Ozark: su Netflix la terza stagione della serie tv parla della vita di Marty Byrde (Jason Bateman), onesto commercialista e broker di Chicago che viene completamente stravolta da un giorno all’altro quando il suo socio viene scoperto a truffare un cartello del narcotraffico messicano.
Marty riesce a salvarsi solo convincendo il capo di poter riuscire a riciclare il loro denaro sporco in varie attività; questo comporterà il trasferimento a Ozark, una località sul lago del Missouri. Con lui dovrà andare anche la moglie, Wendy (Laura Linney) e i due figli. Dopo un iniziale momento di forte crisi, Marty riuscirà in parte a trovare un equilibrio, inserendosi in alcune attività del luogo, ma si scontrerà con una realtà dura e lontanissima dalla sua vita precedente, facendo i conti con conflitti coniugali preesistenti.
Ambientazione oscura, luoghi tetri e umidi, roulotte diroccate, proprietari terrieri senza scrupoli, volgari strip club e poliziotti corrotti o dall’anima perduta
“Lasciate ogni speranza voi che entrate…”: potrebbe essere questo il sottotitolo di Ozark, serie tv lanciata da Netflix nel 2017 e giunta con successo già alla sua terza stagione. Ambientazione oscura, luoghi tetri e umidi, roulotte diroccate, proprietari terrieri senza scrupoli, volgari strip club e poliziotti corrotti o dall’anima perduta; non c’è davvero un barlume di solarità a Ozark, una cittadina dove i volti degli abitanti sono immutati in un’espressione di sprezzante cinismo e scetticismo. Il baratro in cui è caduto Marty sembra ancora più profondo perché circondato da un pressapochismo sociale davvero disturbante. Anche l’infanzia ha contorni non ben delineati, sfumati in una crescita eccessivamente rapida, e la dimensione familiare non è abbastanza rassicurante da creare un alone confortante. La famiglia è cercata dai loro membri ma in realtà ognuno è un individuo a sé stante che vive in una sua singola dimensione.
Jason Bateman unisce il ruolo di regista della serie a quello di protagonista di un personaggio davvero difficile da inquadrare
Jason Bateman unisce il ruolo di regista della serie a quello di protagonista di un personaggio davvero difficile da inquadrare: il suo consulente finanziario Byrde è davvero sfuggente e non catalogabile. La scelta di assumere un’espressione il più delle volte impenetrabile e asettica lo rende una maschera perenne in cui si nasconde un personaggio che è sì un padre premuroso ma che in realtà non è davvero capace di donare emozioni; un’imperturbabilità, quella di Marty, che non viene quasi mai scalfita dagli eventi, neppure con una pistola posta a un centimetro dalla sua fronte. Le vicende personali con la moglie sembrano turbarlo più del pericolo fisico legato al riciclaggio e alla droga, ma ogni cosa pare scivolare sulla pelle di questo uomo medio americano forse solo infelice ma molto fortunato.
Tutto è avvolto in una fotografia che rende la cupezza della vicenda ancora più percepibile, con una sensazione a volte quasi tattile della cattiveria e della negatività in cui ogni cosa è immersa
L’aspetto positivo di Marty è sicuramente la sua lucidità: è intelligente, calcolatore, pratico e dotato di un grande istinto di sopravvivenza che lo porta a essere risolutivo nel prendere decisioni importanti per la sua famiglia, con scelte a volte davvero “geniali”. Un protagonista “anonimo” da un lato, perché non dotato di una brillante personalità, ma affascinante forse proprio per questo suo non essere il classico eroe senza macchia e senza paura dai manierismi teatrali. Accanto a lui, degna spalla, Laura Linney offre bene il ruolo di Wendy, moglie sconfitta da un matrimonio mal gestito, ma dotata di una forza e di una freddezza insospettabili nell’affrontare ogni situazione. Nel resto del cast nota di merito anche per Peter Mullan e per la giovane Julia Garner (Ruth), davvero convincente nell’interpretare forse il personaggio più complesso e interessante, protagonista di un percorso di riscatto più evidente. Il tutto è avvolto in una splendida fotografia che rende la cupezza della vicenda ancora più percepibile, con una sensazione a volte quasi tattile della cattiveria e della negatività in cui ogni cosa è immersa.
La narrazione degli eventi avviene a ritmo serrato, ed episodio dopo episodio assistiamo alla discesa agli inferi della famiglia Byrde, con un’evoluzione che, dalla prima stagione alla seconda, li vedrà più consapevoli del loro nuovo status di vita e di potere (nella seconda, soprattutto, nelle donne assistiamo a grandi cambiamenti), e che nella terza nuova serie li vede procedere nella strada intrapresa con nuove sfide.
In questa nuova stagione, accanto ai temi già centrali nelle prime due (rapporto conflittuale tra Marty e Wendy, l’adolescenza e i cambiamenti dei figli, l’evoluzione di Ruth), troviamo come motore portante anche il personaggio di Navarro (il narcotrafficante), che sembra fare da fulcro, e un’interessante variante si ha poi col personaggio di Ben, fratello di Wendy, un ragazzo difficile e con molti problemi, che servirà ad umanizzare un po’ Wendy e ad aggiungere una nota di “follia” a un menage familiare forse a volte troppo perfettamente macchinoso.
Ma quello che si evidenzia maggiormente in questa serie (sicuramente non perfetta ma interessante) è una coerenza degli autori nel mantenere intatta la natura dei suoi personaggi in quella che è la “dimensione” di Ozark: una zona di immoralità senza apparente via d’uscita, una sorta di limbo perennemente sospeso e a volte poco tangibile, dove tutto scorre come le acque del Missouri e dove i personaggi, non brutti o sporchi ma sicuramente cattivi, navigano in acque torbide e oscure.