Sinossi. Gli anni piú belli di Gabriele Muccino: La storia di quattro amici, raccontata nell’arco di quarant’anni, dal 1980 ad oggi, dall’adolescenza all’età adulta.
Se LA FAMIGLIA era il riferimento più vicino di A CASA TUTTI BENE, film corale straordinario vincitore di un Nastro d’Argento, di un Ciak d’oro, di un premio Kineo e di un David di Donatello, GLI ANNI PIU’ BELLI resta sempre nell’ombra felice di Ettore Scola e cita dichiaratamente C’ERAVAMO TANTO AMATI, con il regista Gabriele Muccino che rimpasta i suoi legami familiari e di amicizia, in una storia che inizia negli anni ’80 e arriva ai giorni nostri, restituendo un bilancio non solo di una generazione ma di un intero paese.
C’è tutto l’universo mucciniano in questo lavoro ancora una volta corale: ci sono le urla, le rincorse, le isterie e gli eccessi del suo cinema che ormai sembra aver fatto del melò la cifra principale del suo stile.
Eppure, contrariamente all’ultimo A CASA TUTTI BENE, qualcosa ne GLI ANNI PIU’ BELLI sembra non funzionare a dovere. perchè se la prima parte fa fatica a prendere il ritmo, sembrando un lungo preambolo fuori tempo, mentre il secondo tempo riesce ad avere sequenze riuscite e momenti sul filo dell’emozione, è tutto il film a non riuscire a superare la soglia di guardia dell’osservatore: tutto sembra fin troppo studiato, ogni azione e reazione sembrano non avere spontaneità, la classica e doverosa sospensione dell’incredulità non arriva mai e gli elementi fondanti del cinema di Gabriele escono fuori come delle barriere che non fanno arrivare mai i personaggi alla loro sincerità emotiva.
E il melò mucciniano fatto di urla e strepiti si adagia su toni più morbidi, come se l’universo morale e poetico del regista avesse trovato un suo compimento, una sua maturità.
Eppure solo sul finale arrivano momenti di reale emozione, quando persino la colonna sonora fin troppo presente di Piovani prende le forme e le assonanze della commedia di Scola e i colori si scaldano accompagnando il trascorrere del tempo: peccato soprattutto per le pessime prove di Kim Rossi Stuart (forse uno dei pochi passi falsi di una carriera altrimenti brillante) e Micaela Ramazzotti, ormai segnata a fare sempre la bora.
Ottimo Claudio Santamaria… se non fosse per l’inguardabile parrucca.
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