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DIAVOLI sbarca su Sky Atlantic. Una grande delusione. Vi speghiamo il perché

Sono andate in onda le prime due puntate de I DIAVOLI, la produzione internazionale di Sky che vede Alessandro Borghi al fianco di Patrick Dempsey.

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Quanto è importante, e fondamentale in alcuni casi, l’attesa che si crea per un nuovo progetto: perché si era parlato tantissimo de I Diavoli, produzione internazionale di Sky Original che è appena sbarcata, con i primi due episodi, su Sky Atlantic. Ma la delusione è di quelle che non si dimenticano: tratta dall’omonimo romanzo di Guido Maria Brera, Devils (titolo originale della produzione italiana-britannica-francese) è una storia ambientata nel mondo dell’alta finanza e vede come protagonisti Patrick Dempsey -l’ormai ex dott. Shepard in Grey’s Anatomy– e Alessandro Borghi, volto nostrano sempre più avviato verso una luminosa carriera internazionale, ma che magari con questo progetto potrebbe incontrare la sua prima caduta.

Partiamo dalla trama: protagonisti sono Massimo Ruggero e Dominic Morgan, due broker d’altissimo profilo che si muovono nel trading presso il gigante bancario American New York – London Bank (NYL). Morgan è il mentore di Massimo, che nel 2011, periodo nel quale sono ambientate le prime puntate, specula e guadagna centinaia di miliardi durante la grande crisi finanziaria europea, su tutti quella della Grecia. Partendo dalla scrittura densa di Brera, I Diavoli vorrebbe mostrare l’altra faccia di quel mondo patinato e pericoloso che la Hollywood di Scorsese e Stone hanno descritto così bene: il pericolo, l’assenza di scrupoli e morale, la perversione. Peccato che per farlo i due registi, Nick Hurran e Jan Maria Michelini, abbiano scelto il mood più sbagliato possibile, ovvero un ritmo di regia che pensa di essere postmoderno facendo ricorso a riprese veloci, montaggio frenetico, inquadrature sghembe, ammiccamenti ad uno stile da youtuber amatoriale. Senza accorgersi che è questo uno di quei casi in cui la confezione non fa il contenuto.

ATTORI POCO DIABOLICI

La prima puntata parte con una specie di autoreverse attraverso insert che mostrano squarci di un imminente futuro con il suicidio/omicidio di uno dei protagonisti: si prosegue girando letteralmente intorno a Borghi e ad una delle sue interpretazioni peggiori. Tanto da chiedersi se non sia stato un grosso fraintendimento applaudire ai suoi primi ruoli: perché l’interprete romano sembra incartarsi su sé stesso nell’esatto momento in cui cerca di cambiare pelle e ruolo, da “buon selvaggio” (visto e declinato in tutti i modi da Non Essere Cattivo a Il Primo Re, da Suburra a Il Più Grande Sogno – memori però delle grossolane scivolate su The Place e Napoli Velata, ovvero proprio quando il tono cambiava) a debosciato in giacca e cravatta.

La Londra del 2011, che mentre si sfrega le mani osserva attonita il disastro greco, dovrebbe essere un luogo perennemente in tensione, dove si cammina(va) in equilibrio per non fallire miseramente: e invece sembra che le otto mani dei quattro sceneggiatori, tra cui anche l’autore del libro di provenienza, preferiscano mettere in scena questa sensazione di pericolo con volti tesi in maniera innaturale e movimenti di macchina che dovevano sembrare finti anche cinquant’anni fa. Certo, inaspettatamente Dempsey fa un buon lavoro, diventando polo magnetico addirittura sottoutilizzato, anche se già aveva dato bella mostra di un altro sé in La Verità Sul Caso Henry Quebert: ma l’apparato produttivo e artistico del serial Sky, forse preda di una smania di modernità anzi modernismo, mostra davvero il fiato corto, non avendo nulla di quell’innovazione che era stata promessa, e neanche quel carisma narrativo che ci si poteva aspettare considerato il libro.

IMMAGINARIO VECCHIO, MA NON VECCHIO STILE

Sono nato in basso, l’unica possibilità era salire”, “il miglior modo per prevenire una crisi è crearla”, frasi telefonate che vengono pronunciate mentre ricchi, belli e dannati i protagonisti giocano a squash e sniffano cocaina senza tener conto di affetti o dignità. Insomma roba uscita da modernariato d’accatto: ma se certe scene e sequenze in American Psycho della Harron non convincevano vent’anni fa ma nel 2000 davano un senso di nichilismo, nell’immaginario di oggi non solo sono invecchiate male ma pure danno l’impressione di una assoluta mancanza di creatività o ingegno in fase di scrittura.

Su tutto, come si è detto, l’incapacità di Alessandro Borghi di governare le sue faccine, dall’espressione maledetta a quella attonita, che passano per il medesimo sguardo con occhi strabuzzati: certo è che un doppiaggio maldestro (fatto da Andrea Mete e non dall’interprete originale per ammessa inabilità) non ha aiutato.

E ci ritroviamo allora con le prime due puntate che sbagliano completamente mira, sbandando e andando per strade non loro, facendo sperare lo spettatore che tutta la serie non sia come gli scandali che racconta con dovizia di particolari: destinati inevitabilmente a crollare.

  • Anno: 2020