Risate di gioia è un film del 1960 diretto da Mario Monicelli e interpretato da Totò e Anna Magnani. È l’unico film in cui Anna Magnani e Totò recitano insieme. Qui per i migliori film di Anna Magnani, disponibili su Youtube
La nascita di Risate di gioia
Il soggetto è tratto da due novelle, Le risate di gioia e Ladri in chiesa, pubblicate nei Racconti romani di Alberto Moravia. È sceneggiato da Suso Cecchi D’Amico, Age & Scarpelli e Mario Monicelli. La fotografia è di Leonida Barboni, le scenografia e i costumi di Piero Gherardi. Le musiche di Lelio Luttazzi, Risate di gioia. Il film è interpretato da Anna Magnani, Totò, Ben Gazzara, Fred Clark, Toni Ucci, Carlo Pisacane, Gina Rovere, Fanfulla, Alberto De Amicis.
Risate di gioia: la trama
Tortorella (Anna Magnani), che campa con piccolissimi ruoli nel cinema, vuol passare la notte di Capodanno con l’amico Umberto, attore di infimo ordine e ladruncolo (Totò). Ma questi ha un altro progetto: di collaborare con Lello (Ben Gazzara) ad un furto. La donna si trova così implicata, benché innocente.
Uno dei film più sfortunati di Monicelli
Meritoriamente riportato all’antico splendore dalla Cineteca di Bologna, e prodotto da Titanus, Risate di gioia è uno dei film più sfortunati e spericolati della carriera di Mario Monicelli. Il fatto che lo si riproponga oggi, ai tempi della crisi economica e della disillusione totale, non è secondario. Sulla carta l’Italia descritta nel film non è poi tanto dissimile da certe realtà contemporanee: un paese di morti di fame, di disgraziati, di emarginati, capaci di risolvere tutto con una risata e con una preghiera. La differenza di fondo sta nel contesto: lì si raccoglievano ancora i cocci della guerra (l’episodio al ballo degli aristocratici tedeschi che “non hanno fatto la guerra” è emblematico) e si sperava, comunque, in un futuro migliore. Oggi il futuro è già passato.
Film amaro e disperato
Lasciando stare questi appunti, il film non fu un successo commerciale, malgrado la presenza dei due divi e la regia del sommo Mario, che veniva dagli exploit de I soliti ignoti e de La grande guerra. I motivi sono riscontrabili nelle caratteristiche più evidenti di quest’opera rischiosa e quantomeno particolare. Si tratta di un film amarissimo, spesso cattivo se non addirittura acido, disincantato, disperato. Non sorprende che nell’Italia che entrava nel boom economico una storia come questa (tratta da due racconti di Alberto Moravia) non abbia incontrato l’interesse del pubblico. È giusto recuperarlo per almeno tre motivi.
I tre motivi per vedere il film
Il primo è la struttura, avvincente benché non sempre fluida. Una notte di Capodanno (all’epoca si diceva ancora San Silvestro) che inizia nella miseria di vite piccole e spiantate. Prosegue come in una grande fuga a tappe per mangiare e inseguire qualche sogno di seconda mano (ristoranti, metropolitane, palazzi nobiliari). E finisce all’alba di un giorno che inevitabilmente inizia nel peggiore dei modi.
Il secondo è la messinscena di Monicelli, sciolta, complessa, capace di fotografare con maestria tanto le folle (le feste rappresentate sono quasi felliniane nel senso de I Vitelloni) quanto i singoli personaggi, contraddistinta da un tono sottilmente melodrammatico senza finire nel patetismo più spiccio.
Il terzo, e il più importante, è il memorabile duetto dei due protagonisti: se Anna Magnani, di ritorno dall’Oscar e dai melodrammoni americani, conferisce alla sua Gioia Fabricotti detta Tortorella, comparsa di Cinecittà, tutta la disperata vitalità di chi spera comunque che il domani offra qualcosa di diverso (ma la più grande attrice italiana d’ogni tempo non amava affatto il film), Totò, nei panni del guitto Umberto Pennazzuto, un vinto assoluto, mette a segno una delle più belle e misconosciute interpretazioni del suo percorso recitativo (mai un eccesso, mai una smorfia di troppo, mai niente fuori posto).