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One Child Nation di Nanfu Wang e Jailing Zhang in streaming su Amazon Prime

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Partendo dalla storia della sua famiglia, One Child Nation di Nanfu Wang e Jialing Zhang testimoniano con commozione gli effetti della morsa della politica del Figlio Unico sulla vita della gente comune in Cina: dalle famiglie vittime ai funzionari esecutori del sistema, dai medici alle levatrici, che ancora portano i segni degli aborti inflitti. Implementata dal governo centrale negli anni 80 e solo di recente ritoccata, la campagna è universalmente riconosciuta come un sistema coercitivo di controllo delle nascite che ha dato luogo a terribili conseguenze sociali e umane.

“L’interesse collettivo è al di sopra di tutto” recita uno slogan della propaganda cinese

La vicenda inizia quando la maternità spinge la regista verso la spinosa questione in oggetto al film. Nanfu rientra in Cina con il suo bambino, per presentarlo ufficialmente alla sua famiglia, che ancora vive nel villaggio dove è cresciuta. Parlando con la madre, questa le svela delitti famigliari perpetrati nell’intento di adeguarsi al controllo delle nascite. Pezzo dopo pezzo in una lenta risalita, Nanfu Wang (con Jialing Zhang) ricostruisce le vite perse nella sua famiglia. Raccoglie le testimonianze delle levatrici che hanno implementato questi dettami politici freddamente – con aborti indotti di donne anche al terzo trimestre di gravidanza o sterilizzazioni forzate -. Sbatte sullo schermo le reti di tratta (o di soccorso?) dei minori abbandonati, e l’impegno di chi sta tentando di riconnettere i figli con i genitori biologici, o di testimoniare con l’arte le vite interrotte dei feti rifiutati e abbandonati nelle discariche.

“Era avvolto esternamente da una busta di plastica nera e internamente da una busta gialla con la scritta ‘rifiuti medici’”, Peng Wang, artista

Le testimonianze sono tutte incredibilmente scioccanti; e servirà una certa lucidità nell’osservare queste persone raccontare di esperienze terrificanti con freddezza asintomatica. L’analisi delle due registe è anche culturale: è una critica diretta ad un regime che ha stordito il pensiero delle persone, fino a renderle incapaci di scegliere per sé e assertivamente adeguate alle decisione calate dall’alto. E così che la loro emotività viene ligiamente nascosta, devotamente contenuta e dissimulata.

“Se per tutta la vita le decisioni importanti sono prese da qualcun altro, è difficile poi sentirsi responsabili per le conseguenze.”

Alla sua terza opera, vincitrice del Sundance Film Festival del 2019, Nanfu Wang dimostra di avere moltissimo da raccontare a proposito della sua terra. E di conoscere anche molto bene il linguaggio con il quale divulgarlo al resto del mondo. One Child Nation di Nanfu Wang e Jialing Zhang è ben riuscito tanto quanto lo è stata l’opera d’esordio della prima, Hooligan Sparrow. Il film è una co-regia ben riuscita, un lavoro molto posato e tutt’altro che innovativo, ma non era quella l’intenzione delle registe. Le immagini patinate e i colori saturi stordiscono nell’accostamento con la follia infanticida che attraversa tutto il film. Contemporaneamente, l’opera riflette sul dove la società è stata trascinata, su come gli individui siano arrivati a questa apatia emotiva e cerebrale, anche messi di fronte alla morte o al sequestro dei propri figli. A quali spese questa società ha raggiunto il “benessere”. E come la memoria di questa condotta colpevole e assassina sia mantenuta in vita e condannata da pochi eroi, che ne ricercano le motivazioni e il complesso fenomeno sociale.

Anche Nanfu Wang – la figlia nata femmina anziché maschio come il suo nome avrebbe voluto (nán, 男, significa uomo) – ha fatto la sua parte.

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