Cobra non è: intervista all’attore Gianluca Di Gennaro
All'interno di Cobra non è, film disponibile su Amazon Prime a partire dal 30 Aprile, Gianluca Di Gennaro è un rapper in discesa. Lo abbiamo intervistato per sapere di più sul ruolo e avere un confronto sulla sua carriera
Come sei entrato in contatto con il regista con Mauro Russo? Cosa puoi dirci di quest’esperienza?
Ho conosciuto Mauro Russo sul set di un videoclip dei Boomdabash, Portami Con Te. Abbiamo girato il video in Puglia, dove poi siamo tornati per le riprese di Cobra non è. Si è creato un rapporto amichevole e, in quell’occasione, mi accennò l’idea del lungometraggio. Dopo un po’, ci siamo risentiti e ho fatto il provino. Era presente lui e uno degli sceneggiatori: Alessandro Giglio. Ci siamo, dunque, ritrovati insieme sul set per intraprendere questo “strano” viaggio insieme.
Son passati un po’ di anni da quando avete girato insieme. Vero?
Sì. Son passati quasi due anni.
Prima dell’emergenza Covid eri impegnato con qualche progetto in particolare?
Stavo lavorando per una serie televisiva, qui a Napoli. Poi poco prima dell’8 Marzo, ci siamo fermati.
A proposito della ripresa dell’attività cinematografica, ci sono dei chiarimenti da parte del Ministero?
Ancora niente di ufficiale. Ci sono varie teorie. Resta tutto quanto un po’ in bilico. Capiremo strada facendo.
Hai esordito come attore a 11 anni. Eri molto piccolo.
Ho iniziato a teatro. La mia è una famiglia d’arte. Mio nonno, Nunzio Gallo, ha vinto Sanremo. Apparteneva alla generazione di cantanti di Claudio Villa. I miei zii da parte di mia madre, Gianfranco e Massimiliano Gallo, si occupano anche adesso di televisione e cinema, ma soprattutto teatro. Ho iniziato nel modo più casuale possibile, perché mio zio mi chiese all’età di 10-11 anni se avessi voglia di fare un provino per la parte di un ragazzino di quell’età. Feci questo provino con tutta l’inconsapevolezza e ingenuità di quell’età. Non avevo studiato. Avevo magari avuto il vantaggio di vivere in quella famiglia, guardando determinati film e andando spesso a teatro. Non avevo né il sogno di diventare attore, né mi stavo preparando per farlo.
Sicuramente ti è piaciuto recitare.
Sì, quello è fuori discussione. L’ho scoperto facendolo. Ho iniziato col teatro, era un musical: Quartieri Spagnoli. Per me, è stata un’esperienza veramente importante dal punto di vista umano, ma anche artistico. Poi, successivamente, ci son state altre nuove esperienze: ho lavorato per la serie di Sergio Castellitto in O Professore, su Canale 5.
Che età avevi?
Avevo l’età di 15-16 anni durante l’esperienza con Castellitto. Mentre ho conosciuto Valeria Golino tra i 17 e i 18 anni.
Cosa preferisci: televisione o cinema?
Ho realizzato diverse fiction, sicuramente. Credo cinema. Non per una questione di qualità, ma semplicemente perché si ha una maggiore libertà di espressione e di sperimentare. Nel caso della televisione, invece, bisogna dar conto al fatto che si entra nelle case della gente senza chiederlo. Nel caso del cinema scegli di andare a vedere un determinato prodotto.
Attualmente stai lavorando per una fiction, però.
A differenza di Come Un Delfino o Il Clan Dei Camorristi, nell’ultima fiction a cui ho lavorato, I Bastardi di Pizzofalcone, sono protagonista di puntata. Ci sono un bel po’ di attori: Alessandro Gassman, Carolina Crescentini, anche mio zio Massimiliano Gallo.
Hai dichiarato la volontà di voler abbandonare la parte del cattivo.
Sì, è così. Quando ti ritrovi a farlo tante volte vai sempre a toccare determinati aspetti e diventa poco stimolante, anche dal punto di vista emotivo. Ho sempre cercato di allontanarmi da questi personaggi. Non è assolutamente facile sganciarsi da essi dopo che i registi e la gente ti hanno visto nella stessa veste. Lo stesso Cobra, per assurdo, non è un criminale ma un rapper. Per un attore quanto più difficile è una sfida più risulta interessante. Tuttavia, interpretare parti da cattivo mi è risultato pesante fino a un certo punto. La maggior parte delle volte interpretavo un cattivo, in quanto erano sempre prodotti di denuncia dove si parlava della mia terra. In un certo senso, c’era un motivo di orgoglio e appartenenza. Parlo non solo in qualità di attore, ma anche di prodotti. Bisognerebbe sempre bilanciare.
