Un’opera aggiuntasi quindi ai lungometraggi concepiti in occasione dei cinquant’anni trascorsi dal massacro in cui perse la vita l’attrice Sharon Tate. Insieme a Sharon Tate – Tra incubo e realtà di Daniel Farrands e al chiacchieratissimo C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino.
Perché, come il titolo stesso lascia intuire, è sulla carismatica figura di Charles Manson che si sviluppa la oltre ora e quaranta di visione.
Il Manson responsabile dell’organizzazione dell’omicidio della allora compagna di Roman Polanski e in questo caso efficacemente incarnato dal Matt Smith della serie televisiva Doctor Who. Un Manson visto come un fascio di luce dai propri seguaci, che lo venerano quasi in qualità di divinità. Man mano che vengono anche mostrati i suoi brevi incontri con il produttore musicale Terry Melcher e con il batterista dei Beach boys Dennis Wilson.
Questi ultimi interpretati da Bryan Adrian e JamesTrevena Brown, che vanno ad arricchire un buon cast comprendente Hannah Murray, Sosie Bacon e Marianne Rendón. Nei panni di Lulu, Katie e Sadie, sono tre giovani donne condannate all’ergastolo per essere state, appunto, partecipi all’uccisione. Tre donne che, conversando con la psicologa Karlene Faith alias MerrittWever, ci portano alla progressiva scoperta della controversa personalità del folle in Charlie says.
Tutte protagoniste di una narrazione continuamente alternata tra il prima e il dopo l’arresto, lasciando emergere le proprie complesse quanto fragili e manipolabili psicologie. Al servizio di un’operazione che Mary Harron – regista di American psycho – ha messo in piedi attingendo dal testo The family, scritto da Ed Sanders. Un’operazione a detta sua non a difesa delle colpevoli, ma che cerca di comprendere come esse siano arrivate a fare cose terribili.
Una storia drammatica sugli anni Sessanta, che ha attinenza con i giorni nostri e che parla anche di questioni senza tempo.
Una vicenda che tratta di abuso e dominio, cose che sono successe nelle famiglie, nelle relazioni e nelle società nel corso della storia. Fino a tirare ovviamente in ballo il momento dedicato alla notte dell’aggressione, ma soltanto brevemente.
Del resto, l’interesse di Charlie says non è indugiare sul lato strettamente macabro dell’accaduto, bensì approfondire un preciso contesto sociale. Il contesto della fine della cosiddetta “summer of love” e i moventi psicologici, qui delineato tramite un lento incedere atto a privilegiare il dialogo. Un lento incedere che cattura l’attenzione dello spettatore fotogramma dopo fotogramma, aggiungendo un nuovo indispensabile tassello alla Settima arte dedicata agli assassini made in USA. Con il trailer nella sezione extra del disco.