Presentato in apertura alla Quinzaine des Realisateurs del Festival di Cannes dello scorso anno, Doppia pelle narra la storia di Georges (Jean Dujardin), un quarantacinquenne ossessionato dalle giacche. Quella su cui ha puntato le mire in particolar modo è fatta di pelle di daino, ed è disposto a spendere tutti i suoi risparmi pur di averla.
All’apparenza Georges è un uomo comune, dimesso, solo; in realtà l’aggettivo che riesce a descriverlo meglio è l’ultimo. Da poco separatosi dalla moglie e in viaggio attraverso una Francia arida e desertica, il protagonista si muove in un limbo di normalità e stranezza, che diventa poi la cifra del film. Scritto e diretto da Quentin Duplex (che aveva già dato mostra delle sue idee, a dir poco bizzarre, con i precedenti lavori).
La dualità come chiave di volta e cifra stilistica
Giocato interamente su questa dualità, Doppia pelle costringe lo spettatore a sperimentare sulla propria di pelle una sensazione viscerale e vischiosa. In bilico tra le risate e il disgusto, l’empatia e il rifiuto, il desiderio di guardare e quello di chiudere gli occhi. Così l’attenzione, l’interesse e la curiosità non perdono un briciolo di vitalità.
Lo stesso non può dirsi per le vittime di Georges. Uccise nei modi più originali e impensabili, poi spogliate delle rispettive giacche, in una spasmodica ricerca di pulizia, disintossicazione quasi.
Sì, perché in fondo l’uomo non può permettere che il suo indumento, rigorosamente accompagnato da pantaloni, guanti e capello in pelle di daino al 10%, abbia concorrenti di qualsivoglia tipo. La “simpatica” giacca diviene così un elemento imprescindibile e determinante al fine di conoscere il protagonista, tra sogni di gloria e una moralità discutibile.
La forza del progetto risiede quindi in questa sua alternanza, che gradualmente, ma inesorabilmente, trascina verso un finale stranamente esilarante. Apprezzabile, in tal senso, la metafora della caccia, di cui Georges si fa in qualche modo portavoce, in un duplice ruolo.
Un’opera fuori dal comune con due bravissimi attori
La spirale di violenza, che contagia e caratterizza il film, si scontra con la sua asciuttezza generale, creando un corto circuito ambiguo e affascinante.
Appartenente a quel genere di commedia grottesca che più puro non si potrebbe, Doppia pelle è un’opera decisamente fuori dal comune e forte nella sua identità, oltre che nel suo messaggio (se un messaggio si vuol vedere).
Altro elemento fondamentale è, come dicevamo in precedenza, la solitudine, sebbene spesso nessuno dei protagonisti ne sembri consapevole, né particolarmente colpito.
Nell’incontro con Denise (Adèle Haenel) emerge però in tutta la sua chiarezza, conducendo l’uomo e la giovane donna a stringere un patto tanto banale quanto assurdo. Bravissimi, allora, Dujardin e la Haenel a dare concretezza e credibilità nonostante abbiano a che fare con ruoli alquanto peculiari.
*Salve sono Sabrina, se volete leggere altri miei articoli cliccate qui.