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Conversation

Permette? Alberto Sordi: conversazione con il regista Luca Manfredi

Permette? Alberto Sordi racconta gli inizi della carriera dell'attore romano senza aneddotica, privilegiando la persona al personaggio. A uscirne fuori è il ritratto di un uomo determinato, ma anche fragile, a cui Edoardo Pesce si presta con una grande interpretazione, fatta di istinto e sottrazione. In onda in prima visione il 24 marzo su Rai 1, del film abbiamo parlato con il regista Luca Manfredi

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In un momento di ristrettezze e limitazioni che riguardano anche il cinema e la sua distribuzione, l’uscita in televisione dopo quella nella sale di Permette? Alberto Sordi assume un sapore particolare.

Beh, sì, visto che cade anche nel centenario della sua nascita e che per questo insieme alla Rai avevamo pensato di festeggiarlo con un omaggio affettuoso, raccontando un Sordi giovane e inedito, quello sconosciuto dei primi  anni della sua avventura artistica. C’è sembrato interessante soffermarci su quegli anni perché dell’altro Sordi, quello dei suoi film, sappiamo già tutto.

Se Sordi è un monumento nazionale e, dunque, una specie di eroe, il tuo film adotta il principio utilizzato dalla Marvel, raccontando le origini dei suoi super poteri, ovvero della saldezza dei legami famigliari e, soprattutto, della grande energia e forza d’animo.

Sono d’accordo, perché credo il film mostri la sua grande determinazione. Alberto aveva deciso sin da bambino che avrebbe fatto l’attore a tutti i costi, una convinzione servitagli per superare gli ostacoli incontrati sul suo percorso. Da qui la necessità di raccontare di un uomo che ha fatto della sua vita un esercizio tenace della volontà, senza però dimenticarne fragilità e debolezze. Penso, per esempio, al complesso per il suo “faccione”, particolare fisiognomico diverso dai canoni estetici dell’epoca. Insomma, volevo mettere al centro della storia la vicenda di un uomo solo contro tutti, un po’ come il personaggio di Guglielmo il dentone che alla fine riesce a diventare speaker televisivo nonostante il suo difetto estetico.

Una delle sfide era quella di trovare un tono capace di mediare tra l’intimismo del Sordi privato e la divertente mondanità desunta dal suo immaginario cinematografico. A conti fatti, l’equilibrio l’hai trovato in una leggerezza profonda, a tratti malinconica, a tratti irrisoria.

Hai colto proprio nel segno. Sordi era anche un uomo dotato di un suo cinismo romano dietro il quale si nascondevano altri aspetti, come appunto il grandissimo legame con la sua famiglia e in particolare con la madre Maria con cui aveva un rapporto speciale, quasi un’amore edipico. Lei era una donna molto forte, capace di governarlo e di guidarlo. Ci occupiamo anche di altri aspetti del suo percorso. Siccome Sordi è stato sempre visto come il grande scapolo, in realtà raccontiamo una storia d’amore che nessuno conosce, quella importantissima con Andreina Pagnani, attrice molto più grande di lui: avere 14 anni di differenza, all’epoca, fu un vero scandalo. In un’intervista rilasciata in tarda età, Sordi dichiarò che poi questo amore durato nove anni non gli fu utile più di tanto, ma in realtà la relazione con la Pagnani gli permise di entrare nel mondo dello spettacolo e di fare conoscenze di rilievo. Naturalmente lui qualche vantaggio l’ha tratto senza nulla togliere ai suoi meriti e al suo talento.

Racconti Sordi soprattutto attraverso due figure che sono appunto la Pagnani, di cui abbiamo detto, e poi Fellini, con il quale il nostro ebbe un rapporto amicale e pure professionale, essendo stato protagonista delle sue prime regie (Lo sceicco bianco e I vitelloni, ndr). Questa priorità narrativa deriva dall’aderenza ai fatti o è il frutto di una licenza artistica, non potendo rendere conto di tutte le persone che ruotarono attorno a Sordi?

Ma sai, noi abbiamo messo in scena incontri nodali della sua carriera, a iniziare dallo stalkeraggio attuato da Sordi nei confronti del povero Vittorio De Sica  (ride, ndr), il quale ricordava che quando a Cinecittà gli capitava di scorgerlo si nascondeva, perché Sordi era diventato una specie di persecutore. Sappiamo poi come fu costretto a ricredersi quando Sordi divenne una celebrità della radio, grazie alla collaborazione con Corrado. A quel punto De Sica gli propose di fare una società per produrre Mamma mia che impressione, che poi fu un flop. Abbiamo riferito di altri personaggi importanti, come Aldo Fabrizi – un mito di Sordi -, con il quale Alberto collaborò in uno spettacolo andato piuttosto male. Infine, come notavi tu, ci soffermiamo sull’incontro con il giovane Federico Fellini, disegnatore di caricature per il Marc’Aurelio, che sognava anche lui di fare del cinema, assolutamente inconsapevole delle sue grandi qualità.

