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Serie Tv

Hunters, una serie originale che non cerca di compiacere lo spettatore

Hunters è una serie ben girata, che si può considerare un esperimento di linguaggio, il cui pregio maggiore è quello di non cercare il compiacimento morale dello spettatore, servendo un piatto spesso duro da masticare

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Una delle più attese serie tv dell’anno è sbarcata a Febbraio su Amazon Prime e nonostante un cast di tutto rispetto, in cui svetta un pezzo da novanta come Al Pacino, Hunters, prodotta dal premio Oscar Jordan Peele (miglior sceneggiatura originale 2018 per Get Out ) e frutto della fantasia del trentunenne David Weil, forse non convince, ma sicuramente spiazza e fa discutere.

L’impianto narrativo del soggetto è quantomai elementare: nella New York del 1977, un ragazzo appena entrato nell’età adulta (Jonah interpretato da Logan Lerman) assiste impotente al misterioso omicidio della sua amata “safta” (nonna in ebraico), e mettendosi sulle tracce dello sconosciuto assassino si imbatte in un uomo anziano e carismatico (Mayer Offermann interpretato da un inedito Al Pacino) che si rivela il capo di una variegata squadra di cacciatori di uomini, la cui missione è scovare ed eliminare senza pietà i nazisti che si nascondono sul suolo americano dopo la fine della guerra, vendicando così  milioni di ebrei vittime della Shoah e combattendo l’avanzata del Quarto Reich che serpeggia in seno agli Stati Uniti d’America.

La squadra di Hunters sembra uscita dritta da un fumetto di quart’ordine, surreale quanto improbabile

La squadra di Hunters sembra uscita dritta da un fumetto di quart’ordine, surreale quanto improbabile: c’è Lonny Flash, l’attore insicuro ben interpretato da Josh Radnor (il Ted della sitcom How i met your mother) anche se monotono nel ruolo da “Johnny Depp che non ce l’ha fatta”; c’è il soldato Joe, reduce dal vietnam, di cui ci si ricorda il nome solo nelle scene d’azione; c’è Roxy (Tiffany Boone), la ragazza madre nera dagli enormi capelli afro, di cui si capisce a fatica come riesca a legare la causa delle Black Panthers con la caccia ai nazisti; c’è “sorella Harriett”, una suora cattolica che in realtà era ebrea e che indossa il tipico copricapo anche quando dorme e, infine, le due prove attoriali più convincenti: i coniugi superstiti all’orrore nazista, Mindy (Carol Kane, I morti non muoiono) e Murray, magistralmente caratterizzato da Saul Rubinek (La ballata di Buster Scruggs, La versione di Barney).

Hunters è il tentativo ardito di rappresentare la dicotomia tra il male storico assoluto (il nazismo) e le vittime storiche per eccellenza (il popolo ebraico) con gli schemi del fumetto classico

Se il punto di vista dello spettatore, nel corso di tutta la serie, è rappresentato dal personaggio di Jonah, quando il ragazzo scopre la squadra di supereroi assortiti, la dimensione fumettistica e surreale è sottolineata da una presentazione simile a un telefilm retrò, che spiazza completamente chi guarda. Un espediente di cesura della narrazione netta quanto uno spot pubblicitario, che ricorrerà altre volte nel corso delle puntate in forme diverse. Un merito che si deve riconoscere a Hunters è il tentativo ardito di rappresentare la dicotomia tra il male storico assoluto (il nazismo) e le vittime storiche per eccellenza (il popolo ebraico) con gli schemi del fumetto classico, con la squadra di supereroi e l’eterna lotta tra il bene e il male, nella quale il lettore/spettatore si ritrova spesso a chiedersi se i buoni rappresentino davvero il bene e quanto del male ci sia nella vendetta. Lo stesso inizio, con l’uccisione della safta Ruth e la reazione di Jonah, sembra un omaggio a Peter Parker e alle origini di Spiderman, e a un certo punto il migliore amico del protagonista lo incoraggia dicendogli “mi chiedo perché continui a comportarti come un Robin, quando sei decisamente un Batman”.

Nel complesso la prima stagione della serie tanto attesa scorre alternando momenti di dissacrante ironia col feroce cinismo delle uccisioni, scene d’azione e sparatorie e lotte corpo a corpo con le atmosfere da crime durante le indagini di Milly, l’agente FBI che cerca di ricostruire il puzzle. Il tutto coi flashback dell’orrore nazista nei campi di concentramento a fare da trait d’union. Un impianto narrativo fin troppo semplice e quasi banale, forse troppo banale per voler affrontare con esso un tema così complesso e moralmente, religiosamente, storicamente “intoccabile”. Su questa struttura semplificata, il racconto arriva molto frammentato, zeppo di affluenti narrativi collaterali (la storia d’amore lesbica dell’agente dell’FBI,  le vicende del sottosegretario di Stato, che in realtà è un gerarca nazista, il ruolo ambiguo della suora, il virus patogeno che spianerà la strada al Quarto Reich made in USA), a forte discapito di qualsiasi coinvolgimento emotivo che vada oltre la scena singola.

Hunters è una serie ben girata che si può considerare un esperimento di linguaggio, il cui pregio maggiore è quello di non cercare il compiacimento morale dello spettatore

Di una serie puoi dire che “ti ha preso” quando cominci ad affezionarti ai personaggi, ma con Hunters non succede, perché punta tutto sullo shock di una tortura da parte dei buoni o sulla “sorpresa” spesso prevedibilissima, risultando piatto. Di contro, è apprezzabile il tentativo di trattare una tematica così importante con un linguaggio mai visto prima, per quanto composto da un mosaico di cose viste anche troppo. Lo stesso Al Pacino, la superstar hollywoodiana che dà lustro attoriale a tutto il carrozzone, per quanto sempre eccellente anche nei panni del vecchio ebreo, appare manieristico in una versione stanca e appannata di se stesso, coi soliti monologhi “paciniani”, durante i quali il mondo e il tempo si fermano e anche i muri lo stanno ad ascoltare.

Hunters è una serie ben girata che si può considerare un esperimento di linguaggio, il cui pregio maggiore è quello di non cercare il compiacimento morale dello spettatore nella sua sperimentazione, servendo un piatto spesso duro da masticare. Usa la struttura narrativa del fumetto “male vs bene” con nazisti ed ebrei, come Shyamalan ha fatto nella sua fortunata trilogia (Unbreakble, Split e Glass), ma ben lontano da quelle profondità e con esiti molto meno felici. Può essere un modo “moderno” di comunicare un orrore storico alle nuove generazioni, da parte di un autore anch’egli giovane, che rischia volutamente di essere tacciato di superficialità dissacrante, come testimoniano le polemiche con l’Associazione Auschwitz Memorial per alcune scene. Ma è quel “volutamente” a fare la differenza, e se l’obbiettivo era quello di non lasciare indifferenti, Hunters lo ha centrato perfettamente.

Nicola Girau