Il dono di Giuliano Fratini è uno dei lavori cinematografici che stanno mantenendo vivo il ricordo del grande regista russo.
Testimonianze preziose
Una discreta circuitazione sta avendo in queste settimane il documentario Andrej Tarkovskij. Il cinema come preghiera, lirico omaggio del figlio Andrey A. Tarkovskiy al grande autore russo: sembrerebbe quindi che la poetica del regista di Solaris, L’infanzia di Ivan e tanti altri capolavori sia tornata, meritatamente, sotto i riflettori, anche in virtù del fatto che al 31° Trieste Film Festival è stato presentato fuori concorso un altro interessante lavoro.
Parliamo qui del documentario realizzato da Giuliano Fratini, studioso di cinema russo, ed intitolato Il dono, che si sofferma in realtà sul periodo delle riprese di Nostalghia e sulla successiva permanenza del Maestro in Italia. Una permanenza condizionata dall’atteggiamento ostile delle autorità sovietiche che ne avevano reso problematico il rientro in patria…
Due sguardi complementari
La biografia e le opere. Prosa e poesia. Se dell’altro film, Andrej Tarkovskij. Il cinema come preghiera, ci aveva colpito in primo luogo lo spessore poetico e filosofico, Il dono si concentra maggiormente sulle interviste, su una fitta aneddotica e sugli ambienti legati alla vita italiana del grande regista, regalandoci uno sguardo di sicuro più “prosaico” ma al contempo ricco e variegato.
Due visioni complementari, per certi versi, dalle quali grazie anche alla ricorrente presenza del figlio (autentico trait d’union: nel doc di Fratini ha messo comunque a disposizione ricordi personali intensi e sofferti) ci si può far cullare, lasciandosi trasportare da una ricerca che pone in ogni caso al centro la profonda umanità del personaggio in questione.
Accennavamo alla ricchezza delle interviste raccolte nel documentario visto a Trieste. Giuliano Fratini ha familiarità con alcuni nomi importanti del cinema sovietico, dal georgiano Marlen Chuciev all’uzbeko Ali Chamraev, che assieme a un altro autore di spicco come il polacco Krzysztof Zanussi hanno offerto un quadro ampio e dettagliato dei motivi che spinsero Tarkovskij a restare in Italia, accettando non senza un profondo travaglio interiore l’idea che la propria famiglia potesse restare temporaneamente divisa. Riguardo al mancato rientro in Russia vi è anzi una narrazione infarcita di situazioni da spy story, che ci ha persino ricordato la precedente defezione di Rudolf Nureyev così come la si rievocava, a livello di finzione cinematografica, nelle tesissime scene all’aeroporto di Nureyev – The White Crow.
Nostalghia e l’Italia
Da Roma alle terme di Bagno Vignoni, dal quieto borgo laziale di San Gregorio da Sassola dove aveva stabilito assieme alla moglie la propria dimora ai preparativi per girare Sacrificio in Svezia, Il dono esplora l’immaginario tarkovskiano dell’esilio, se così lo vogliamo definire, con dovizia di particolari e una certa intimità di vedute.
Grande tenerezza ispirano le testimonianze degli amici italiani e della gente più umile, intervistata in quegli ambienti di provincia dove Tarkovskij aveva scelto di vivere.
Ma c’è spazio anche per lampi di ironia, da parte del regista del documentario, vedi ad esempio il modo in cui viene introdotto l’opinabile punto di vista di un Roberto Formigoni il quale, di fronte alla videocamera, si era fatto bello dei trascorsi col Maestro russo e del tentativo da lui effettuato, scomodando in segreto addirittura Andreotti, di risolverne i problemi per via diplomatica: grazie ad un’accorta scelta di montaggio, il successivo intervento di qualcuno realmente vicino a Tarkovskij minimizzerà alquanto la portata, la bontà e soprattutto l’efficacia delle manovre attuate in tal senso dal discusso politicante nostrano.