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FESTIVAL DI CINEMA

31° Trieste Film Festival: Dušan Makavejev e W.R. – I misteri dell’organismo, film che fece scandalo nella Jugoslavia comunista

W.R. - I misteri dell'organismo di Dušan Makavejev proiettato al festival, assieme a un documentario sul caos generato qualche decennio fa, in Jugoslavia, da tale pellicola.

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L’Onda nera

L’irriverente regista serbo Dušan Makavejev è deceduto a Belgrado poco più di un anno fa, il 25 gennaio 2019. Avevamo parlato anche di lui, nel corso dell’intenso incontro avuto al Bergamo Film Meeting con Karpo Godina, altro grande cineasta legato a quella black wave yugoslava che, specie durante gli anni ’70, aveva saputo produrre autentici sconquassi nel panorama culturale omologato e piatto offerto dal paese socialista. Bella e condivisibile, quindi, la scelta degli organizzatori del 31° Trieste Film Festival, che a gennaio hanno voluto ricordare l’autore scomparso riproponendone quello che probabilmente resta il più scandaloso dei suoi film: W.R. – I misteri dell’organismo (W.R. – Misterije organizma, 1971). Pellicola che andò incontro a un destino paradossale: presentata alla 24ª edizione del Festival di Cannes nella Quinzaine des Réalisateurs, ottenne lì il Premio Luis Buñuel e una serie di importanti riconoscimenti in altri festival internazionali, per essere poi pesantemente osteggiata al rientro in patria, dove il regime si adoperò in ogni modo per bloccarne la distribuzione.

Istanze libertarie e censura comunista

A ben vedere si può cogliere qualche analogia con quanto accaduto in precedenza a Jerzy Skolimowski, nella Polonia comunista: il suo Mani in alto!, girato nel 1967, in virtù dei contenuti dissacranti aveva ugualmente incontrato l’ostracismo dei censori di regime, restando bloccato negli scaffali per anni e anni. Data la situazione, l’autore stesso aveva preferito espatriare e portare avanti la sua ricerca cinematografica all’estero.
Qualcosa di molto simile capiterà pure a Makavejev, in rotta con le autorità jugoslave e destinato a diventare un “giramondo”: portano la sua firma lungometraggi realizzati in svariati paesi, da Sweet Movie a Montenegro Tango, da Coca Cola Kid a Il gorilla fa il bagno a mezzogiorno. Facendo un piccolo passo indietro, cosa aveva W.R. – I misteri dell’organismo di così inaccettabile, agli occhi della dirigenza titina? Praticamente tutto, se si considera il carattere bigotto, conservativo e per nulla dialettico dell’ortodossia socialista. Un vero e proprio ordigno esplosivo con al suo interno satira, erotismo e punzecchiature politiche.
Rivista da poco a Trieste, la pellicola di Makavejev riesce ancora oggi a sorprendere per le sue geniali provocazioni, per quel carattere ibrido che odora di libertà tanto nella forma che nelle scelte tematiche, portate avanti tutte con spudoratezza e coraggio. Il punto di partenza è rappresentato dalla controversa figura di Wilhelm Reich, personaggio-chiave dall’appeal fortemente iconico, simbolico, in quanto ardito sperimentatore sul terreno sessuale, scampato con difficoltà alle paranoie e alle chiusure del blocco socialista, per cadere poi vittima delle non meno insidiose trappole di un’America post-bellica puritana e maccartista. I segmenti di natura para-documentaria a lui dedicati si alternano così a surreali parabole, in cui la finzione cinematografica si affaccia decostruendo, attraverso una storiella carica di eros e violenza, le simmetriche (e altrettanto sessuofobe) ipocrisie del socialismo reale. Fino a vestire con l’uniforme sovietica un terrificante, apparentemente affabile ma nel profondo sanguinario, prototipo di “fascista rosso”.

Processo alla libertà

Complementare alla riproposizione del capolavoro maledetto di Makavejev, funzionale alla creazione di un raffronto dalla forte valenza estetica e socio-politica, è stata poi la proiezione de Il caso Makavejev o Processo in una sala cinematografica, un recente documentario con cui Goran Radovanović ha fatto rivivere tale caso cinematografico in tutta la sua problematicità: all’epoca infatti la reazione delle autorità fu così allarmata che in una sala cinematografica di Novi Sad si tenne persino quel “processo giudiziario pubblico”, in cui alla proiezione della controversa pellicola seguì una serrata discussione tra professionisti del cinema e funzionari del Partito Comunista della quale non sarebbe dovuta rimanere traccia, ma che in forma semi-clandestina è giunta fino a noi.
Per quanto il servizio di sicurezza jugoslavo avesse severamente vietato di registrare l’incontro, con la complicità di Makavejev stesso un fonico riuscì rocambolescamente a introdurre quelle apparecchiature che catturarono l’audio del dibattito in cinque bobine. Il ritrovamento di tali tracce sonore rappresenta qui un sapido punto di partenza.
Da questo materiale a dir poco straordinario il documentarista è riuscito poi a trarre un apologo avvincente sul significato della censura, sulle libertà negate e sulle aporie di un’ideologia, la cui impronta bacchettona e poco incline al dialogo emerge inesorabilmente dall’andamento di una discussione, in cui a confrontarsi aspramente sono le voci di coloro che difesero il cineasta e quelle di chi invece preferì attaccarne il lavoro, definendolo “offensivo”, “scandaloso” e “anticomunista”. Anche questo, insomma, un contributo da non perdere, per tenere sempre a mente verso quali livelli di idiozia e conformismo possa spingersi una società condizionata dall’accecamento ideologico.

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