Donne sull’orlo di una crisi di nervi (Mujeres al borde de un ataque de nervios), un film del 1988 scritto e diretto da Pedro Almodóvar, liberamente ispirato da La voce umana di Jean Cocteau. Il film uscì nelle sale spagnole il 23 Marzo 1988.
In Italia debuttò sugli schermi, nel settembre dello stesso anno, in occasione della 45ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove venne presentato in concorso. Ha ottenuto 5 premi Goya su 15 candidature, è stato candidato all’Oscar al miglior film straniero.
Con Carmen Maura, Rossy De Palma, Antonio Banderas, Maria Barranco, Fernando Guillen.
Sinossi
Pepa, doppiatrice cinematografica, proprio quando realizza di essere incinta del suo amante e collega Ivan, si accorge che sta per essere piantata da lui ed entra in crisi. In casa le piomba l’amica Candela, implicata in una love story con un terrorista, seguita dalla moglie dell’amante traditore e dall’avvocatessa che si prepara a fuggire con Ivan.
Tutto sommato, a ben esaminare il risultato, Pedro Almodóvar fa un cinema classico.
La sfida al grottesco, il travalicare il realistico per giocare con l’assurdo. I fattori che utilizza per concretizzare l’operazione sono bizzarri, certo: ma alla fine, tirando le somme, ci si accorge che si tratta di un cinema legato al passato (ma che guarda al contemporaneo o, addirittura, al senza tempo).
Almodòvar raggiunse la fama con questo film che è un po’ la summa del suo modo di concepire lo specifico filmico nella prima parte della sua fulgida parabola.
Al solito i titoli di testa si registrano ardenti e curiosi, iconograficamente immersi in un’atmosfera cromaticamente “fotoromanzesca”, quasi a volersi pigliare in giro direttamente in prima persona, come a voler avvertire il pubblico che il suo è un tocco estrosamente svagato.
Dimensione teatrale
La dimensione quasi teatrale che avvolge buona parte dell’opera è un valore aggiunto (la cui breve unità d’azione è, anch’essa, funzionale e perfetta), ma non immediatamente riesce a immergere nel fiume scombussolato e nevrotico di questa commedia nera. E, infatti, dopo una prima mezz’ora discreta, nella quale si abbozzano i ruoli e i caratteri senza definirli (volontariamente), ecco che il film spicca il volo nell’ingresso della travagliata casa di Pepita, la madre dell’assassino, eroina di un serial televisivo grottesco che promoziona un discutibile detersivo che elimina il sangue dalla biancheria.
Il “dove” è importantissimo:
è il luogo in cui avviene la contaminazione tra il classicismo intrinseco almodòvariano e la cultura pop-raffinata di cui il regista si è cibato e si ciba nel presente. E via, allora, con gli orecchini a forma di moka del caffè, il taxi ghepardato, e a dir poco attrezzatissimo, il frullato di pomodori al sonnifero e così via, con una Carmen Maura strepitosa che cambia gli abiti di continuo.
Sempre più creativamente scatenato, colori che vagano esplosivi e intonati in un universo eccentrico in cui regnano il rosso, il viola, il giallo, l’azzurro, l’altra faccia (beffarda e irriverente) di un Douglas Sirk più rovente e pudico (sarebbe interessante accostare gli usi che Sirk e Almòdovar fanno della fotografia: analogo nella forma ma al contempo speculare negli intenti). Il surreale fa a botte con il reale e vince in nome dell’originalità. Le donne sono viste come esseri indecifrabili, la cui enigmaticità non è comprensibile dagli uomini: se questi ultimi appaiono come carnefici dei sentimenti femminili, le figlie di Eva commettono il sottile reato di manifestare la propria subdola fragilità, mascherata di nevrosi.
E lo sguardo di Almodòvar è indulgente, divertito ed affascinato, e si fa portavoce del pubblico maschile.
E poi: dall’arrivo della madre scellerata a casa di Pepita, il film si fa spassoso e dissacrante e si permette pure il lusso di scherzare con le pistole. Insomma, divertente e sorprendente, questa commedia brillante e infiammata ha più di un merito per essere annoverata come una delle migliori pellicole del genere realizzate negli ultimi decenni.
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