“La milanese Simona Risi, dopo il documentario Mbeubeus sull’omonima discarica nei pressi di Dakar, proietta sul grande schermo una realtà dietro l’angolo: magari meno sorprendente come impatto visivo, ma non meno forte a livello di contenuto. Il documentario parla dell’ultimo anno del Comitato di Via Feltrinelli, dalla decisione del comune ai traslochi e al susseguente scioglimento del comitato”.
In Via Carlo Feltrinelli, periferia di Milano, fra la Tangenziale e un campo per il tiro con l’arco, si ergono le “Case Bianche” di Rogoredo, case popolari soprannominate “le White” a causa dei rivestimenti bianchi che, datati 1986, sono oramai grigi. Per sfortuna degli occupanti (la maggior parte dei quali paga regolarmente l’affitto al Comune di Milano) questi rivestimenti sono di amianto e, per chi non lo sapesse, è noto fin dal 1962 che le fibre di amianto disperse nell’aria provocano una grave forma di cancro detto mesotelioma pleurico; in Italia è stato definitivamente messo fuori commercio nel 1994. Il Comitato di Via Feltrinelli ha ottenuto la bonifica del palazzo e l’assegnazione di nuove case per 146 famiglie su 152 nel 2009, dopo appena un quarto di secolo…
La milanese Simona Risi, dopo il documentario Mbeubeus sull’omonima discarica nei pressi di Dakar, proietta sul grande schermo una realtà dietro l’angolo: magari meno sorprendente come impatto visivo, ma non meno forte a livello di contenuto. Il documentario parla dell’ultimo anno del Comitato di Via Feltrinelli, dalla decisione del comune ai traslochi e al susseguente scioglimento del comitato.
«Come si vive passando tutti i giorni di fianco a un muro d’amianto sgretolato? Come non pensare che può esistere un attimo che silenziosamente può diventare fatale?»: la Risi apre così le note di regia, chiarendo gli intenti del documentario e optando per un registro stilistico orientato sulla quotidiana convivenza di questi nuclei famigliari con la paura della morte: la scelta paga soprattutto per l’efficacia del messaggio, meno per la coerenza narrativa, ma in una pellicola del genere è veramente il problema minore. La fotografia è curata e segue le suddette logiche di fondo, ma ne accusa maggiormente i limiti, e l’idea vagamente hitchcockiana di rappresentare i rivestimenti di alluminio nella loro serena quotidianità, mentre il tessuto narrativo ne narra le potenzialità omicide, non rende come dovrebbe, risultando a volte troppo fine a se stessa.
Narratori principali sono i membri storici del Comitato: una madre che ha perso un figlio, un’altra che ha paura di perderlo e gli fa fare continui check-up, un’ex punk anni ’80… infine Oscar White, rapper di Rogoredo che con il brano “Milano Sud Est” ed un’apparizione ad Annozero, in realtà nata per altre problematiche, è riuscito a dare rilevanza nazionale al caso-Le White. Lo stesso rapper, ovviamente felice per l’esito finale della vicenda, ha coerentemente dichiarato di aver trovato paradossale che bloccare la tangenziale o fare manifestazioni non sia servito a nulla, mentre un’apparizione in tv e un video musicale hanno dato la svolta decisiva. La regista regala spazio anche alle voci fuori dal coro del complesso edilizio, come quella della signora che non crede che l’amianto sia cancerogeno e i tumori siano in realtà figli del destino, più alcune teorie sulla “brutta gente”: questione di opinioni…
«Nonostante la paura, la vita alle White scorre senza troppe precauzioni, le chiacchere, l’ennesima sigaretta, le pallonate dei bambini» osserva la regista, che un’idea della lotta quotidiana di queste persone contro il fantasma che aleggiava sulle loro teste è riuscita a darcela: probabilmente l’orrore vero è proprio questo, che nelle contraddizioni della società odierna l’uomo riesce ad adattarsi a tutto e anche un abominio come case rivestite di amianto diventa una questione di opinioni.
Il finale ci mostra la festa d’addio del comitato, fra banchetti e musica commerciale: mamme commosse sulle note de “I migliori anni”, ragazze in pista con i balli di gruppo e ragazzi seduti a bere. Tutto normale, appunto. Anzi forse più normale del solito, perché ventiquattro anni di battaglie quotidiane, fianco a fianco, generano legami difficili da immaginare se non si provano. Lieto fine? Non del tutto, visto che, secondo un recente articolo, anche alcuni nuovi stabili assegnati alle famiglie del Comitato sembrano essere cancerogeni…