Volevo nascondermi: conversazione con Paola Lavini
Da Alice Rohrwacher a Francesco Munzi, Paola Lavini ha lavorato con alcuni dei registi più importanti del cinema italiano. A lei abbiamo chiesto di parlarci di Volevo nascondermi, di cui è una delle interpreti, del suo rapporto con Giorgio Diritti ed Elio Germano, rispettivamente regista e protagonista del biopic sul pittore Antonio Ligabue
Partiamo dall’incontro con Giorgio Diritti. Come sei arrivata a lui?
Intanto con il classico provino, però devo dire che Diritti l’avevo inseguito già per L’uomo che verrà. Da emiliana conoscevo bene quella storia e sapevo che avrebbe fatto un film molto bello. Se guardo alla sua filmografia, amo il modo particolare con cui comunica i propri pensieri. Come autore è essenziale, sia nella direzione degli attori che nella messa in scena: è un regista di poche parole e molta sostanza. Il provino non andò a buon fine poi, però, mi ha fatto richiamare per Volevo nascondermi. Devo dire che Giorgio è uno dei pochi autori che mi vede come una bella donna, il che non è comune, visto che spesso i registi mi imbruttiscono e, in generale, mi fanno scomparire dietro mise poco appariscenti. Nel suo film fascino e bellezza erano caratteristiche del mio personaggio.
Lo tua è una bellezza non stereotipata e fuori dal tempo. Immagino che Diritti lo abbia percepito e per questo ti abbia preso per fare il ruolo della Pina, l’attrice che prese parte al documentario che aveva Ligabue per protagonista. In effetti, nel film appari in perfetta armonia con il paesaggio rurale emiliano degli anni Trenta.
Questo lo dici tu e ti ringrazio. Il mio volto è stato spesso cambiato per adattarsi alle storie a cui ho preso parte: è una cosa tipica del lavoro dell’attore e a me va benissimo. Per L’uomo che verrà andai al provino vestita da contadina, pensando che, alla pari degli altri lungometraggi di Diritti, questo fosse il modello femminile richiesto e che lui mi considerasse per un ruolo del genere. Fu, dunque, con grande sorpresa che scopri di dover provare la parte di una contessa. Volevo nascondermi è stata la conferma di come lui mi veda con certi occhi, riconoscendo in me il tipo di bellezza di cui parlavi tu. Credo che anche lui aveva voglia di lavorare con me e a montaggio terminato si è stupito ancora di più delle mia immagine. Te lo dico perché me l’ha detto lui.
Hai girato Volevo nascondermi con una forte consapevolezza d’attrice e con una precisa conoscenza dello sguardo del “tuo” regista. Quanto è entrato a far parte tutto questo nella tua interpretazione?
Mi affido sempre ai miei registi e in questo caso anche a Elio Germano, perché le mie scene sono sempre con lui. Ho sempre dichiarato che vorrei essere il suo alter ego femminile. Quindi chiedo urgentemente di avere un ruolo come il suo (ride, ndr). A parte gli scherzi, mi ritrovo in quello che fa, anche per la duttilità del suo cambiare pelle, per la consuetudine nell’utilizzare i dialetti e per la forte carica d’umanità dei suoi personaggi. L’unica cosa che mi è stata chiesta era quella di non depilarmi per corrispondere all’estetica dei tempi in cui è ambientata la storia. Prima del provino non sapevo che Giorgio mi avrebbe fatto fare la Pina, dopo mi sono documentata e ho saputo che di si trattava di una donna piacente.
Il montaggio fa intuire chi è il tuo personaggio, ma allo stesso tempo lascia spazio a ciò che la donna incarna per il protagonista, ovvero la femminilità da cui Ligabue è attratto e insieme spaventato.
Sicuramente. Nel documentario originale, quello studiato per entrare nella parte, Ligabue le chiede sempre di darle un bacio, a testimonianza di quanto egli desiderasse l’amore di una donna. In questo caso io l’incontro quando è già ricco e famoso. La Pina si rende conto di questo, per cui, dall’alto della sua furbizia, gli sta vicino per ricavarne qualcosa. Lui è spaventato da questa donna che si concede un po’ troppo presto, forse perché vorrebbe da lui uno dei suoi disegni, che in quel momento valevano molti soldi. Come si vede nel film Toni, sapendo che lei non è ricca, la va a prendere con una macchina grande e lussuosa per fare colpo su di lei.
Dovevi essere una donna terrena, ma anche un personaggio ideale. Come tutto questo ha influenzato l’impostazione del personaggio?
Devo essere sincera, non ho bisogno di sapere tantissimo. Mi bastano alcune cose, anche perché ribadisco che il mio personaggio lo avevo trovato già nel provino, facendo esattamente quello che si aspettava il regista.
In particolare cosa si aspettava?
