Nonostante quanto si possa pensare, il fenomeno degli instant movies (film che attingono più o meno liberamente ad avvenimenti di recente o strettissima attualità, o a personaggi coinvolti comunque in fatti di cronaca) non è mai venuto meno; piuttosto, per risvegliarlo ci vuole qualcosa che abbia realmente una risonanza degna di nota, cosa assai difficile oggi nel villaggio globale dove tutto viene metabolizzato, risputato e dimenticato nel tempo di un movimento di pollice sullo schermo. È successo con The Loudest Voice, eccezionale rilettura della parabola amara di Roger Ailes, fondatore della Fox (e nello stesso tempo con il film coevo Bombshell, in uscita in sala il 17 aprile e adesso in streaming su Amazon Prime Video).
Ma anche paradossalmente con The Morning Show -disponibile su Apple Tv- che parla proprio di questo: del potere silenzioso e vertiginoso della comunicazione, delle immagini, della notizia, insomma, del giornalismo all’epoca di internet. E di come velocemente può cambiare la vita di un uomo dato in pasto all’opinione pubblica.
Il potere assoluto
Alla base c’è la penna corrosiva di Jay Carson -ex addetto stampa di Hillary Clinton, ovvero quello di House Of Cards, altra roba che parla del potere e della sua corruzione e che ha toccato un nervo scoperto e particolarmente dolorante negli Stati Uniti-, ma nonostante la risposta inspiegabilmente tiepida di pubblico e critica The Morning Show si è ritrovato in lizza per il Golden Globe come miglior serie del 2019 insieme alle sue due straordinarie protagoniste, Jennifer Aniston e Reese Witherspoon.
La cosa che però desta più meraviglia, dal punto di vista più chiaramente mediatico, è che le vicende di The Morning Show sembrano quasi seguire il canovaccio della realtà: quello del titolo è il nome di un (fittizio) programma popolarissimo che viene letteralmente travolto e stravolto dalla notizia che uno dei suoi due conduttori, Mitch Kessler –Steve Carrell, insospettabilmente non meno stupefacente delle sue due colleghe-, ha compiuto abusi sessuali sul luogo di lavoro. L’altra conduttrice deve allora subire le conseguenze dello scandalo mediatico e professionale, mentre tutta la sua vita sembra franare sotto la slavina prodotta dal licenziamento e tutto quello che sta dietro Kessler.
Tutto liscio, anche tutto abbastanza ordinario, se non fosse che il famigerato #MeToo viene trattato con una prospettiva scomoda quanto intrigante: ovvero adottando una pluralità di punti di vista, che non offrono tanto un’ambiguità di sguardo, quanto l’opportunità di calarsi nei panni ora delle vittime, ora dei carnefici, mostrando quanto incredibilmente i due opposti scivolino improvvisamente uno nell’altro.
La persecuzione del colpevole si traduce allora in una narrazione affilata come una lama di rasoio, che cammina sull’imprevisto confine, quanto mai sfumato, tra scomode verità e caccia alle streghe: in un’attualità che letteralmente si nutre ed è fondata sulle immagini, è difficile distinguere il vero dal falso ma diventa ancora più arduo capire se l’immagine sia la riproduzione fedele della realtà o una sua perversa copia infedele che diventa a sua volta verità. Una dozzina di comprimari ruotano attorno al cast principale, tutti scritti in punta di penna, tutti dolorosamente veri, persi in un gioco di specchi e scatole cinesi, intrisi in egual modo di empatia e cinismo, ironia e dramma, ipocriti moralismi di facciata e imperativi etici non più eludibili.
Arma a doppio taglio
Parlare del #MeToo oggi senza essere tacciati di faziosità non è cosa facile, ancor meno quando lo fa una serie con protagonisti sovraesposti come Aniston, Carrell e Witherspoon: eppure The Morning Show lo fa con una leggerezza e con un equilibrio da applausi, portando avanti le sue molteplici trame senza lasciare niente in sospeso, senza lasciare nessun personaggio dietro, con un ritmo forsennato e impeccabile, senza facilonerie e senza comode falsità. Riesce allora a condannare senza dubbio ogni violenza, fisica o psicologica che sia, fuori o dentro il luogo di lavoro; ma allo stesso tempo, e questo è forse il mistero principale e la forza trainante dello show, la serie di Carson mette bene in chiaro come il caso Weinstein e tutto quello che ne è conseguito è un argomento estremamente delicato e incredibilmente sfaccettato, impossibile da liquidare senza una necessaria delicatezza di scrittura.
Da sottolineare come il minutaggio dedicato al personaggio chiave della storia, proprio Mitch, sia davvero esiguo: a voler dimostrare che per dire qualcosa di importante, e dirla bene, bastano pochi segni e poche parole. Oltretutto, con una carica emotiva non indifferente: lo splendido finale, a cui si arriva veloci dopo dieci puntate che si vorrebbe sempre durassero di più, arriva con la potenza di un maglio, avvinghiandosi allo spettatore con forza inusuale per dipiù senza facili trucchi narrativi ma solo con la forza della storia.
Parlare della televisione, e di tutto quello che c’è dentro e davanti, equivale a parlare dello specchio nel quale giorno per giorno si specchia la società civile, e The Morning Show ne approfitta per innestare uno sguardo sull’attualità dicendo a chiare lettere che il privato è pubblico, nel momento in cui il pubblico investe e coinvolge il privato; insieme approfondendo uno studio sulla psicologia delle vittime e dei complici, due grandi schieramenti nei quali volenti o nolenti, oggi, siamo chiamati inequivocabilmente a far parte.
Per fare quindi una scelta: consapevoli che qualunque sia, è quella sbagliata.