Immagino che tu Sordi lo abbia conosciuto di persona?

Beh, si, Sordi è venuto spesso a casa nostra e ha fatto diversi film con mio padre. Mi ricordo di un pranzo a casa nostra con Alberto che si complimentò con mio padre per la sua bella famiglia. Così lui per scherzare gli disse: “Alberto, ma tu una famiglia quando te la fai, quando ti sposi?” e lui tirò fuori quella frase ripetuta poi altre volte: “Che so matto, che me metto un’estranea dentro casa!”. Detto questo, ho avuto la fortuna di fare il volontario sul set de E La nave va di Fellini, quindi potendo seguire le riprese del film ho conosciuto bene anche lui.

Questo per dire che lo sguardo con cui ti rivolgi a questi due personaggi è anche frutto di un’esperienza personale e non solo un’elaborazione intellettuale.

Di sicuro, ma c’è dietro anche la volontà di trasmettere ai giovani un’informazione. Per preparare il film mi è capitato di leggere un sondaggio che indagava sulla notorietà di Sordi. Alla domanda su chi fosse il nostro Albertone nazionale quasi tutto hanno risposto “quello dei documentari della Rai”, intendendo appunto Alberto Angela, altri hanno detto “uno sciatore”, e cioè Alberto Tomba, mentre pochissimi hanno fatto riferimento a Sordi. Questo è uno dei motivi che mi hanno spinto a tributargli un’omaggio. Un po’ come successe quattro anni fa, quando con Elio Germano feci il film dedicato a mio padre. Anche allora, parlando con alcuni amici di mio figlio, allora sedicenne, mi resi conto che nessuno di loro lo conosceva. Il nostro è un paese con la memoria corta, quindi si rischia che se la Rai come servizio pubblico non trasmette i loro bellissimi film le nuove generazioni ignorino per sempre quanta fatica hanno fatto questi attori per diventare dei grandi artisti.  C’è il rischio che tra vent’anni nessun ragazzo saprà più chi sono Totò o Anna Magnani.

In questo senso, ho apprezzato il fatto che tu abbia rinunciato alla cosa più semplice e accattivante e cioè raccontare la vita del protagonista attraverso i suoi famosi aneddoti. Così facendo, riesci a far emergere la persona e non il personaggio.

Assolutamente. Per fare il film mi sono dovuto documentare molto sulla vita di Sordi e sul suo privato, scoprendo cose che mi hanno colpito moltissimo. Penso all’intervista rilasciata da Fellini, che era presente all’indomani della morte della madre di Sordi, e racconta di come l’attore si chiuse a chiave nella camera con il corpo della defunta per circa 24 ore. Nel film l’abbiamo fatta più breve, ma in realtà fu un dramma convincerlo ad aprire la porta. Sono questi aspetti del suo privato che mi sono rimasti più impressi e di cui ho deciso di raccontare.

Permette? Alberto Sordi è anche un film in costume. Per ricostruire l’epoca di Sordi restringi il campo delle inquadrature facendo emergere lo spirito del tempo da particolari come le insegne dei negozi, il modo di muoversi e di vestire dei personaggi.

È uno sguardo dettato anche da esigenze pratiche. Il budget di un film televisivo è sempre limitato, per cui bisogna un po’ ingegnarsi per trovare soluzioni visive ed estetiche, però credo che alla fine siamo riusciti a portare a casa il risultato. Abbiamo ricostruito parte del film a Tivoli dove ci sono un sacco di stradine e piazzette che non sono inquinate dal passaggio del tempo. Abbiamo poi integrato quelle riprese con altre girate a Roma per non perdere nulla in termini di autenticità.

In coerenza con quello che abbiamo detto, mi sembra che nella scelta degli attori hai utilizzato un criterio che non è puramente mimetico: più delle maschere sei andato alla ricerca di interpreti in grado di evocare i personaggi e non di imitarli.

La tua è una domanda interessante che mi sento di sposare in pieno, nel senso che noi anche nella scelta di Edoardo Pesce non abbiamo cercato la somiglianza a tutti i costi. Non volevo fare il lavoro fatto da Amelio e Favino per il personaggio di Craxi. Non cercavamo di  fare un Avatar o un sosia di Sordi. A Pesce abbiamo semplicemente tagliato i capelli, aggiunto una protesi sulla punta del naso per migliorarne il profilo, per il resto ci siamo affidati alla mia direzione e alla sua interpretazione che secondo me è straordinaria. La stessa cosa è successa anche con gli altri attori: con Lillo che fa Aldo Fabrizi, Francesco Foti che fa De Sica, e Pia Lanciotti che fa la Pagnani. Insomma, abbiamo cercato in qualche modo di dare la nostra la nostra visione di quei grandi personaggi.