Innanzitutto, un dialetto ineccepibile. Ti racconto un aneddoto: io sono di Modena, dunque ho un accento diverso da quello dove si doveva girare il film. Mi ero studiata tutta la cadenza reggio emiliana, ma dieci minuti prima di andare a fare il provino ho chiamato il comune di Gualtieri, chiedendo se gentilmente mi potevano aiutare a tradurre le mie battute. Questo mi ha permesso di arrivare al provino con una dizione perfetta. Ci sono andata con un cappottino che amo: è d’antan perché era di mia nonna, ed è rosso, un colore a me particolarmente caro. Volevo mantenerlo per il film, perché la Pina ha delle tonalità dello stesso tipo. Dunque, pur non sapendo di fare il provino per interpretare un’attrice, ho portato dentro la parte il mio modo di lavorare. Poi, certo, sul set, lavorando con Elio, che è molto meticoloso e attento, mi è venuto naturale essere spontanea. Sarà per il fatto di sentirmi veramente a casa, perché comunque l’Emilia è la mia terra, sta di fatto che sono stata del tutto me stessa. Anche Giorgio me l’ha detto! Finalmente, perché in questi anni ho recitato pronunciando dialetti diversissimi: dal calabrese al napoletano, molto spesso donne del sud. Poi, all’improvviso, nel film di Diritti mi sono trovata a casa a mangiare il cocomero come lo mangio io. Il personaggio lo avevo già interiorizzato, quindi mi sono solo limitata a lasciarlo andare. Un po’ mi ha aiutata la distanza di Elio, come personaggio, e quella di Ligabue che, essendo bruttino, stimolava in me quello che scatta sempre in una donna e cioè cercare di conquistarlo attraverso la seduzione.
Quindi se questa può essere una sintesi del tuo modo di essere attrice, si può dire che i personaggi li costruisci partendo da dettagli molto reali. Considerando quanto abbiamo detto, si tratta di una ricostruzione simil antropologica e di un approccio quasi scientifico.
Si, certo, però poi spero diventi tutto naturale e soprattutto che si riesca a vedere.
Voglio dire, il personaggio si poteva rendere in mille modi. Il tuo è stato quello di perseguire una verità antropologica.
Io sono così, hai svelato il mio segreto e cioè che sono una secchiona. Non mi piace esserlo tanto, ma nel lavoro serve. Dopodiché sul set mi libero da ogni cosa. Come per i dialetti, dapprima c’è lo studio, poi la naturalezza che mi appartiene. Adesso che mi stai intervistando ti potrei parlare in calabrese e in sardo, perché dopo averli appresi sono diventati parte di me. La stessa cosa capita con il personaggio che, una volta compreso, mi rimane dentro per tutto il film.
Tra l’altro, e qui mi preme ribadirlo, tu sei una delle poche attrici italiane ad apparire nuda. Anche laddove sarebbe necessario mostrarlo, il corpo nudo viene spesso censurato.
Io sono me stessa e, in quanto attrice, penso che il mio corpo debba essere al servizio del personaggio. Ovviamente, sul set quando c’è una scena di nudo sono tutti molto carini e non è che stiano tutti lì a guardare. Quella del film di Giorgio era molto delicata e, comunque, non spinta. Ciò non toglie che io sono sempre stata al servizio del film. Se è richiesto, potrei andare nuda sul set, non ho vergogna del corpo. Tu però hai ragione, perché da spettatrice mi sono spesso chiesta perché in certe scene il corpo femminile, ma anche i nudi maschili, non fossero presenti.
In Volevo nascondermi l’osservazione dei corpi è fondamentale, però sia nel tuo caso che in quello di Germano lo sguardo non diventa mai voyeuristico. Diritti riesce a trovare la distanza tra una ricostruzione esterna al personaggio, quella relativa ai rituali di un mondo oramai scomparso, e l’altra, immersa nell’anima del pittore emiliano. Di questo doppio registro penso voi attori siate stati consapevoli.
Secondo me fa parte della personalità di Giorgio, di come dirige e si muove sul set. È un uomo di poche parole e di non molti sorrisi. Per contro, ti segue da vicino, lasciandoti libera di interpretare il personaggio. Come dici tu, sul set ho sentito la distanza di cui parlavi, ma serviva per creare intorno a Toni una separazione oggettiva perché, come sappiamo, lui era un uomo molto solo. È una distanza che rende la tristezza del personaggio, e anche quando lui si avvicina sentiamo di essere sempre all’interno di qualcosa che non si può toccare, in cui non si può andare oltre. Era una cosa che sentivo anche io, stando accanto a Elio. Fuori dal set ci siamo abbracciati, ma mentre giravamo c’era questa linea di demarcazione che non poteva essere superata.
