Il danno, un film del 1992 diretto da Louis Malle. Il soggetto del film è tratto dal Il danno (romanzo) di Josephine Hart. Fatale è il titolo della versione francese, in relazione alla fatalità degli eventi nella trasposizione cinematografica, mentre come nella versione italiana, anche quella inglese riprende il titolo del romanzo della Hart, Damage. L’attenzione sarà centrata sulla vicenda che ha cambiato la vita di Anna, responsabile indiretta anche dello stravolgimento di quella di Stephen. Con Jeremy Irons, Juliette Binoche, Miranda Richardson, Rupert Graves.
Sinossi
Stephen Fleming è sottosegretario nel governo britannico: sposato, ha un figlio, che fa il giornalista. La sua vita scorre senza scosse, ma un giorno incontra la fidanzata del figlio, Anna. La passione si scatena tra i due. Nel passato di Anna c’è un fratello morto suicida a causa del loro amore incestuoso. L’esistenza di Stephen è sconvolta; ma un giorno, per caso, il figlio di Stephen scopre i due amanti a letto nell’appartamento in preparazione per le nozze. Il tema della passione capace di mandare in rovina le esistenze non è certo nuovo. Malle cerca di uscire dall’inghippo con le finezze di regia e di recitazione, ma i risultati non sono sempre alla sua altezza.
La recensione di Taxi Drivers (Luca Biscontini)
“Chi sei tu? Chi sei tu?”, sussurra Stephen Fleming, mentre abbraccia selvaggiamente Anna Barton, scuotendola, martoriandola, quasi la volesse annientare, tanta è la passione che improvvisamente lo possiede, senza che possa in alcun modo controllarla; le batte la testa sul pavimento ricoperto di moquette, provocando un rumore sordo, e lei si lascia percuotere, colludendo con l’eccedenza di un’attrazione che viola ogni norma relazionale. Anna è una ragazza tenebrosa, contenuta, eppure estremamente vulnerabile. Stephen è un uomo buono, come sa anche la moglie Ingrid, ma stavolta si confronta con una parte di sé che ignorava e che lo condurrà a mettere in discussione tutto ciò che ha costruito durante il corso di un’intera vita.
Si, è vero, non si può non pensare, quando si assiste agli incontri amorosi del probo uomo politico e della donna perduta e affascinante, a Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, ma Louis Malle aveva in mente una storia completamente diversa, evidentemente, nella misura in cui, schiacciata molto più su un piano psicologico, la vicenda messa in scena assume toni dichiaratamente tragici, e il funesto epilogo è annunciato già da subito, si tratta solo di capire come e quando si spezzerà il precario equilibrio su cui si sorreggono i due protagonisti. L’amore, perché di amore si tratta, diviene l’evento che fa emergere in Fleming (un ottimo Jeremy Irons) una parte oscura con la quale non aveva mai fatto i conti, e che costituisce il lato più vero di sé, chiedendo prepotentemente di esprimersi. Quest’amore fornisce l’occasione (e quindi si rivela in qualche modo strumentale) per azzerare un’esistenza vissuta con un contenimento eccessivo, per accattivarsi l’affetto dei propri cari, agli occhi dei quali apparire un padre e un marito modello. Anna, invece, ha subito ‘un danno’, ed è per questo estremamente pericolosa, in quanto ripropone meccanicamente, in campo relazionale, le tragiche dinamiche che anni prima la videro coinvolta in un rapporto al limite dell’incesto con il fratello morto suicida per lei. E chi ha subito un danno sa che può sopravvivere. Il figlio, Martyn, fidanzato con Anna, scopre nel peggiore dei modi la relazione clandestina del padre, dando luogo al drammatico finale.
A rivederlo, a distanza di tanti anni, Il danno di Louis Malle, tratto dall’omonimo romanzo di Josephine Hart, non perde la sua forza, sebbene riveli qua e là delle imperfezioni che, comunque, non riducono il valore dell’opera, ma ne esaltano la genuinità, provocata dall’impazienza di raccontare con urgenza una storia che si sentiva profondamente sul piano emotivo e che ha coinvolto vivamente tutto il reparto creativo, dal regista agli attori, agli sceneggiatori. Il volto impietrito di Juliette Binoche, dopo che ha assistito alla morte di Martyn, è un capolavoro di recitazione e Malle, in questo senso, fu davvero encomiabile, perché, capendone la necessità, seppe tirare fuori il meglio dai propri interpreti, comprendendo quanto il loro apporto, più di un’accurata regia, fosse davvero decisivo.
Poi, volendo, ci si potrebbe intrattenere sul risvolto sociologico della storia, se la interpretassimo come una messa alla berlina di una classe borghese sull’orlo del collasso, ma questa lettura appiattirebbe la potenza di una narrazione i cui toni tragici la collocano al di fuori del tempo. Come dimenticare Stephen, nelle ultime sequenze, che spogliatosi dei vecchi panni vaga spettrale nelle stradine di un paesino sperduto, e, una volta rientrato a casa, si siede per rimirare la foto gigante che lo ritrae insieme a Martyn e Anna? Insomma, ammettiamolo pure, abbiamo amato in molti questo film, e non smetteremo di farlo. Non cesseremo di appassionarci a una storia che rievoca dinamiche ancestrali, estreme, degne della più riuscita tragedia greca (e tanto di edipico c’è in questo racconto).