I ragazzi di via Panisperna, un film di Gianni Amelio che racconta gli entusiasmi, le paure, le gioie e le amarezze della vita (privata e professionale) di un noto gruppo di giovani scienziati, fisici e matematici, passati alla storia, appunto, come i ragazzi di via Panisperna. Scritto da Gianni Amelio e Vincenzo Cerami, con il montaggio di Roberto Perpignani, le scenografie di Franco Velchi e le musiche di Riz Ortolani, I ragazzi di via Panisperna è interpretato da Andrea Prodan, Ennio Fantastichini, Laura Morante, Michele Melega, Mario Adorf, Virna Lisi, Sabina Guzzanti. Il film vinse il Premio Flaiano per la sceneggiatura (Vincenzo Cerami).
Sinossi
La vicenda, ispirata a una storia vera, è ambientata negli anni Trenta, all’Istituto di Fisica di via Panisperna a Roma, dove il fisico Enrico Fermi formò un gruppo di ricerca con Emilio Segrè, Bruno Pontecorvo, Edoardo Amaldi ed Ettore Majorana, che si resero protagonisti di grandi scoperte nel campo della fisica nucleare. Nel film sono raccontate le vite, le ansie e gli entusiasmi di questi giovani, con una particolare attenzione al lato privato. La storia ha tra i filoni principali il rapporto tra Enrico e Ettore, col primo che finisce per essere un po’ padre, un po’ fratello maggiore di Ettore. Il regime politico, le leggi razziali, la scomparsa nel nulla di Ettore, che già avvertiva come le loro scoperte nelle mani sbagliate avrebbero potuto essere potenti armi di distruzione, si rivelano più decisivi dell’amore per la fisica che li aveva tanto uniti. I ragazzi prendono strade diverse.
Va riconosciuto a Gianni Amelio il rigore con cui ha affrontato questa storia in un film senza dubbio insolito: non una cronaca scientifica, né una sequela di incursioni universitarie sulle frontiere del mondo del sapere, alternate con beffarde goliardate. L’attenzione e l’interesse non cedono mai il passo al rigetto e alla noia, sempre possibili in un lungometraggio con una tematica tanto impegnativa. Chiamando sempre, o quasi, per nome i suoi eroi, il regista li immerge in un clima d’epoca egregiamente intuito e descritto, attenti ai loro studi e presto affascinati dalla nuova, clamorosa scoperta, resa possibile dalla presenza nell’equipe di intelligenze di primissimo ordine, oltre che dall’appoggio del professor Orso Maria Corbino (Mario Adorf).
Nell’exploit dell’esperimento si innesta il rapporto non certo facile delle personalità così diverse di Enrico Fermi (Ennio Fantastichini) e di Ettore Majorana (Andrea Prodan), fautori di due metodologie d’indagine volta a volta contrarie o convergenti, necessarie ambedue, ma implicanti anche risvolti opposti. E qui il film si fa più spesso sul piano psicologico, alternando lo sperimentalismo al fascino della ricerca pura, con aperti riferimenti a due uomini che sembravano fatti per intendersi per ricchezza di cognizioni e che pure divergono anche sul piano etico e delle responsabilità. Mentre per Enrico il ruolo dello scienziato è determinato dalle proprie scoperte, per Ettore resta pur sempre sottomesso al primato della coscienza e di certi irrinunciabili valori etici ed umani.
Quanto al “mistero Majorana”, il film con tocchi abili e discrete allusioni cita le varie ipotesi avanzate ormai da tanti anni: dal suicidio in mare (dal traghetto Palermo-Napoli), alla fuga all’Estero (lo scienziato aveva liquidato i suoi crediti e richiesto il passaporto), al rifugio in un chiostro di Napoli, quello in cui un domenicano assai riservato consegna, da parte di Ettore, a Fermi in ansiosa ricerca dell’ex-allievo, un fascicolo di appunti e di formule, con l’etichetta “uranio”. Formule nuove e forse decisive, una specie di testamento scientifico, in favore dell’unico legatario ritenuto possibile. Finale, dunque, aperto, per un film serio, solido, mai inquinato da banalità di sorta e giocato perfino sul registro del thrilling.