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La Resistenza nel cinema italiano: il Neorealismo, Gillo Pontecorvo e i fratelli Taviani

La cinematografia italiana ha dedicato alla Resistenza partigiana molti film che avevano come protagonisti “gli ultimi”. Ne ricordiamo alcuni, prestando particolare attenzione all’opera di Gillo Pontecorvo

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Quest’anno ricorre il 75° anniversario della Liberazione d’Italia dalle truppe Nazi-Fasciste ma sarà un anniversario molto diverso. Per la prima volta, dal lontano 1949, quando il parlamento italiano, approvando una legge presentata da De Gasperi, scelse il 25 Aprile come data simbolica per ricordare la liberazione del nostro Paese, la fine del secondo conflitto mondiale e il valore civico e militare della Resistenza partigiana, a causa del lockdown per il coronavirus non ci sarà nessuna cerimonia pubblica. Mai come in questo 2020, però, il valore simbolico del 25 Aprile è così attuale.

Con le dovute differenze, oggi, come alla fine della seconda guerra mondiale, si avverte la necessità di ripartire e di rilanciare il paese dal punto di vista sociale ed economico. Oggi come allora, a pagare le conseguenze più gravose, saranno i meno ambienti, le classi sociali più deboli, gli ultimi di questa società occidentale. Proprio “ gli ultimi” sono stati ad animare la Resistenza partigiana, riscattando il loro futuro, con la speranza di vivere in un mondo più giusto e, magari, anche oggi saranno loro a far rinascere la società occidentale, dopo questa pandemia.

La cinematografia italiana ha dedicato alla Resistenza partigiana molti film che avevano come protagonisti proprio “gli ultimi”. Il più celebre è senza dubbio il capolavoro di Roberto Rossellini, Roma città aperta (1945). Di Rossellini vanno ricordati almeno altri due film dedicati alla Resistenza: Paisà (1946) e Il Generale della Rovere (1959). La chiave neorealista usata da Rossellini per raccontare la Resistenza viene usata anche da Nanni Loy, vent’anni dopo, in Le quattro giornate di Napoli (1962).

Certamente, non è stato solo il Neorealismo a realizzare film sulla Resistenza partigiana, il tema fu affrontato anche dalla commedia con Tutti a casa (1960) di Luigi Comencini e Una vita difficile (1962 ) di Dino Risi, entrambi con protagonista Alberto Sordi. La Resistenza torna come tema ricorrente anche nel cinema italiano degli anni ‘80, con La notte di San Lorenzo (1982) di Paolo e Vittorio Taviani, che affronta il tema con gli strumenti della metafora storica.

Questi titoli, rappresentano solo una minima parte, dei film italiani dedicati alla Resistenza. Ci sono però dei registi che si cimentarono con questo tema anche in maniera non esplicita, come Gillo Pontecorvo. Nella sua filmografia non c’è un solo titolo dedicato alla Resistenza partigiana eppure i suoi film sono carichi della stessa forza ideologica che animò la Resistenza. I suoi protagonisti, sono sempre dei partigiani che lottano per la libertà e il riscatto sociale personale e collettivo. Ne La battaglia di Algeri (1966), il film più conosciuto del regista, lo spirito della Resistenza è molto forte. Uno dei protagonisti è il giovane algerino Alì La Pointe. Questi, come i tanti partigiani, rappresenta uno degli ultimi. È costretto a commettere piccoli crimini per sopravvivere ma in lui avviene il riscatto. Si trova in carcere, quando assiste alla condanna a morte di un componente del Fronte Nazionale algerino che muore al grido di “Viva l’Algeria!”. Alì La Ponte prende coscienza e decide di lottare, diventare partigiano per riscattare il suo futuro e quello del suo popolo, sottomesso alla Francia.

Questa carica ideologica nel cinema di Pontecorvo è visibile anche in film meno conosciuti, come in Giovanna (1955), mediometraggio di 36 minuti. Questa opera prima ha sicuramente dei limiti, ma presenta la stessa, se non maggior, forza ideologica de La battaglia di Algeri. Protagonista questa volta è una donna, una giovane operaia, che decide di scioperare insieme alle sue compagne. Il rappresentante degli “ultimi” è, dunque, doppiamente ultimo. Giovanna, infatti, prima di riscattare la sua identità di operaia, i suoi diritti di lavoratrice, insieme alle sue compagne, nei confronti della direzione della fabbrica, deve riscattarsi anche dalla sua condizione femminile nei confronti di suo marito Antonio, che pur condividendo il principio della lotta operaia, ritiene che lo sciopero non sia cosa da donne.

