Anno 2020, 30 Marzo, Italia, 10.779 morti, 97.689 contagiati, esplode l’emergenza Covid-19 nel cuore dell’Europa, come se il virus originato in Cina avesse attraversato una specie di galleria sotterranea che lo ha portato a dilagare in Lombardia e progressivamente a diffondersi in tutto il paese. Dopo un primo momento di sbigottita prudenza e sottovalutazione dell’emergenza si è passati alla quarantena pressoché totale, l’intero territorio italiano è attualmente zona rossa. Progressivamente sono stati chiusi ristoranti, locali, musei, cinema e teatri fino ad arrivare alla chiusura praticamente di tutto. Le angosciose fantasie distopiche post apocalittiche viste nei film e lette nei romanzi, hanno bucato violentemente la pellicola che separa la finzione dalla realtà e sono diventate la nostra vita. Anche il minimo contatto fisico è impedito e le città, svuotate dai suoni e dai corpi sono avvolte in un silenzio sinistro che non può essere rotto neanche dal suono luttuoso di una campana a morto perché anche i funerali sono proibiti. Negli ospedali italiani soprattutto quelli del nord si combatte una guerra senza tregua con nuove vittime e nuovi eroi cioè i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari che fanno turni di 24 ore e continuano a lavorare spesso fino a morire in molti dello stesso virus che cercano di curare.
Non è certo la prima volta che un virus colpisce una comunità; ci sono modelli statistici ed epidemiologici che considerano questi fenomeni ciclici e tutt’altro che inaspettati anche se non è facile prevedere quando accadranno. Forse però è la prima volta che un virus colpisce una democrazia, cioè che una malattia portata da un virus, in epoca moderna, sia in grado di alterare, disorientare, condizionare una democrazia procurando potenti effetti sul suo ordinamento e sull’intero sistema-paese.
Questa al momento è una realtà molto forte in Italia ma presto sarà così per l’Europa e molti altri paesi. Non si può uscire di casa se non per motivi importanti e certificati, ci sono file ai supermercati e si deve mantenere almeno un metro e mezzo di distanza da chiunque e ormai praticamente tutti se possono indossano le mascherine. L’università ha sospeso le lezioni così come la scuola di ogni ordine e grado. Moltissimi ospedali italiani sono al collasso e i posti di terapia intensiva sul territorio italiano stanno per raggiungere il proprio livello di saturazione. Interi comparti industriali si stanno riorganizzando per modificare le proprie produzioni e riconvertire gli impianti alla produzione di mascherine e componenti per la respirazione artificiale.
Tutto questo viene fatto per un motivo molto serio e molto valido, preservare la salute fisica dei cittadini, ridurre la diffusione del contagio e salvare vite umane.
In queste settimane abbiamo imparato a conoscere un acronimo che in precedenza avevamo sentito raramente, DPCM.
Il DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio) è ‘un atto amministrativo che non ha forza di legge e che, come i decreti ministeriali, ha il carattere di fonte normativa secondaria e serve per dare attuazione a norme o varare regolamenti’ (definizione de ilSole24Ore); una tecnicalità quindi prevista dalla nostra Costituzione, usata per effettuare provvedimenti in tempi stretti, perché di fatto non implica il più articolato e prolungato dibattito parlamentare, che viene usata il meno possibile per lo stesso motivo, cioè il fatto che prescinde dal dibattito parlamentare con i rappresentanti degli elettori.
Se in questo momento si accetta la possibilità di stressare un po’ la nostra costituzione e di andare incontro alle gravi conseguenze economiche dovute al lock down totale, significa che c’è un motivo.
In effetti il motivo c’è ed è anche piuttosto sensato perché affonda le sue radici nei recessi più profondi della nostra costituzione biologica. Quando un organismo è minacciato, si innescano modelli innati di tipo bio-comportamentale che mirano all’autoconservazione del corpo biologico, quello che comunemente viene chiamato istinto di sopravvivenza, che codifica attraverso delle strategie di fronteggiamento il terrore più profondo di un organismo e di una specie, cioè quello dell’estinzione. Quindi quello che sta accadendo è giustificato dal bisogno di proteggere la salute fisica delle persone e la vita umana. Qui però è necessario focalizzarsi su una sfumatura dalle importanti implicazioni.
Sebbene la salute fisica e l’integrità del corpo biologico siano un presupposto fondamentale della vita in generale, è necessario sottolineare che la vita umana non si riduce soltanto a questo. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità già da diversi anni sottolinea come la salute debba essere considerata un fenomeno biopsicosociale, testimonianza del fatto che l’essere umano, per essere pienamente umano ha bisogno di vedere assolti oltre i suoi bisogni biologici anche quelli emotivi e relazionali.