Per come si cala nella parte, Gemano potrebbe essere un interprete da Actors Studio. L’impressione è che sia rimasto per tutto il tempo all’interno del personaggio. Avendone condiviso il set, ti chiedo qualcosa sulla sua preparazione.
In realtà non la conosco, perché fuori dal set non ci frequentiamo e, come si sa, lui è uno che si fa vedere poco. Il suo è un modo di essere che ammiro molto però, ti dico, a me non piace parlare di Actors Studio, perché in Italia abbiamo delle scuole altrettanto valide, che è necessario frequentare per poter recitare.
Dico sempre che l’abito fa il monaco. Nel caso di Elio lui aveva una preparazione lunghissima a livello di make up, ma la sua difficoltà era questa lingua, che non era solo il dialetto di Gualtieri, ma un misto di italiano e tedesco. Sul set lo vedevo sempre molto presente poi, finito il lavoro, si divertiva e scherzava come tutti gli altri. Dirti come lavora sul personaggio, però, non te lo si dire. Sicuramente è preparatissimo, senza mai rinunciare alla leggerezza; io sono per la leggerezza.
Un po’ come diceva Mastroianni, per prendere le distanze dal metodo americano.
Io dico la stessa cosa. Sono per gli attori professionisti, ma acquisita una tecnica bisogna lasciarla andare. Una volta chiare le linee guida del personaggio tutti registi con cui ho lavorato mi hanno lasciato libera di dargli vita. Nel momento in cui mi metto il suo vestito. una volta studiato a casa – e lì sono una secchiona -, per me diventa facile diventare il mio alter ego.
Tu sei anche cantante. Nelle tue performance avere i tempi musicali ti aiuta oppure no?
Posso solo pensare che il canto mi abbia aiutato ad affinare l’orecchio quando si tratta di lavorare con i dialetti. All’inizio, ho fatto tanto musical e ho pure frequentato una scuola americana. Quando sono diventata sicura di me ho pensato solo a esprimermi con questo linguaggio. In generale, la tecnica viene per forza fuori, nel senso che sta lì; io non la vado mai a recuperare, sei hai studiato c’è già.
Mi dicevi che hai appena finito di girare un altro film
Ne ho appena finito uno con Dario Albertini,Anima bella, di Bibi Film. Li, ancora di più, si è trattato di un set documentario. Albertini viene da lì e si sente. Senza svelare troppo, ti dico che è stato tutto molto vero, anche per quanto riguarda il trucco e i dialoghi.
Possiamo dire che personaggio fai?
Sarò Rosalba. Anche qui avrò un piccolo accento, perché la storia è ambientata nella maremma laziale e anche in questo caso si tratterà di una comunità rurale non ben definita, in cui si aiutano tutti. Al contrario del film di Diritti, la vicinanza tra i personaggi è stata molto forte. La protagonista è una ragazzetta di cui sono la mamma acquisita.
Per te è un momento importate, due film d’autore uno dietro l’altro.
Sono fiera di me. Come sai non è facile, soprattutto per una donna, trovare qualcuno che creda in te. Però adesso vedo più coraggio, anche per la scelta di volti che mi sento di dire più veri. D’altronde, e sono gli altri che me lo dicono, ho lavorato con il gotha del cinema italiano, perché ho fatto degli esordi importanti, come quello di Alice Rorhwacher, in Corpo celeste.
Tu nel film facevi la zia delle protagonista. Eri irriconoscibile.
Ero la zia calabrese.
Cosa ricordi di quella esperienza?
Alice è un carro armato, è una donna che sa esattamente quello che vuole, è decisa nella vita così come sul set. Mi sentivo in ottime mani, ma forse ero un po’ impaurita, perché si trattava di un film importante. Anche lei non sorride mai sul set. Devo dire che ho lavorato con registi che le soddisfazioni le danno dopo, perché anche Munzi sul set di Anime nere era molto serio.
Attrici a cui ti ispiri?
Ti dico una cosa che forse non dice nessuna delle mie colleghe e cioè che non mi ispiro a nessuno se non a me stessa. Vado dove ci sono i miei limiti e li esploro nella consapevolezza che le esperienze della mia vita, soprattutto quelle più toste, mi hanno lasciato delle corde drammatiche che ho voglia di esprimere. Però, se dovessi rispondere, forse mi piacciono di più le francesi, su tutte IsabelleHuppert, e poi le facce che hanno voglia di trasformarsi, per cui Glenn Close e Marion Cotillard.
Registi preferiti?
Diritti,PupiAvati, e poi un mito con cui vorrei lavorare, e lui lo sa, che è MarcoBellocchio. E poi Garrone e Sorrentino e, ancora, i fratelli D’innocenzo che amo davvero tanto.
Anno: 2020
Durata: 120'
Distribuzione: 01 Distribution
Genere: Biografico
Nazionalita: Italia
Regia: Giorgio Diritti
Data di uscita: 04-March-2020
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