del cinema furono come ciacchista, cioè aveva il compito di battere l’asticella del ciak all’inizio delle riprese. E nel 1945 diventa aiuto regista in Il testimone, primo film di Pietro Germi. Ma è  grazie all’incontro con Steno, avvenuto nel 1946, che Monicelli si afferma definitivamente come autore cinematografico. I due realizzano insieme diversi film, tra cui Guardie e Ladri (1956 ), con Totò e Aldo Fabrizi, e quest’ultimo ottenne anche una nomination all’Oscar come migliore attore. La carriera di Monicelli è stata lunghissima, con circa cinquanta film, svariati documentari e otto episodi per film collettivi, come Capriccio all’italiana (1968), realizzato insieme a Pasolini, Steno, Rosi e Bolognini. Il suo ultimo film è stato La rosa nel deserto, realizzato nel 2006, ma il meglio della sua filmografia è stato prodotto, senz’altro, nel decennio tra gli anni ‘50 e ‘60. Il regista ebbe anche due nomination all’Oscar. La prima nel 1959, con I soliti ignoti, realizzato l’anno prima. Il film, che è disponibile gratuitamente su Rai play, è un vero capolavoro della commedia all’italiana.

Se film come Quattro passi tra le nuvole (1942) di Alessandro Blasetti, Ossessione (1943) di Luchino Visconti e I bambini ci guardano (1943  di Vittorio De Sica hanno aperto la strada al Neorealismo, Monicelli con I soliti ignoti sconvolge i modi di realizzare commedie, conquistando il successo del pubblico e della critica in Italia e all’estero. In Francia, Francois Truffaut elogiò il film su le riviste Arts e Cahiers du cinema e in America la pellicola ebbe una grande distribuzione con il titolo di Bing Deal on Madonna street. Il film, scritto da Monicelli, Suso Cecchi D’Amico e Age & Scarpelli, come una parodia di Rififi (1955), capolavoro del noir francese diretto dal regista statunitense Jules Dassin, ebbe inizialmente dei problemi realizzativi. Nessun produttore era interessato a investire in un progetto che sembrava essere una semplice macchietta. Ma anche se con timore, Franco Cristaldi, dopo una lunga indecisione, scelse di finanziare il film.

L’opera di Monicelli, che prende spunto anche dal racconto Furto in pasticceria di Italo Calvino, è ambientata nella Roma degli anni ‘50. Una banda di ladruncoli, abituati a vivere di espedienti, ha la possibilità di realizzare un colpo della vita. Lo “sgobbo” è ideato da Cosimo (Memmo Carotenuto), che in carcere viene a conoscenza dell’esistenza di un appartamento vuoto, confinante con un banco dei pegni, con tanto di cassaforte, che in romanesco viene chiamata, “la comare“. Del piano, però, se ne impossessa Peppe, detto Er Pantera, un pugile fallito (Vittorio Gassman) che inganna Cosimo, riuscendo a farselo rivelare. Nel mettere in pratica il piano, la banda si trova ad affrontare molti imprevisti e quando riesce a buttare giù il muro dell’appartamento che confina con il banco dei pegni si ritrova in una cucina, dove si intrattengono mangiando pasta e ceci.

È un congegno raffinatissimo, quello creato da Monicelli, che con questo film racconta una Roma criminale “debosciata”, poco e male organizzata, nonostante i tentativi dei protagonisti, che si danno un tono da criminali di lungo corso. Peppe, Tiberio, Mario e tutti i protagonisti della banda appaiono come eterni adolescenti, che giocano con la vita, senza pensare alle conseguenze delle loro azioni. Ma non sono criminali, anzi, sono dei bonaccioni. Come Mario (Renato Salvatori), che si vergogna di usare il diploma preso in un istituto per orfani e dispensa piccoli regali alle tre donne che lo hanno cresciuto, chiamandole mamma.

La scelta degli interpreti è uno degli aspetti più importanti per la realizzazione del film. Il cast è di notevole prestigio e vede la partecipazione di Marcello Mastroianni, Memmo Carotenuto, Carlo Pisacane, Totò e Vittorio Gassman. Quest’ultimo fu motivo di scontro tra Monicelli, che lo volle a tutti i costi, e la produzione, che preferiva proporre il personaggio di Peppe a uno degli attori comici del momento, come Ugo Tognazzi, Nino Manfredi o Alberto Sordi. Gassman, del resto, prima de I soliti ignoti aveva interpretato solo ruoli drammatici e nel cinema vantava una sola partecipazione degna di merito, avendo interpretato il cattivo in Riso amaro (1949) di Giuseppe De Santis. Ma grazie alla regia di Monicelli, Gassman esprime una magistrale recitazione comica. Geniale appare la trovata di rendere il suo personaggio balbuziente. Indimenticabile è la sua battuta che ripete in varie parti del film: “È tutto preparato ssssssscientificamente”, riferita al piano del colpo. Ma su Gassman venne effettuato anche un grande lavoro di trucco da parte di Piero Gherardi, il costumista del film, che allargò le narici dell’attore con del cotone, gli truccò le labbra per renderle più gonfie e modificò l’attaccatura dei capelli. Ne I soliti ignoti ci sono anche attori alla loro prima esperienza cinematografica, come Claudia Cardinale e Tiberio Murgia, che interpreta il personaggio di Ferribotte. Questi, che venne scoperto direttamente da Monicelli in una pizzeria romana, seppure fosse sardo, grazie al successo ottenuto con il suo personaggio (il classico siciliano geloso) inizierà una lunga carriera come caratterista, dove interpreterà sempre la parte di personaggi siciliani.

