«Prosegue il sodalizio tra Denzel Washington e Tony Scott che, con “Unstoppable”, arriva al quinto atto di una collaborazione artistica iniziata quindici anni fa con il war movie “Allarme rosso”».
Prosegue il sodalizio tra Denzel Washington e Tony Scott che, con Unstoppable, arriva al quinto atto di una collaborazione artistica iniziata quindici anni fa con il war movie Allarme rosso e proseguita grazie agli action dramaMan on Fire (2004), Dejà vu (2006) e Pelham 123 (2009). Una collaborazione, quella tra l’attore e il regista, premiata da un buon riscontro al box office, ma caratterizzata da frequenti alti e bassi dovuti alle imperfezioni riscontrate nelle pellicole con le quali si sono misurati. C’è da dire, però, che le debolezze evidenziate nei titoli sopraccitati non hanno nulla a che fare con le loro individualità e, di conseguenza, con il rispettivo apporto interpretativo e tecnico. Del resto, i film che li hanno visti protagonisti insieme, chi più e chi meno, sono riusciti a rimanere a galla grazie al loro lavoro davanti e dietro la macchina da presa. Unstoppable, in tal senso, non fa eccezione, anzi alimenta ancora l’idea che le colpe del mancato funzionamento dell’opera di turno non si possano minimamente attribuire a loro, bensì ai limiti narrativi, drammaturgici e soprattutto strutturali che caratterizzano in negativo la sceneggiatura. A testimonianza di questo basta pensare che ogni qual volta la coppia ha potuto contare su un script solido ed efficace, come nel caso di Allarme rosso, Man on Fire e in parte Dejà vu, i risultati si sono visti, al contrario di quanto accaduto con le ultime due performance.
Su l’ultima fatica di Tony Scott pesa infatti il fardello di una scrittura che fa acqua da tutte le parti, tanto da riuscire persino a mettere in crisi la messa in scena di un fatto realmente accaduto, quello che ha visto due uomini come tanti diventare eroi nazionali fermando in maniera pirotecnica un treno fuori controllo. Il risultato è un action ferroviario dalle venature drammatiche sul quale è meglio stendere un velo pietoso. La concatenazione degli eventi, almeno quanto la loro costruzione drammaturgica, non edifica le fondamenta concrete sulle quali poter imbastire un buon lavoro tecnico e stilistico. Se poi ci si mette anche uno zoppicante impianto dialogico a complicare le cose, allora la situazione non può che precipitare.
Washington, qui lontano anni luce dalle sue migliori interpretazioni (Hurricane, Philadelphia, Training Day, He Got Game, Glory e Malcom X solo per citarne qualcuna), e il resto del cast (convincente Rosario Dawson, un po’ meno Chris Pine) ce la mettono tutta per rendere quantomeno credibile un plot capace di trasformare un episodio tragico in una gigantesca farsa mediatica che sa di inverosimile ricostruzione televisiva.
Dall’altra parte, nemmeno la messa in quadro ‘sporca’ ed epilettica dalle tinte desaturate di Scott Junior basta a salvare l’intera baracca. Il cosiddetto “Scott’s Touch”, seppur presente nella seconda parte del film con discrete soluzioni visive (vedi ad esempio i carrelli semi-circolari a bordo del treno per dare ritmo ed enfasi ai dialoghi tra i protagonisti), supportate da un montaggio più convincente dal punto di vista della varietà delle scelte e della velocità degli stacchi, non riesce nel miracolo di occultare i limiti e le mancanze dello script firmato da Mark Bomback, senza alcun dubbio il tallone d’Achille di Unstoppable.