Giovanna (uno dei cinque episodi del film La rosa dei Venti, che documenta la condizione della donna nel mondo) propone un protagonista corale, il corpo delle operaie, ma è Giovanna ad emergere. È merito suo se lo sciopero continua, nonostante i tentativi di ostruzione della direzione della fabbrica, che prova in ogni modo di mettere le operaie l’una contro l’altra. Giovanna riesce a riscattare anche la sua condizione da donna, convincendo Antonio a dare un suo contributo al proseguimento dello sciopero e ciò fa del film di Pontecorvo anche un antesignano del cinema femminista.

L’interesse di Pontecorvo verso gli ultimi e il loro riscatto è percepibile anche quando il suo stile viene imbrigliato da ragioni produttive. È il caso de La grande strada azzurra (1957 ), tratto dal romanzo Squarciò di Franco Solinas, sceneggiatore del film. Pontecorvo aveva in mente di realizzare un film sul modello de La terra trema di Luchino Visconti, ma la produzione trasforma il progetto iniziale del regista in una sorta di commedia sentimentale anni ‘50. Pontecorvo, comunque, riesce a conservare anche in questo caso la sua forza ideologica. Protagonista del film è Squarciò, un pescatore di frodo (interpretato dall’attore italo-francese, Yves Montand). Anche Squarciò è un ultimo, vive ai confini del suo villaggio e per garantire un certo benessere a sua moglie e ai suoi figli commette azioni ai danni della comunità, rappresentata questa volta dai pescatori; ma anche in Squarciò avviene il riscatto, nel finale del film, con la sua morte, quando “restituisce” i propri figli alla comunità dei pescatori, rinunciando alla pesca illegale con l’uso degli esplosivi.

Pontecorvo, con la sua forza ideologica, diventa anche un innovatore, essendo tra i primi cineasti ad affrontare il tema della Shoah nel cinema di finzione. E lo fa con Kapò (1959): protagonista è una ragazzina ebrea deportata in un campo di concentramento nazista. Come in Giovanna, anche per Kapò la protagonista è doppiamente “un ultimo”, donna e ebrea alla totale mercè dei nazisti. Edith-Nicole, la protagonista, interpretata da Susan Strasberg, dopo aver “scelto” di perdere ogni dignità per entrare nelle grazie dei nazisti, come Squarciò va verso la morte per permettere agli altri deportati di scappare dal campo. Come per Squarciò, anche per Edith, la morte non è un semplice sacrificio, ma rappresenta il riscatto personale e collettivo.

Anche i suoi ultimi due film, Queimada (1969), con Marlon Brando, e Ogro (1979) con Gian Maria Volontè, sono dedicati agli ultimi e al loro riscatto. In Queimada, Pontecorvo affronta lo spinoso tema del colonialismo e qui il riscatto dell’ultimo avviene in Josè Dolores, che con la sua morte pone le premesse per la conquista della libertà del suo popolo di “schiavi negri”, sottomesso al mondo occidentale dei bianchi. In Ogro gli ultimi sono i terroristi Baschi, che lottano per liberare la propria terra. In questo ultimo film di Pontecorvo, però, il riscatto non è la libertà di un popolo o di una comunità, ma la rinuncia alla lotta armata.

Solo in Giovanna e in La lunga strada azzurra, Pontecorvo affronta direttamente problematiche relative alla società italiana, ma anche quando documenta realtà al di fuori dei confini nazionali sembra riferirsi al nostro paese e in particolar modo allo scontro ideologico, nato proprio durante la Resistenza partigiana e ampliato nel corso degli anni ‘60 e 70’ del scolo scorso, con le lotte studentesche e operaie. Il suo è senza dubbio un cinema politico, ma supera anche i confini del genere, laddove costruisce un discorso più ampio e giunge a conseguenze di tipo metafisico sul ruolo dell’Uomo e il suo rapporto con la Storia e la contro-Storia.

Luca Bove

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