L’ospite è un film del 1972 diretto da Liliana Cavani. Presentato in concorso alla XXXII Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e al XXIV Festival di Cannes nella sezione Quinzaine des Réalisateurs, sceneggiato da Liliana Cavani, con la fotografia di Giulio Albonico, il montaggio di Andreina Casini, le scenografie e i costumi di Fiorella Mariani e le musiche di Gioacchino Rossini, L’ospite è interpretato da Lucia Bosé, Peter Gonzales, Glauco Mauri, Giancarlo Maio, Gian Piero Frondini, Alfio Galardi, Maddalena Gillia, Maria Luisa Salmaso, Lorenzo Piani.
Sinossi
Uno scrittore, ottenuto il permesso di frequentare un ospedale psichiatrico per preparare il prossimo romanzo, nota diverse carenze sia mediche sia sociali nel trattamento dei degenti, ma le sue critiche non vengono bene accolte dai medici. II letterato ha inoltre l’opportunità di conoscere Anna, una donna ormai guarita, che viene affidata al fratello. II reinserimento nella famiglia e in società si rivelano però difficili e Anna, terrorizzata da un approccio aggressivo da parte di un giovane, fugge nella casa dei defunti zii. Lì rivive il passato in chiave fantastica, prima di venire presa in consegna dalla polizia.
L’ospite è un film Rai diretto da Liliana Cavani nel 1971; nella filmografia della regista emiliana arriva dopo Francesco d’Assisi (1966), Galileo (1968), I Cannibali (1970), e precede Milarepa (1974) e Il portiere di notte (1974). Il tema è quello della malattia mentale e dei manicomi, tema molto d’attualità in quegli anni per via della riforma che prese il nome dallo psichiatra Franco Basaglia, l’apertura dei manicomi (fino a pochi anni prima impensabile) e la vita degli internati dopo la liberazione. Su questo contesto, però, Liliana Cavani costruisce un soggetto drammatico originale; il film non è quindi un documentario come si potrebbe pensare dalle sequenze iniziali, ma un vero film con attori e con una storia narrata, molto probabilmente presa dal vero.
La storia è quella di Anna (interpretata da Lucia Bosè), entrata giovanissima in manicomio e rimasta rinchiusa per vent’anni; non è pazza, aiuta gli altri pazienti, fa lavori nell’ospedale psichiatrico e riceve regolare retribuzione, e tra breve potrebbe essere dimessa e tornare a fare una vita normale. È ancora molto bella, ha modi gentili ed educati, si prende cura amorevole di un giovane paziente che ha gravi difficoltà fisiche; tutti questi particolari attirano l’attenzione di uno scrittore (Glauco Mauri) che sta frequentando il manicomio per scrivere un saggio sulla condizione dei malati di mente. Quando viene dimessa dall’ospedale, Anna è contenta ma nel contempo è triste perché deve abbandonare il ragazzo malato (Peter Gonzales); viene accolta nella casa del fratello minore, sposato e con un figlio, ma sorgono subito contrasti. Anna vorrebbe fare una vita libera, da persona normale, ma il fratello e la cognata si preoccupano del suo possibile comportamento; infine, un vicino di casa (sposato e amico dei suoi parenti) le mette le mani addosso e lei si ribella. La verità viene a galla, ma Anna non viene creduta e dalla situazione nascono altri problemi. A questo punto Anna esce di casa e non torna più.
Qui rientra nella narrazione lo scrittore, che ha seguito Anna nella casa del fratello e riesce finalmente a rimettere insieme la vita della giovane donna. Anna e il fratello, da bambini, erano rimasti orfani ed erano andati a vivere nella casa degli zii, in campagna. Aveva avuto una storia d’amore con un cugino, finita male; da qui i tentativi di suicidio e la depressione che l’avevano portata al manicomio. Oggi non sarebbe così, ma negli anni ’50 e ’60 bastava molto meno per finire in manicomio (si veda anche Europa 51 di Roberto Rossellini, con Ingrid Bergman protagonista) e non uscirne più. Ed è infatti in quella casa di campagna, una casa molto grande e ricca, che verrà ritrovata Anna; lo scrittore, che ha intuito dove potesse essere, dice al fratello di Anna “spero di arrivare prima della polizia”, ma così non sarà. Avvisati dal fratello, i poliziotti trovano Anna e la riportano di forza in manicomio.
Nei titoli di testa del film è scritto che le musiche del film sono di Gioacchino Rossini, ma è vero solo in parte. Si ascolta molta musica, ma l’elenco completo non è indicato da nessuna parte. Nel film sono inserite anche delle canzoni: nella sequenza della spiaggia si ascolta un grande successo di pochi anni prima, Venus degli olandesi Shocking blue; Banoyi è cantata dalla sudafricana Miriam Makeba. Il film è girato a Pistoia, le automobili sono targate Pisa; non viene indicato il luogo reale dove è stato girato il film, forse per rispetto nei riguardi degli ammalati. L’insieme fa pensare spesso a Mario Tobino, scrittore e psichiatra, e ai suoi libri (Le libere donne di Magliano, Per le antiche scale, e altri ancora), che venivano pubblicati in quegli stessi anni; il soggetto è però di Liliana Cavani, e di Tobino non si fa menzione nel film.
Si tratta di un bel film, ancora oggi, anche se con qualche difficoltà iniziale per lo spettatore; ma gli attori sono ottimi, in particolare Lucia Bosè (che ricorda ruoli simili di Alida Valli), e lo stile di regia asciutto e preciso è prezioso.