Questa emergenza Covid-19 ha alterato traumaticamente tutti questi aspetti che danno senso al vivere personale e collettivo e non sembrano esserci segnali che questa drammatica condizione terminerà a breve; il blocco totale probabilmente durerà settimane e per il ritorno ad una certa “normalità” ci vorranno mesi, quindi è importante per l’immediato futuro, l’idea e la visione, che l’opinione pubblica e il sistema decisionale politico possiedono, di cosa va protetto e tutelato.
Proteggere il corpo biologico della nazione è indiscutibile, ma al grande sforzo e impegno profuso dagli amministratori e dal mondo politico in questa situazione, deve progressivamente ma velocemente affiancarsi anche la protezione del corpo sociale. Questo significa molte cose, ad esempio sostenere le persone che non potendo lavorare a causa del blocco vedono in pericolo la possibilità di sostentare la propria famiglia. Supportare le famiglie che hanno al proprio interno una persona con disabilità oppure figli autistici che hanno visto la sospensione improvvisa di tutte le attività riabilitative e socio educative, che consentono a chi vive tale condizione di avere routine in grado di contenere le stereotipie e la tensione fisica; tecnicamente secondo i decreti attualmente in vigore non è possibile per un genitore di un figlio disabile accompagnarlo a fare una passeggiata per alleviare la tensione. #iorestoacasa, il motto nazionale che ci invita al rispetto della quarantena e che ci aiuta a farci coraggio, non aiuta le persone che una casa non ce l’hanno, non sanno dove andare a mangiare, non hanno un medico di base da contattare qualora stessero male che può monitorare le loro condizioni di salute, sono gli spettri galleggianti delle nostre città fantasma e anche loro tecnicamente non potrebbero stare in giro.
A Roma organizzazioni come l’Opera don Calabria e il suo servizio di Mensa Sociale, Binario 95 e la comunità di Sant’Egidio svolgono un’incredibile lavoro per dare sostegno ai senza dimora che hanno fame e bisogno di tutto, ma queste organizzazioni sono allo stremo.
#iorestoacasa per molte donne significa l’aumento della probabilità di subire violenza domestica, fenomeno che certo non scompare soltanto perché gira un virus mortale anzi viene probabilmente esasperato dall’isolamento. La condizione delle carceri italiane già critica prima di questo momento ad oggi è esplosiva, come lo è quella delle RSA e delle case di riposo per anziani fragili, che pur essendo il luogo in cui vivono le persone più esposte al virus sono invece anche le strutture meno dotate di dispositivi di protezione e di procedure di sanificazione. Ma gli esempi potrebbero continuare.
Molte di queste condizioni e criticità erano già presenti prima di questa emergenza, ma in questo momento c’è il rischio che spariscano del tutto dall’orizzonte degli interventi, non venendo percepiti come prioritari per la lotta contro il virus. Il virus colpisce tutti indiscriminatamente invece questa situazione di emergenza e chiusura generale colpisce soprattutto i gruppi sociali più fragili e già in difficoltà, pertanto è necessario trovare il modo di conciliare una quarantena che sarà inevitabilmente lunga con la protezione dei bisogni primari di tipo economico ma anche sociale, psicologico e relazionale. L’opinione pubblica deve aiutare gli amministratori e i decisori politici a rappresentare l’importanza della protezione del corpo sociale.
Giuseppe Melillo in un articolo pubblicato sull’Huffington Post dal titolo ‘La pratica della cura come segno di civiltà’, riporta questo aneddoto:
“Uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead quale riteneva fosse il primo segno di civiltà in una cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di ami, pentole di terracotta o macine di pietra. Ma non fu così. Mead disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito. Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo. Sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te. Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l’osso guarisca. Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi. Mead disse che aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia. Noi siamo al nostro meglio quando serviamo gli altri. Essere civili è questo”.
L’uomo è senza dubbio un animale e come tale è soggetto alle leggi del mondo animale, ma allo stesso tempo è anche qualcosa di diverso da un animale, pertanto anche se stiamo vivendo un momento terribile forse è anche il momento giusto per fare lo sforzo di trascendere il darwinismo biologico in cui sopravvive il più adatto per arrivare a un darwinismo sociale in cui la società più forte e avanzata e quindi destinata a sopravvivere, è quella che riesce ad adattare l’ambiente ai suoi cittadini più fragili, avvertendo come necessità incontenibile quella di dare aiuto a chi rischia di non farcela.
Damiano Biondi