Conversazione con Marta Bergman, regista del film Sola al mio matrimonio, in sala dal primo ottobre. (ecco il trailer)
Nella sequenza che introduce Sola al mio matrimonio non vediamo il volto della protagonista, ma solo la mano con cui si sta tingendo i capelli. Volevo chiederti se la composizione della scena fosse un modo per anticipare il senso della storia, in cui si parla di un personaggio alla ricerca della propria identità attraverso il viaggio che sta per compiere. E ancora, un rimando al fatto che Pamela, la protagonista del film, nel corso della vicenda “nasconde” agli altri alcuni aspetti della sua vita. Se fosse così, l’immagine iniziale è metafora di ciò che seguirà.
Hai esattamente centrato il punto. La sceneggiatura iniziava con una ragazza seduta davanti a uno specchio che si trasforma, per cui questa è stata un’idea centrale e cioè raccontare una metamorfosi, un cambiamento, una trasformazione. È per quello che con il direttore della fotografia abbiamo deciso di iniziare con i primi piani delle sue mani e dei suoi capelli. Per cui, sì, la prima sequenza è una metafora di quello che succederà.
Mi sembra si possa dire che Sola al mio matrimonio più che un ritratto sociologico della protagonista metta in scena un viaggio nell’anima del personaggio. Pamela emigra dal suo paese non per cercare soldi o lavoro; non per ragioni materiali, ma solo al fine di trovare un uomo capace di amarla, quindi per una questione legata alla sfera sentimentale. È una lettura corrispondente ai tuoi intenti?
Assolutamente. È un viaggio interiore e oserei dire che lei parte, oltre che per trovare l’amore, soprattutto per trovare se stessa, per conoscersi e scoprirsi. Ed è per quello che ho deciso di fare quei piani e le sequenze nella neve. Quelle scene raccontano appunto l’emotività di Pamela, la sua dimensione esistenziale e i sentimenti che prova. Dunque, sì, la tua è una lettura azzeccata.
Accennavi alla stile del film che è allo stesso tempo intimo e documentaristico. Ai molti primi piani e ai dettagli del viso di Pamela si contrappongono campi lunghi dal diverso significato. Quello relativo alla pianura innevata è chiaramente un paesaggio dell’anima e ci parla dei sentimenti della ragazza. Al contrario l’altro, posto a metà film, in cui vediamo Pamela lasciare la figlia a giocare insieme ad altri bambini, è inquadrato con gusto fortemente documentaristico. Oltre a chiederti qualcosa su questo, volevo sapere quanto c’è nel tuo modo di girare della lezione dei fratelli Dardenne?
Molto spesso capita che gli spettatori fanno questa osservazione, mettendo in relazione il mio cinema con quello dei fratelli Dardenne. Nonostante ami molto i loro lavori, penso ci siano aspetti molto diversi dalle opere dei due registi. Prima di tutto la dimensione emotiva: nel mio film le emozioni sono importanti e danno una sfumatura in più. Inoltre, anche la musica nel film è molto importante e costituisce una linea narrativa ulteriore. Infine, il mio non è ne un film ideologico a tesi, bensì di personaggi e di emozioni. Lo sfondo è sociale, ma non è la cosa predominante. Come dicevi tu, Sola al mio matrimonio è più un viaggio nell’anima che un resoconto sociologico.
In questo senso, il paesaggio umano e geografico fa da contraltare alla personalità della protagonista: tanto lei è libera e spontanea e ha voglia di vivere, tanto la gente che la circonda in questo viaggio, soprattutto in Belgio, è ingabbiata negli schemi delle regole sociali. Era questa un tipo di sottolineatura che avevi in mente?
Si, in qualche modo Pamela è indipendente nella maniera che hai detto tu, è un elettrone libero e si confronta con personaggi che stanno più nelle regole. Penso che il suo atteggiamento le derivi dal fatto che non ha niente da perdere. Lei è un personaggio marginalizzato: nella sua comunità (Rom, ndr) è mal vista in quanto ragazza madre; scansata per il fatto di aver avuto diversi amanti e per il suo atteggiamento liberale che a un certo punto la fa andare in un agenzia matrimoniale per trovare marito. È un personaggio con una storia da lasciarsi indietro e, dunque, può permettersi di abbandonare la sua famiglia e partire alla volta del Belgio per incontrare il suo futuro sposo. L’unica cosa importante per lei e che rischia di perdere è la figlia. Con la sua partenza mette a rischio l’unica cosa che ha.
I due uomini con cui Pamela fa sesso sono figure complementari. A ognuno dei due manca qualcosa per poter amarla. Nessuno dei due riesce a mantenere la promessa di prendersi cura di lei. Uno è esuberante e passionale, ma in sostanza appare un poco di buono, l’altro, il suo futuro marito, una persona per bene, ma un po’ fredda a livello emotivo. Mi interessava capire la scelta di questi due personaggi in relazione alla figura della protagonista.
La relazione di Pamela con i due uomini è un momento importante del film. Il rapporto con Marian, il ragazzo che rimane in Romania, è amicale. Lui è innamorato, però è chiaro che il loro non è un sentimento maturo e appartiene alla dimensione dell’infanzia. La relazione con Bruno è, invece, fatta di idealizzazioni infrante, perché loro si immaginano una cosa che nella realtà finisce per non funzionare. Il rapporto con il ragazzo incontrato in discoteca avviene in una dimensione erotica: lui incarna il suo alter ego maschile, perché ha questo rapporto con il corpo molto libero e la incontra senza troppe aspettative. Le conoscenze che lei fa sono importanti perché la fanno crescere, cambiare e forse le faranno capire – perché non sappiamo cosa le succederà in futuro – che non esiste l’uomo ideale. Il principe azzurro che immaginava quando cercava marito nelle agenzie matrimoniali è un fantasma che non esiste.
Rispetto all’attrice protagonista volevo capire come hai lavorato, e cioè quanto hai lasciato alla spontaneità e quanto invece hai costruito insieme a lei del personaggio di Pamela.
Diciamo che è un ibrido tra un certo livello di libertà che ho lasciato agli attori e il fatto che i dialoghi sono molto scritti già in sceneggiatura. Quello che mi ha colpito è l’energia messa da Alina Serban nel personaggio, una vivacità, una spontaneità che aveva sia Pamela che la sua attrice. Alina ha dato vita al personaggio molto meglio di come l’avevo immaginato mentre lo scrivevo. Nonostante sia una ragazza che comunque ha studiato, lei e Pamela hanno lo stesso modo di parlare, di esprimersi con spontaneità: hanno un rapporto con il corpo e la sessualità molto forte e intuitivo. Anche l’attrice come Pamela ha avuto difficoltà nella vita che l’hanno portata a trovare una soluzione per sopravvivere. Quello che ho chiesto a lei e agli altri attori è stato di apportare qualcosa di loro ai personaggi. Loro hanno donato dei loro tocchi, per esempio ai dialoghi, perché non volevo lasciargli in bocca cose che potevano sembrare artificiose. Tutti hanno aggiunto qualcosa del loro modo di parlare e della loro gestualità.