Alla base di Lost Girls, primo lungometraggio dell’affermata documentarista Liz Garbus (già nomination all’Oscar per il documentario The Farm: Angola, USA), c’è l’omonimo romanzo di Robert Kolker che affronta una vicenda realmente accaduta negli Stati Uniti a partire dal 2010.
Si tratta di un mistero tuttora irrisolto, come veniamo a sapere dalla didascalia posta sui titoli di testa e che vede al centro della vicenda una serie di giovani prostitute uccise da un serial killer del quale, ancora oggi, è sconosciuta l’identità.
L’incipit del film della Garbus, sceneggiato da Michael Werwie, ci proietta immediatamente nel climax della vicenda: una ragazza corre nella notte cercando aiuto e inseguita dai fari di un’automobile. Poi la scena si sposta su una donna, Mari Gilbert (interpretata da una intensa Amy Ryan) una lavoratrice precaria, madre di tre figlie, Sherre (che ha il volto della giovane Thomasin McKenzie da poco vista in Jojo Rabbit), Sarra, con grossi problemi psicologici, e Shannan, la più grande, colei che avevamo visto fuggire nella sequenza precedente e che risulterà ben presto scomparsa nella zona residenziale di Oak Beach, dalle parti di Long Island.
La cronaca di un anno di ricerche
Quando Mari si renderà conto della scomparsa della figlia, inizierà un lungo braccio di ferro con le autorità locali, restie a indagare sulla scomparsa della giovane. Grazie alla perseveranza e alla sua insistenza, riuscirà a far intervenire le forze dell’ordine le quali, durante le ricerche, troveranno i corpi di altre quattro prostitute (alle quali, negli anni, ne seguiranno molti altri). Tutte ammazzate, si presume, dalla medesima mano omicida. La stessa che potrebbe avere ucciso anche Shannan, il cui corpo però faticherà a venire alla luce.
Tutto il film è la cronaca di un anno di disperate ricerche della figlia da parte di Mari, che si scontrerà contro l’inerzia e il disinteresse della polizia. Colpevole, fra le altre cose, di aver ricevuto la telefonata con la richiesta di aiuto da parte di Shannan e di aver impiegato ben un’ora di tempo per recarsi sul posto senza, ormai, trovarne più traccia.
Un mistero che ha visto implicati alcuni abitanti di Oak Beach, che però non sono mai stati indagati per il caso di Shannan Gilbert, per colpa soprattutto di un commissario di polizia, interpretato da Gabriel Byrne, poco propenso all’indagine.
Un thriller intriso di dolore che si sviluppa con un incedere lento verso la “non risoluzione” del caso
Lost Girls è un film intriso di dolore; un thriller che si snoda per tutta la sua durata con un incedere lento verso quella che sarà la “non risoluzione” del caso. Una pellicola che ha il merito di non lasciare troppo spazio alla spettacolarizzazione dei fatti e dalla quale emerge un senso di desolazione, al quale contribuisce anche la fotografia plumbea di Igor Martinovic.
Un mistery nel quale si dibatte una umanità dolente alla disperata ricerca di una verità negata. Nel volto tragico di Mari Gilbert, scavato da profonde rughe di fatica e preoccupazione, è racchiusa tutta un’America dimenticata: loser che faticano a reggere il passo col presente ma che a volte hanno ancora la forza di sollevare la testa mostrando al mondo tutta la propria disperazione e gridando la propria rabbia. A questa categoria di persone appartiene la combattiva Mari Gilbert che nella realtà ha lottato sino in fondo per cercare la verità circa la scomparsa della figlia, diventando la portavoce del gruppo di madri e sorelle che hanno visto le proprie care trucidate dal mostro di Oak Beach.
Lost Girls è un film di donne forti anche se stremate dal dolore, dove gli uomini, per lo più pavidi o colpevoli, ne escono irrimediabilmente sconfitti. Liz Garbus è brava nel raccontare, in maniera non scontata, un altro tassello del cuore nero dell’America. Un paese che si assolve di fronte a quello che, in fondo, altro non è che un fatto di cronaca nera nel quale sono state uccise solamente delle prostitute e, in quanto tali, da criminalizzare a priori.
Marcello Perucca