Perché hai fatto un documentario sulla prostituzione maschile?
Ho vissuto molti anni nel quartiere di Once, dove si svolge il film, ma la piazza e la stazione per me erano solo luoghi di passaggio. Un pomeriggio, per caso, ho incontrato un ragazzo che apparentemente non stava facendo nulla, ma mi ha detto che stava lavorando. Quel momento ha rappresentato per me un prima e un dopo. Ho scoperto che c’era un mondo visibile, ma ignorato da molti: quello del lavoro sessuale di tantissimi uomini giovani in quella zona della città, in pieno giorno. Avvicinandomi a loro ho scoperto che era una realtà invisibile, fatta di molta violenza e ingiustizia – da qui la mia decisione di renderla visibile attraverso un film. Penso che Miserere possa innescare un dibattito sulle realtà ignorate nella velocità della vita quotidiana delle grandi città. In un contesto di iper-competizione e routine di celerità diventa difficile trovare spazio, tempo, energie, per avvicinarsi a certe realtà molto complesse che ci circondano. D’altra parte, penso che sia un film che può favorire un dibattito sulla mascolinità. Riflettere su come costruiamo noi stessi come uomini, su come agiamo come uomini, su quali sono le cose che costituiscono il “dover essere” della mascolinità: competizione, forza, violenza, solitudine. Allo stesso tempo, è la mascolinità virile di questi ragazzi il valore che i clienti cercano. Naturalmente è possibile aprire dibattiti sul lavoro sessuale, sulla circolazione del desiderio tra gli uomini. Personalmente, al di là del mio film, ritengo che il cinema sia un ottimo strumento di riflessione e trasformazione. In questo senso, il circuito di distribuzione di Miserere includerà luoghi che consentano il dibattito e speriamo che incoraggino processi di trasformazione del lavoro sessuale maschile.

Com’è nato e si è sviluppato il tuo rapporto con i protagonisti?
All’inizio del progetto mi sono gradualmente avvicinato ai lavoratori sessuali di Once per conoscere la loro realtà, ascoltandoli, prendendo appunti, facendo interviste. Nel corso del tempo ho generato un legame emotivo non solo con i protagonisti, ma anche con altri lavoratori e lavoratrici. La scelta dei protagonisti ha risposto all’obbligo di rispettare il loro consenso alla registrazione; la maggior parte di loro ha preferito non farlo, perché svolgono la propria attività nella clandestinità, il loro ambiente affettivo non lo sa. C’è un doppio stigma in loro, da un lato lo stigma sociale sulla prostituzione, dall’altro lo stigma di fare sesso con gli uomini, considerato che la maggior parte di loro non si considera omosessuale. Il mio legame con i protagonisti e con altri ragazzi e donne di Once continua ancora oggi.
Nel documentario citi i versi della Prostitución Masculina di Néstor Perlongher. Quali film o registi ti ispirano?
Mi piace lavorare con riferimenti letterari e cinematografici. Miserere ha come riferimento strutturale, formale e metodologico il lavoro di Jean Rouch in Moi, un noir. In termini di contenuto e concettuali, la mia guida è stata La prostituzione maschile, libro del poeta e sociologo argentino Néstor Perlongher, sui lavoratori sessuali a San Paolo, Brasile negli anni ’80. Sia per Miserere che in generale, tre dei miei più grandi riferimenti sono il regista argentino Leonardo Favio, il tedesco Rainer Werner Fassbinder e l’opera cinematografica e letteraria di Pier Paolo Pasolini. Pasolini è un riferimento sin dalla mia adolescenza, molto prima di studiare formalmente la cinematografia. Sicuramente quell’influenza in Miserere è evidente. Molti anni fa sono stato, per caso, a Ostia ed è stata una rivelazione per me, ho sentito che stavo affrontando i protagonisti dei suoi film. C’è una forte somiglianza tra loro e i ragazzi che lavorano a Once, in gioventù, in bellezza, in origine sociale, nella loro pulsione sessuale.

