La mostra inizia curiosamente dalla fine della vita dell’artista e i pochi che hanno potuto finora visitarla, in occasione della conferenza stampa e per altri pochissimi giorni, si chiedono il perché. Ma questa scelta dei curatori risulta, a posteriori, assai inquietante.
Raffaello morì il 6 Aprile 1520, a 37 anni, nel giorno di Venerdì Santo. Vasari ricorda che la morte sopraggiunse dopo quindici giorni di malattia, causata forse da eccessi amorosi e curata con ripetuti salassi. Secondo altri, invece, l’artista è morto a causa di una polmonite fulminante. Inquietante il parallelo tra la scottante drammaticità di questi giorni di Covid – 19 e questo grande evento di Roma, la cui apertura era attesa da mesi e che, con tutta una serie di iniziative e battage pubblicitari, si presentava come il clou della stagione espositiva romana. La mostra si è inaugurata – e chiusa poco dopo – quasi in primavera, proprio nel periodo in cui morì il grande maestro e a causa di questa epidemia di Coronavirus che provoca proprio polmonite.
La scelta di iniziare il percorso espositivo dalla morte dell’artista, risulta, al minimo, di evidente cattivo auspicio. Per ora, infatti, Le Scuderie del Quirinale, ovviamente, non sono visitabili. Ma, per sollevare lo spirito a chi è costretto al domicilio coatto o che, in ogni modo, affronta una drammatica emergenza, sono state attivate visite virtuali della mostra. Le Scuderie del Quirinale aprono le porte “virtuali” della mostra su Raffaello. Vedi Raffaello Oltre La Mostra. La riapertura, ovviamente, si rimanda a data da stabilire. Con l’auspicio che si possa quanto prima godere dal vivo di queste opere d’incomparabile bellezza.
“Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire.” Questo è il noto epitaffio, di Pietro Bembo o forse del poeta e amico dell’artista Antonio Tebaldeo. Le prime immagini della grande mostra sono, appunto, quelle relative alla sua tomba, ricostruita per l’occasione. L’originale si trova in uno dei monumenti più importanti di Roma: il Pantheon. Lì è sepolto Raffaello da Urbino che visse solo trentasette anni, ma ebbe una ricca produzione. Il maestro dal 1509 al 1520 fu una delle etoile della città dei Papi, della società romana e della Curia. Lo stile di Raffaello, famoso e stimato artista, apprezzato da tutti sin dalla sua giovinezza, diviene anche nei secoli successivi una sorta di logo iconografico che rappresenta una linea ben precisa di linguaggio, fatta di eleganza di postura, equilibrio di composizione, compattezza e vibrazioni del colore, oltre a contenere quell’ineffabile armonica malinconia che sembra pervadere ogni tela e ogni affresco.
“Alla Maniera di Raffello” era un modo di dipingere cui ispirarsi e che sarebbe rimasto invariato per secoli: dai cosiddetti Manieristi della fine del ‘500, per superare i secoli fino ad arrivare indenne ai movimenti classicisti dell’800, come i Preraffaelliti, che mediarono i colori compatti e intensi, le composizioni, ma soprattutto riscoprirono la carica romantica ante litteram della sua pittura. Il suo nome torna sempre quando si tratta di bellezza al di sopra degli schemi.
Urbino, il luogo della nascita del maestro nel 1483, era una fucina di cultura. Il grande, magnifico Palazzo dei Duchi di Montefeltro rappresentava un polo splendido di ogni forma d’arte e di decorazione. Il padre, Giovanni Santi, lavorava per i duchi e per la nobiltà del luogo. Oltre alle parti decorative si occupava, come molti altri artisti, anche di rappresentazioni teatrali per la corte. Il giovane Raffaello, che frequentò stabilmente il palazzo, ebbe dunque modo di elaborare un suo specifico mondo poetico che s’incentra sull’esperienza di bottega, su studi accademici e a partire dalla conoscenza delle forme e i linguaggi più noti degli artisti del centro Italia. Tra gli altri: Piero della Francesca, Luciano Laurana, Francesco di Giorgio Martini, Pedro Berruguete, Giusto di Gand, Antonio del Pollaiolo, Melozzo da Forlì e naturalmente il Perugino che divenne, dopo la morte del padre, un riferimento per il giovane artista.
Umanisti, scienziati e letterati, furono suoi amici. Meno nota è la sua opera di studioso e conservatore del patrimonio archeologico di Roma antica, un vero capostipite della tutela dei beni culturali. Esposte più di cento opere che testimoniano uno stile unico che è diventato emblema di classicità e bellezza. Il senso armonico delle forme che, indipendentemente dal soggetto, è unito a una pastosa compattezza dei colori, rende ogni sua opera un capolavoro. Immagini note a tutti e anche qualche piccola novità. Madonne, gruppi sacri, ritratti di nobili e papi si alternano in mostra. Tutte soffuse dalla tipica dolce atmosfera raffaellesca. Oltre alle immagini de La Fornarina o de Il nobile Baldassar Castiglione, spicca la bellissima Madonna del Granduca, proveniente dagli Uffizi, dove la delicata malinconia della Vergine è in contrappunto con la consapevolezza dello sguardo di Gesù Bambino; l’azzurro e il rosso degli abiti sono sottolineati mirabilmente dallo sfondo scuro. Esposti anche dipinti, cartoni, disegni, arazzi, progetti architettonici, oltre a una serie di opere di confronto e contesto.
Realizzata da Le Scuderie del Quirinale insieme alle Gallerie degli Uffizi, la mostra è curata da Marzia Faietti e da Matteo Lafranconi con il contributo di Vincenzo Farinella e Francesco Paolo Di Teodipinti. Fino al 2 giugno 2020.