Ultras è il nuovo film di Netflix, diretto da Francesco Lettieri. Nel suo primo lungometraggio il regista ha portato sullo schermo il mondo degli ultras in tutta la sua complessità, in maniera oggettiva e sincera. Lo abbiamo incontrato per un’intervista
Vieni da una lunga carriera di videoclip musicali dove Napoli è spesso e volentieri centrale. Penso, ad esempio, ai videoclip dell’artista Liberato. Anche in Ultras è un elemento di fondamentale importanza. Ciò che ti lega alla tua città d’origine è pertanto un legame simbiotico, viscerale. Lo confermi?
Sicuramente. Ho vissuto dieci anni a Roma e da un paio d’anni son tornato alla mia città: Napoli.
Da dove nasce, esattamente, l’idea di trattare una tematica di questo tipo?
L’idea, in verità, nasce da un soggetto stilato per un videoclip musicale per Calcutta, poco dopo il suo successo iniziale. Feci il video di Cosa Mi Manchi A Fare, il suo primo video di successo, girato al Pigneto. Poco dopo, scrissi questa storia per Frosinone e gliela mandai. Il video era stato già ideato da un altro regista. Pertanto, mi son ritrovato in mano questo soggetto dove era già presente Sandro, detto Er Mohicano. Era poi ambientato tra Frosinone e Latina, c’era l’immagine di lui che guardava da lontano lo stadio poiché non poteva andarci. C’era anche l’immagine della storia d’amore a distanza tra il Mohicano e la squadra di calcio. Anni dopo, con Peppe Fiore, l’altro sceneggiatore di Ultras, abbiamo capito che era perfetto per il film.
È stato girato prevalentemente la sera, forse.
Sì. Ci sono molti notturni ed esterni. Sono presenti tantissime location: abbiamo girato per sette settimane e praticamente ogni giorno eravamo in un posto differente. È stato sicuramente un film impegnativo.
Il film ha ricevuto delle critiche forti, in merito alla morte di Ciro Esposito.
In realtà, è tutto molto perverso. Non ci sono riferimenti alla storia di Ciro Esposito e poi le critiche son venute fuori prima ancora dell’uscita del film, per il trailer e delle voci che giravano. Già durante i casting avevo comunicato la sinossi del film agli attori. Col passaparola, ognuno espone il suo giudizio. Si sa bene. Personalmente, credo che il film sia molto rispettoso nei confronti degli ultras. Alcuni mi accusano di parlare della solita Napoli criminale, ma in realtà ricevo tantissimi messaggi di gente che ha voglia di venire qui. Ricevo molti complimenti.
La fotografia riflette in pieno quella dei tuoi videoclip.
La fotografia è stata curata da Gianluca Palma, come nei miei videoclip. Anche per quanto riguarda la scenografia e i costumi, siamo lo stessso team di lavoro. Il film ha un tratto estetico che, ovviamente, parte dai video. È inevitabile.
Anche la musica è curata sapientemente.
Sì, l’esperienza dei videoclip l’ho trasferita nel film. Ho inserito molta musica, usata nella maniera più disparata: da Lucio Dalla all’elettronica e la techno. C’è anche Funiculì Funiculà, ma rivista in chiave Arancia Meccanica.
Cosa c’è di autobiografico? Com’è il tuo rapporto col calcio?
Sono sempre stato un tifoso del Napoli, ho frequentato la curva. Ho sempre seguito tutte le partite in maniera intensa. Anche durante le riprese del film, se c’era una partita, la guardavo accanto al monitor. Credo che il calcio sia una grande passione, oltre al cinema e la musica. Mi riguarda direttamente.
Per quanto riguarda la scelta degli attori e la costruzione dei personaggi, cosa puoi dirci?
Sono due aspetti che ho curato di pari passo. Molto è cambiato dalla sceneggiatura. Alcuni erano già presenti in essa. Ho tentato proprio di ricostruire i personaggi a partire dalla scelta degli attori. Ho anche voluto inserire degli esordienti. Mi importava portare sullo schermo la verità, la realtà, la naturalezza.
La sincerità è un aspetto essenziale nel film. Ci sono dei messaggi che intendevi trasmettere?
Non volevo assolutamente trasmettere messaggi, il film infatti non ha intenti moralistici. Ho cercato di restare al di fuori, senza emettere giudizi. A me interessava semplicemente raccontare una storia ed emozionare.