Film da Vedere

L’arte di vincere di Bennett Miller, con Brad Pitt

Basato sul libro Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game di Michael Lewis, L’arte di vincere è un esempio di come il cinema classico sia ancora il modo più efficace per raccontare gli uomini e le loro storie. Brad Pitt è perfetto nel tratteggiare i mezzi toni di uno spirito inquieto ma deciso

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L’arte di vincere (Moneyball), un film del 2011 diretto da Bennett Miller. Basato sul libro Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game di Michael Lewis sulla squadra di baseball Oakland Athletics e sul loro general manager Billy Beane, il film è stato candidato in sei categorie dei Premi Oscar 2012, tra cui miglior film, miglior attore per Brad Pitt e al miglior attore non protagonista per Jonah Hill. Il film ha guadagnato globalmente poco più di 110 milioni di dollari a fronte di un budget di 50 milioni. La pellicola ha ricevuto numerose recensioni positive da parte della critica, che ha elogiato in particolare l’interpretazione dei due attori protagonisti. Con Brad Pitt, Jonah Hill, Robin Wright, Philip Seymour Hoffman, Chris Pratt, Kathryn Morris.

Sinossi
Dopo aver giocato per molti anni tra le fila degli Oakland Athletics, Billy Beane (Brad Pitt) diviene il general manager della squadra di baseball che al momento langue economicamente. Intenzionato al raggiungere il miglior risultato con la minor spesa possibile, l’uomo elabora un rivoluzionario metodo per scegliere i giocatori da acquistare e inserire nella rosa da schierare in campo. Attraverso il ricorso a modelli matematici e statistici e l’aiuto di Peter Brand (Jonah Hill), Billy in poco tempo rivoluzionerà il modo del baseball, nonostante la diffidenza di chi lo ha preceduto e il timore di chi lo circonda.

La recensione di Taxi Drivers (Giovanna Ferrigno)

Non è il solito film americano. Sul baseball o sul football o sulla retorica dello sport e delle sue regole come metafora della vita. Neanche somigliante alle fangose maledette domeniche e alle trame ossessive di The Fan. Qui si entra da subito in una storia vera. Lo si percepisce dallo stile registico, dall’atmosfera, dalla luce che illumina le scenografie, da come si muovono gli attori all’interno di un contesto ricostruito in modo realistico, onesto. Primo su tutti Brad Pitt, che entra nel mondo di Billy Beane donandogli volto, anima e corpo. Nei suoi occhi si scorge un velo di malinconia, rimpianto, ma allo stesso tempo, e con medesima intensità, una forte voglia di riscatto e di cambiamento che non può fare a meno di palesarsi.

Beane, General Manager della Oakland Athletics, si ritrova a dover risollevare le sorti della sua squadra avendo, per l’ennesima volta, perso dei validi giocatori che sono stati comprati da altri club in cambio di contratti da milioni di dollari. A questo punto lo sconforto è tangibile, e ancora di più lo sono la rabbia e il senso di ingiustizia che lo guidano verso un processo di ricostruzione. Non solo della sua squadra, ma dell’intero sistema sportivo, del suo modo di pensare e di chi gli sta intorno. Beane si affida alla sua esperienza di ex giocatore, di ex marito, di padre, a tutte quelle situazioni della sua vita che l’hanno portato dove si trova ora, nel bene e nel male. I suoi alleati sono la creatività, la sua energia vitale, il coraggio di rischiare e l’intuizione che lo porta a riconoscere Peter Brand come suo futuro collaboratore.

Peter, interpretato dal brillante e imprevedibile Jonah Hill, giovane laureato in economia con un’intelligenza fuori dal comune e la passione per il baseball, mette in pratica analisi statistiche combinandole con tutti gli elementi necessari per conquistare effettivi risultati sul campo da gioco. Si rivela, così, una nuova visione delle dinamiche di squadra, una serie di calcoli matematici che, concretamente, avrebbero potuto portare l’Oakland A’s alla sua meta finale: la vittoria. Appaiono nuove prospettive e la generazione dei membri veterani prende immediatamente le distanze, anzi, accusa Billy e Peter di agire in modo avventato, di buttare all’aria tutto il lavoro compiuto dal vecchio team, di  aver messo in piedi una nuova formazione servendosi di un sistema immorale, un “fanta-baseball” basato solo su numeri suggeriti da un computer. In realtà, stava accadendo esattamente il contrario. Questi numeri corrispondevano a nomi di persone e alle loro abilità in campo: giocatori emarginati, fino a quel momento, dal mondo del baseball che, prima di cadere nel dimenticatoio a causa di difetti fisici o problematiche personali, avevano creduto in loro per poi essere abbandonati come un guanto usato. Billy Beane, a cui in passato era stato riservato un trattamento simile, offre a questi ragazzi una seconda possibilità. Un’occasione per rimettersi ancora in gioco, sia umanamente che atleticamente. Arrivare in base cambiando le regole, ricominciando non da zero, ma dalla propria volontà, dai propri errori, dagli ostacoli, dalle capacità che si hanno a disposizione, dal desiderio di vincere insito nell’essere umano. Il che rende il compito ancora più arduo dell’ordinario.

Altrettanto efficace dimostra di essere l’intera squadra a servizio della pellicola di Bennett Miller, ancora in odore di Oscar (6 le candidature agli Academy Awards 2012), che con Capote fece impugnare l’agognata statuetta d’oro a Philip Seymour Hoffman (qui nel ruolo dell’ostinato allenatore dell’Oakland A’s). Attraverso il montaggio di Christopher Tellefsen (Man on the moonGummoKids) ripercorriamo appieno la storia, dalle origini di Billy Beane fino ad arrivare ai giorni nostri, senza stacchi temporali spiazzanti o disturbanti, con un ritmo calmo, armonioso ed elegante. La colonna sonora del compositore canadese Mychael Danna (AraratRagazze interrotteTideland-il mondo capovolto) accompagna le immagini senza inutili enfatizzazioni e non scade mai nel melodrammatico. La solida sceneggiatura, basata sul libro di Michael Lewis, curata da Steven Zaillian (Schindler’s listRisvegliAmerican Gangster) e Aaron Sorkin (vincitore del premio Oscar per The Social Network), si esprime sia nel linguaggio verbale che nel non verbale, facendoci coinvolgere nelle ansie, nella ricerca di soluzioni, negli stati d’animo, nel groviglio di pensieri di ogni personaggio.

Buon lavoro anche da parte dei titolisti italiani, che traducono il titolo originale Moneyball , abbastanza freddo e distaccato in un altro più sincero e appropriato: L’arte di vincere.

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