Miserere evidenzia il legame tra sessualità, lavoro e precarietà…
Nelle ultime settimane il dibattito sulla prostituzione si è intensificato in Argentina: da una parte l’abolizionismo, dall’altra coloro che difendono il riconoscimento del lavoro sessuale, l’estensione dei diritti e la depenalizzazione. La precarietà attraversa i rapporti di lavoro in generale nel capitalismo. Silvia Federici l’argomenta molto chiaramente. Il lavoro sessuale non sfugge a questa realtà, e peggiora fintanto che non viene riconosciuto come lavoro e che il dibattito sui diritti dei lavoratori del sesso non viene aperto. In Argentina, ci sono anche leggi locali che criminalizzano le lavoratrici del sesso. In relazione agli uomini, la persecuzione non è a causa dell’attività ma per una questione di classe, sono perseguitati per essere uomini poveri, di strada. Penso che il dibattito sulla prostituzione maschile offra anche la possibilità di parlare della circolazione del desiderio omosessuale. Credo che i clienti, in gran parte, siano esclusi dal mercato del desiderio gay e trovino in questi spazi un modo per soddisfare quel desiderio. Certamente, il legame tra lavoratori sessuali maschili e clienti non è una questione di vittima e carnefice.
Nel documentario c’è un riferimento importante alla famiglia. Uno dei protagonisti divide la sua giornata tra la figlia piccola e la prostituzione, e fa questo lavoro per garantire la sopravvivenza alla bambina.
All’inizio della mia indagine sono stato sorpreso dalla quantità di “taxi-boys” che avevano mogli e figli. Non era qualcosa che mi aspettavo, partendo dal mio pregiudizio iniziale. Quindi ho deciso che era essenziale includerlo nel film, che il lavoro sessuale maschile non rimanesse separato dal tema della famiglia. Quando ho incontrato Rubén, l’ho trovato un protagonista ideale in questo senso, poiché aveva un legame molto forte con sua figlia. Gran parte dei lavoratori sessuali hanno famiglie e il loro reddito, sebbene scarso, serve a sostenerle economicamente. Sebbene stiamo attraversando un periodo di cambiamento del paradigma della famiglia, in questi casi non si tratta di famiglie lontane dal modello classico. Questi uomini tendono a formare coppie eterosessuali e monogame, anche se a volte hanno figli con più di una donna.
Per altri protagonisti, invece, la prostituzione sembra più una forma di ribellione, resistenza e piacere, oltre che una necessità economica. Vivono ai margini, ma sembrano in qualche modo a loro agio con questa vita.
Sì, ritengo che in molti ragazzi questa attività sia una forma di ribellione, o meglio l’emergere di una personalità ribelle. Ribelle perché non si sottomettono a determinati canoni sociali. Dall’inizio del progetto mi sono identificato con loro in molti aspetti, in particolare ho trovato dirompente il loro rapporto con la temporalità: tantissimi vivono nel presente, senza una proiezione nel futuro. Molti non usano i cellulari e hanno poca o nulla attività sui social network. Restano in uno spazio di passaggio. Vivono veramente in un paradigma diverso. Sebbene questo mi abbia affascinato da subito, non ho una visione romantica al riguardo. Anche se la strada è per loro un luogo di divertimento, avventura, affetto e solidarietà tra pari, è pure uno spazio di solitudine, di violenza. Il loro luogo di ribellione non è una posizione confortevole. L’espulsione dalle famiglie, essendo molto giovani, è ricorrente nella storia di molti. A volte questa situazione si crea perché sono case espulsive di per sé, ma in altri casi sono loro così dirompenti che le famiglie finiscono per buttarli per la strada. È la storia della pecora nera. Penso che occupino un luogo di resistenza, tuttavia non senza dolore, non senza perdita.

Puoi raccontare qualcosa delle scene di sesso tra i protagonisti e i clienti in hotel e al cinema? Quali sono state le difficoltà? C’è un motivo per cui la pornografia, sullo sfondo, rappresenta sempre rapporti eterosessuali?
La scena di sesso nell’hotel era fondamentale. Il lavoro sessuale di strada non è però solo l’incontro sessuale con il cliente, è anche tutti i tempi di attesa precedenti e successivi. In questo senso, volevo che il film si sviluppasse anche nelle strade. Abbiamo costruito la scena di sesso con alcune premesse: che succedesse durante il giorno e in un ambiente luminoso, non lugubre. Era importante che nel rapporto sessuale non ci fosse godimento o disgusto, che ci fosse un legame meccanico. Lo abbiamo montato in parallelo con la donna che pulisce le camere, per generare un’associazione tra i due mestieri. La pornografia eterosessuale ha più di una ragione. Da un lato, la quotidianità: quando i lavoratori sessuali vanno in hotel con un cliente c’è sempre il porno eterosessuale in TV, come nella maggior parte dei cinema XXX della città, nonostante gli utenti siano principalmente omosessuali. La maggior parte dei ragazzi afferma di aver bisogno di quella pornografia eterosessuale per erotizzarsi e fare sesso con i clienti, perché dicono di non avere desiderio per gli uomini, che fanno questo lavoro soltanto per soldi. Infine, questo tipo di pornografia è fallocentrica, così come la prostituzione dei questi ragazzi: generalmente i clienti li cercano per il fallo, per la mascolinità virile che rappresentano. Da qui anche la decisione dell’unico dettaglio della scena. In termini di produzione, inoltre, la scena era complessa. Non è stato facile trovare nessuno dei due ruoli, abbiamo avuto bisogno di mesi di lavoro. Anche la ripresa non è stata semplice, ma tutto è stato concordato precedentemente con i due uomini e strutturato con precisione, a seconda delle dinamiche standard che i “taxi-boys” raccontano su questi incontri; non c’era spazio per l’improvvisazione.
Miserere è il nome della piazza di Buenos Aires dove incontriamo spesso i protagonisti. La città sembra un elemento molto importante del documentario. Perché?
La prostituzione maschile di strada è intrinseca alle grandi città del mondo. Nel corso della mia ricerca ho trovato un parallelismo con molte altre città. La stessa logica, giovani uomini con poche risorse che offrono i loro servizi sessuali in luoghi ad alto traffico di persone: Berlino, San Pablo, Roma, Lima, Parigi. Ricorrono due spazi: le grandi piazze e le grandi stazioni ferroviarie che, nelle parole di Néstor Perlongher, finiscono per configurare spazi di “circolazione desiderante”. Poi i clienti: uomini adulti, per lo più anziani, in pensione, esclusi dal mercato dei desideri gay, gerontofobo secondo me, un mercato che sostiene anche ideali di bellezza egemonica. Il quartiere di Once è anche un’area di commercio molto economica all’interno della città di Buenos Aires, un luogo in cui beni e servizi possono essere trovati a basso prezzo. Vi si collega il lavoro sessuale a basso costo, che viene svolto anche in alberghi molto economici che si trovano intorno alla stazione. È importante tenere presente che ci sono anche “taxi-boys” che pubblicizzano i loro servizi in un altro modo e in altri spazi, e i cui costi sono molto più elevati. Nella mia esperienza, il quartiere di Once è anche un luogo in cui questi giovani uomini trovano piacere nel loro percorso. Uno spazio che offre divertimento, accesso al consumo di droghe, alcol, e tantissimi nuovi rapporti sociali e sessuali.