Pesce era reduce dal successo personale di Dogman. Perché proprio lui?

È successa la stessa cosa quando mi hanno chiesto di fare un tributo a mio padre. Trovare un interprete capace  di renderlo in maniera efficace non era semplice. Essendo stato da sempre un grande ammiratore di Elio Germano mi sono reso conto di quanto Nino ci fosse in lui, riconoscendolo in tutta una serie di micro reazioni presenti nei suoi personaggi. Avevo rintracciato dentro il suo lavoro tantissime cose di mio padre. Cosa che poi Elio mi ha confermato quando l’ho incontrato, dicendomi che per lui Nino era stato il suo attore di riferimento. Sapeva che interpretarlo era rischioso, ma disse di volerlo fare proprio per affetto e riconoscenza nei suoi confronti. La stessa cosa è successa con Edoardo, che ho seguito da sempre, anche nei film meno famosi. Nel suo lavoro ho riconosciuto quanto Sordi c’è in lui, perché poi hanno lo stesso tipo di estrazione, di provenienza, lo stesso tipo di romanità. Quando l’ho proposto alla Rai si sono tutti un po’ stupiti. Per convincerli gli ho fatto vedere due tre provini in cui Pesce con trucco e parrucco recitava il ruolo di Sordi ed è stato quello che ci ha permesso di fare il film che avevamo in mente.

Pesce dà vita a un performance di tale leggerezza da riuscire a trasfigurare la sua importante fisicità. Lui ci fa ricordare Sordi senza caricare gesti ed espressioni. Arriva al risultato non aggiungendo nulla e lavorando solo di sottrazione.

Mi fa molto piacere che tu riconosca il grande lavoro di sottrazione fatto da Edoardo. Con lui abbiamo deciso di procedere in tal senso, cercando di non caricare mai e di non fare la macchietta o il verso a Sordi. Noi ne abbiamo dato una nostra versione, soprattutto Edoardo, che alla fine gli corrisponde in pieno. La cosa bella è che man mano che entri nel racconto ti dimentichi di Edoardo Pesce, perché a un certo punto ti sembra di vedere solo Sordi.

Si tratta di un’interpretazione quasi trasparente.

Infatti, una cosa che mi dispiace è che ho appena visto passare i trailer del film realizzati dalla Rai e loro hanno aggiunto delle cose senza che io lo sapessi. Si vede la scena all’inizio del film in cui Sordi si veste da usciere d’albergo e loro, mentre lui sta di spalle, hanno aggiunto un sonoro che non è la voce di Pesce e che esclama “aho!”, solo per fare il verso a Sordi.

Cosa avete fatto per farlo entrare nel personaggio e che tipo di attore è Pesce?

Il suo approccio è stato differente da quello di Germano. Elio è come mio padre, che veniva chiamato l’orologiaio per la precisione e l’accuratezza con cui preparava le sue interpretazioni. Pesce invece è uno che si affida di più all’istinto. Pur conoscendo i film di Sordi ha preferito non rivederli in fase di preparazione perché non voleva rischiare di imitarlo. Questo ha contribuito a rendere davvero apprezzabile l’esito della sua prova.

Parlavi della sequenza iniziale. In essa non riprendi il protagonista se non di spalle e nei dettagli di una vestizione, quasi ad alludere all’essenza di Sordi, che per mestiere doveva mettersi nei panni degli altri.

In quella scena abbiamo un po’ giocato, facendo credere di assistere alla vestizione di un uomo elegante, con i gemelli d’oro e il vestito delle grandi occasioni, salvo poi scoprire che si tratta di un usciere d’albergo. In questo modo introduciamo la chiave da commedia che appartiene a molte delle sue interpretazioni. Ad accompagnare la sequenza abbiamo messo un commento musicale che ricorda i temi di Piero Piccioni, uno dei compositori più assidui dei suoi film.

Oggi nel cinema italiano chi può essere il nuovo Sordi?

Quella è stata una stagione irripetibile, fatta di grandi interpreti, di grandi registi e sceneggiatori. Poi, ogni stagione ha i suoi interpreti: oggi i talenti del nostro cinema sono Elio Germano, PierFrancesco Favino, Edoardo Pesce.

  • Anno: 2020
  • Durata: 104'
  • Distribuzione: Rai Fiction
  • Genere: Biografico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Luca Manfredi
  • Data di uscita: 24-March-2020

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