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Dopo Suspiria, Luca Guadagnino ci riprova con Scarface

Nonostante l'insuccesso del suo remake di Suspiria, Guadagnino rilancia con Scarface

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Nonostante il sostanziale insuccesso del suo remake di Suspiria, il capolavoro di Dario Argento, Luca Guadagnino non solo non abbassa il tiro, bensì rilancia: sembra, infatti, che si sia già messo all’opera per rivisitare Scarface, il leggendario film di Brian De Palma, con Al Pacino. È ovvio che viene voglia di bacchettarlo, di invitarlo a non importunare i capolavori, laddove tentare di riproporli, reinterpretandoli, è non solo un’operazione destinata inevitabilmente al fallimento, ma anche una tendenza che non produce risultati particolarmente significativi dal punto di visto del ritorno economico. Tantissimi, infatti, sono gli amanti del cinema che biasimano questo tipo di profanazioni e che, proprio per tale motivo, disertano le sale, evitando così di sottoporsi a una visione che potrebbe solo irritarli.

Ma fin qui è un po’ come “sparare sulla croce rossa”, giacche è la natura in sé dei remake a imporre un atteggiamento severo, e ciò vale per chiunque ne abusi al fine di strumentalizzare a proprio favore l’incisiva iconografia dei film riesumati. Soffermandosi, però, su Luca Guadagnino non è probabilmente insensato affermare che l’autore di Call me by your name si stia rivelando un soggetto particolarmente abile a muoversi nel sistema produttivo e questa nuova, tanto sventolata, operazione cinematografica ne è la più lampante dimostrazione. Ma, remake a parte, forse è giunto il momento di ridimensionare in maniera piuttosto decisa le presunte capacità di un regista che nella sua ristretta filmografia non può vantare alcun titolo particolarmente significativo.

Call me by your name, tanto per citare quello più famoso, anche in virtù delle quattro nomination ottenute agli Oscar nel 2018, è un film di notevole retroguardia, per forma e contenuto, laddove drammatizza in modo del tutto anacronistico un amore omosessuale – nell’opulenta Brianza degli anni Ottanta – nuocendo più che perorando la causa che sostiene. L’ambientazione alto borghese, il trilinguismo, le citazioni anche altisonanti (Heidegger ed Eraclito), gettate a casaccio e con grande superficialità nel goffo tentativo di nobilitare la messa in scena, poi, completano il quadro, delineando un cinema fuori tempo massimo e non necessario.

Stessa cosa può esser detta per A bigger splash, in cui, ancora una volta irrimediabilmente in ritardo, Guadagnino propone una stanca messa alla berlina di quattro personaggi ricchi e creativi, in un film verboso, convenzionale, noioso, una sorta di Bergman di terza categoria.

Non è che si voglia fare una crociata contro il regista palermitano – non sarebbe neanche interessante d’altronde -, piuttosto si desidera sottolineare quanto la sua celebrazione sveli lo stato di crisi in cui versa il nostro cinema, in cui la mancanza assoluta di vitalità e di capacità di rinnovarsi consente anche a chi non è provvisto di un sostanziale talento di emergere, dandogli finanche licenza di commettere ripetutamente sacrilegio. Insomma, Luca Guadagnino è un grande abbaglio, ma la colpa, ovviamente, non è la sua, ma è da ascriversi all’inconsistenza del cinema attuale (anche quello internazionale, sia chiaro) che, scambiando drammaticamente lucciole per lanterne, permette la proliferazione di film di retroguardia, non necessari, moralistici, facendoci spiccare un portentoso balzo indietro.