Lunga vita alla signora!, un film del 1987 scritto e diretto da Ermanno Olmi. Fu presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia in cui vinse il Leone d’Argento, ex aequo con Maurice di James Ivory. Il film è interpretato da Marco Esposito, Simona Brandalise, Stefania Busarello, Simona Dalla Rosa.
Sinossi
In un castello tra le montagne, una vecchia signora raduna una tavolata di potenti per una cena. Un gruppo di ragazzi è chiamato a servire. Tra loro Libenzio, di umilissime origini. Il rituale del banchetto è meticolosissimo e deve essere osservato con scrupolo perché la signora non ammette deroghe né innovazioni. Gli invitati arrivano, prendono posto e cominciano un sottile gioco di prevaricazioni e soprusi per guadagnare posti nella scala gerarchica e nella considerazione della gran dama che compare solo all’ultimo, velata e inaccessibile.

Il film di Ermanno Olmi è una satira dura, ma è anche favola e poesia ad un tempo. La inevitabile staticità di una tavolata di ‘vip’, presieduta da una dama decrepita non va certo a discapito dell’interesse sul piano culturale, né delle esigenze estetiche e filmiche. Lo spettacolo ci stimola a pensare: il cerimoniale è impeccabile, il rituale di un potere prevaricatore, onnipresente e inquinante è immediatamente percepibile e perfetto. Eppure, Lunga vita alla signora! si rivela semplice e di estrema chiarezza nei suoi significati: quella società è priva di valori autentici, è un insieme di gente in apparenza potente, ma in realtà pietrificata nei sentimenti e a sua volta mummificata come per mostruoso contagio. La vecchia Signora a capotavola distribuisce a suo capriccio i ruoli e le gerarchie (i posti al desco scintillante di argenteria e cristalli preziosi) a coloro che essa ha destinato a slittamenti umilianti, a fortune subitanee, come a colpi apoplettici o a una dorata mediocrità.
Il ‘posto’ cui aspira l’adolescente Libenzio, affascinato dall’ambiente, pur nel suo compito di ausiliario retribuito, è ben altra cosa. È il suo ruolo nella vita che è diverso, per il quale incontrerà ostacoli, fatiche e dolore, ma che gli consentirà di restare vivo ed integro, senza venire imbalsamato a sua volta, come gli appare quella gelida e terribile dama velata di nero, tra l’altro sempre atrocemente muta. Libenzio prende all’alba una decisione e, fuggendo, fa una scelta di libertà e di vita autentica, inorridito dai rituali del potere e da quel sentore di morte, per rientrare a casa, tra gente povera, sicuramente incolta ma pulita, custode di valori essenziali ed eterni. Il film è assai ricco, allusivo quasi ad ogni passo, ma senza faticati e ingombranti simbolismi, a momenti anche vivace e divertente. Con notazioni finissime e pertinenti sempre ispirate a quel realismo magico (che in Olmi è ragione di stile, ma anche essenza di pensiero), il regista sorride e incide, gioca su ritmi di balletto ai limiti del surreale, non disdegna la beffa.