È stato Bello, finché è durato, recita il titolo dell’ultimo episodio di Bojack Horseman, serie di culto targata Netflix arrivata alla sua inevitabile conclusione. E non si può dire certo sia durata poco l’odissea tragicomica del cavallo più umano, narcisista e autodistruttivo della serialità televisiva. Una parabola discendente lunga sei anni capace di farci, nostro malgrado, affezionare a quella ex celebrità in caduta libera costretta a fare i conti con i propri errori e il proprio passato.
Una parabola discendente lunga sei anni capace di farci, nostro malgrado, affezionare a quella ex celebrità in caduta libera costretta a fare i conti con i propri errori e il proprio passato
Quale posto migliore, allora, per ritrovare, un’ultima volta, la creatura di Raphael Bob-Waksberg, se non in una clinica di disintossicazione per nuove e vecchie glorie di Hollywoo(d)?
È proprio da qui che riparte, divisa in due, la sesta e ultima stagione di BoJack Horseman. Sedici episodi per riprendere e cercare di sbrogliare il filo di un’esistenza fatta di sbagli e tanti, troppi rimpianti. Dai problemi di dipendenza a un senso di colpa sempre più ingombrante, è un mondo più fantasmatico che mai quello in cui si ritrova, dentro e fuori dalla clinica, BoJack. Un mondo fatto di volti che spesso non esistono più o, quando esistono, sono trascurati, allontanati, lasciati indietro.
In questa stagione, i comprimari acquistano maggiore indipendenza, svincolati dal protagonista e alle prese ognuno con i propri umanissimi problemi
È così che, mai come in questa stagione, i comprimari acquistano maggiore indipendenza, svincolati dal protagonista e alle prese ognuno con i propri umanissimi problemi. Da Diane e il suo blocco dello scrittore, a Princess Carolyne impegnata a conciliare il proprio ruolo di donna forte con quello di madre, passando per un Mr. Peanutbutter sempre più umano. Tutti divisi ma uniti in un canto corale che trova il suo personalissimo contrappunto nella crisi esistenziale di BoJack.
Ma questa è soprattutto la stagione dove il passato, quel regno dell’immaginario e delle illusioni così facilmente identificabile con la fabbrica dei sogni di Hollywoo(d), torna più forte che mai, col suo carico di colpe e rimpianti. Il suo nucleo di orrore dietro alla patina splendente dell’intramontabile e tossico effetto nostalgia. Non è allora un caso che uno degli episodi migliori dell’annata sia proprio il penultimo, Il panorama a metà strada, sorta di limbo in cui BoJack si trova intrappolato con tutti i suoi fantasmi, mentre il Nulla avanza per portarsi via anche lui.
Il regno dell’immaginario e delle illusioni così facilmente identificabile con la fabbrica dei sogni di Hollywoo(d), torna più forte che mai, col suo carico di colpe e rimpianti
Un oblio, un silenzio che in questi ultimi episodi pare invadere tutto, mentre ai personaggi mancano le parole, le storie attraverso cui raccontare e raccontarsi, attraverso cui autoassolversi ancora una volta dalle proprie mancanze, finalmente consapevoli – in un silenzio finale lungo e imbarazzato – che tutte quelle parole non potranno mai guarirli veramente.
BoJack Horseman conclude così la riflessione sui nostri tempi, su un’umanità ossessionata dalla propria immagine e dallo sguardo degli altri, smarcandosi da qualsiasi finale conciliatorio e facendoci specchiare, ancora una volta, in quelle vite tanto lontane eppure tanto simili alle nostre. Nel bene e, soprattutto, nel male.