Monicelli con questo film usando i mezzi della comicità, riesce a lanciare anche delle critiche rivolte alla società italiana del dopo guerra. Il regista dà l’impressione di porre allo spettatore una domanda importatissima: “L’Italia è davvero una Repubblica fondata sul lavoro?“.

Tiberio, interpretato da Marcello Mastroianni, sembra il portatore dell’idea del regista: quando il colpo è ormai fallito si rivolge ai suoi compagni: “Rubare è un mestiere impegnativo, ci vuole gente seria, mica come voi ! Voi al massimo, potete andare a lavorare“. E il concetto del lavoro, che viene ribadito nella sequenza finale da Capannelle (Carlo Pisacane), che si rivolge preoccupato a Peppe: “Dove vai? … Ma ti fanno lavorare…!”. Ci sono, ovviamente, anche elementi puramente comici, come il cameo offerto da Totò. La sequenza si svolge sul terrazzo dello stabile dove il suo personaggio, Dante Cruciani, agli arresti domiciliari, è impegnato a impartire alla banda di ladruncoli; durante la sua lezione per scassinare la cassaforte, vengono sorpresi dal brigadiere e allora fingono di fare il bucato.

I soliti ignoti è una pietra miliare (o “emiliana” come direbbe un personaggio di Totò) della commedia all’italiana, ma Monicelli non spezza del tutto il filo che la lega al Neorealismo e gira questo film quasi interamente in diretta, senza ricorre ai teatri di posa. Inoltre, usa la stessa realtà cruda che usavano gli autori neorealisti, seppur, in chiave comica. Questo film, che ha fatto sorridere e riflettere più di una generazione, ha una narrazione raffinatissima e, in alcuni momenti, sembra anticipare il cinema d’autore europeo. Come la sequenza che racconta, con voce off, del personaggio interpretato da Gassman, il piano per entrare all’interno del banco dei pegni e scassinare la cassaforte. Una sequenza resa moderna grazie al lavoro di montaggio di Adriana Novelli, che crea un’interessante alternanza tra parola e immagine. Ma Monicelli non appesantisce mai la trama del film, catturando l’attenzione dello spettatore utilizzando anche modalità del cinema avventuroso, come l’uso di inter – titoli, anticipando gli sviluppi narrativi.

Esemplari sono anche le sequenze dedicate alla ricerca della “pecora” da sacrificare per far uscire Cosimo. Celebre è la battuta di Capannelle: “Io cercavo una pecora e ho trovato solo pecorai“. Ma a rendere I soliti ignoti un capolavoro non è solo la regia di Monicelli. Notevole è anche la fotografia, realizzata Gianni Di Venanzo, che sfrutta al meglio le potenzialità del bianco e nero, creando dei chiaroscuri di notevole bellezza, specie nelle sequenze iniziali. Come non è da sottovalutare il notevole sforzo realizzato dagli autori, per quanto riguarda l’aspetto linguistico del film. Un miscuglio di italiano delle diverse regioni. Frutto del fenomeno dell’immigrazione, nato proprio in quel momento storico. Il romanesco, la fa padrone e in alcuni momenti sembra anticipare il gergo che caratterizzerà il primo cinema di Pasolini; ma c’è anche il siciliano, il molisano, il veneto e il milanese. La ricchezza linguistica de I soliti ignoti rivela anche una delle sue innumerevoli fonte d’ispirazione: La Commedia dell’arte del XVII secolo, caratterizzata dalla presenza delle varie maschere regionali, che non sono altro gli antenati dei vari Peppe, Tiberio, Capennelle, Cosimo, Ferribotte.

I soliti ignoti è solo uno dei tanti capolavori realizzati da Monicelli, che spesso viene ricordato come il maestro della commedia all’italiana, ma forse questa definizione non esprime al meglio la sua vasta filmografia. La grande guerra (1959), che realizza solo un anno dopo I soliti ignoti, è certo una commedia, ma supera i confini del genere, affrontando problemi di natura sociologica e, in alcuni casi, storiografici.  La sua sterminata filmografia è un inno alla libertà e alla vita. E il suo gesto estremo, avvenuto il 29 Novembre del 2010, è un grido di libertà.

Guarda I soliti ignoti su Raiplay 

  • Anno: 1958
  • Durata: 102'
  • Genere: Commedia
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Mario Monicelli

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