Cosa ti piacerebbe, dunque, sperimentare?
C’è una storia che mi interesserebbe molto raccontare: uno sportivo. È un bellissimo esempio di vita, proprio per quello che fa. Si chiama Vanni Oddera. Sono entrato a conoscenza della sua storia attraverso il libro che egli stesso ha scritto. Stavo cercando di acquistare i diritti per farne qualcosa in un secondo momento. Mi divertirei a scegliere il regista e decidere delle cose insieme. Non mi confronterei con la regia, ancora. Credo che sia prematuro.
Qual è, invece, il personaggio che hai amato interpretare e che ti ha divertito?
Di esperienza belle e che ricordo in maniera piacevole ce ne son veramente tante. Senz’altro, Come Un Delfino. Trascorrevo intere giornate alle Isole Eolie, in giro a vedere posti incredibili con il resto della troupe. Anche Capri-Revolution. Sono pochi i film in cui si riesce ad amalgamare il gruppo nel modo giusto. Quando accade, nel 99% dei casi si ottengono degli ottimi risultati. Anche Certi Bambiniè stata un’esperienza che mi ha segnato nel profondo.
Per quale motivo ti ha segnato?
Un po’ per tutto. Sicuramente anche per l’età. Per me, era qualcosa di estremamente nuova. Tra l’altro, era un film molto crudo. Avevo una psicologa che mi seguiva e si assicurava che avessi chiare le differenze tra la realtà e la finzione. Era un lavoro ben costruito che mi ha consentito di lavorare bene, ma che mi ha anche aiutato a inquadrare questo mestiere nel modo giusto.
Invece, di Capri-Revolution cosa puoi dirci?
In quell’occasione ho scoperto che Mario Martone, oltre ad essere un abile regista, è anche una bella persona. La cosa che mi ha dato “più fastidio” è il fatto che io ero uno di quelli meno evoluti mentalmente e, di conseguenza, dovevo odiare il gruppo di turisti che venivano da fuori e portava novità. Questo era il film. Lui, in realtà, aveva diviso veramente i due gruppi. Gli altri attori avevano dunque la possibilità di trascorrere delle bellissime giornate, andare a mare o leggere poesie. Non ho potuto condividere qualcosa di piacevole che mi sarebbe piaciuto fare.
La parte che hai interpretato come Cobra cosa ti lascia invece di caratteristico?
Tutto è un po’ folle, è un esperimento, un genere differente. È un’esperienza che mi ha messo alla prova. Già leggendo la sceneggiatura, avevo compreso che si trattava di qualcosa di diverso. Non è stata un’esperienza facilissima, in quanto eravamo anche tantissimi personaggi.
Emotivamente su cosa hai lavorato?
Come ho anche definito con Mauro, non c’erano delle grandi aspettative emotive. Il mio era un personaggio, in un primo momento, rassegnato alla gloria perduta. Aveva inizialmente poche aspettative. In un secondo momento, ci sono delle cose del passato che ritornano, come la donna, Angela. Da questo punto di vista, non c’era un grandissimo lavoro da fare.
È un film girato quasi completamente di notte. Non facile, vero?
Sì, è stato quasi sempre girato di notte. Tranne un paio di giornate in cui io non ero presente. Per me, non è stata una grande difficoltà. Devo essere onesto.
Altri progetti su cui stai lavorando?
C’è un altro film, già girato, che ancora deve uscire. Si chiama Tigers, diretto da Ronnie Sandahl. Appartiene ad una sua trilogia. È una storia vera di un ragazzo svedese. Racconta il mondo del calcio da un punto di vista differente: esplora la difficoltà che può riscontrare un ragazzino, allontanandosi dai suoi e andando a vivere in un posto diverso per entrare in un ambiente di competizione massima. È infatti la storia di un giovane svedese acquistato da una squadra di calcio italiana.
Ti piacerebbe, un giorno, confrontarti con la regia?
Indubbiamente sì. Sono consapevole che, a differenza della recitazione, necessita di nozioni precise che bisogna apprendere. Questo è il motivo per cui mi dedicherò ad essa sicuramente più in là.