In Odio L’estate l’effetto straniante non riguarda solo il titolo, ma anche il contesto rappresentato dall’assolata estate italiana e dal suo variopinto gruppo di vacanzieri. Da spettatore immergersi in un contesto del genere nel pieno della stagione invernale è quantomeno spiazzante. Volevo chiederti se è un effetto a cui avevi pensato mentre giravi il film.
Si, certo, poi ovviamente sai che le uscite cinematografiche sono decise dalla distribuzione e, quindi, sapevamo che sarebbe arrivato nelle sale in questi giorni. Lo abbiamo immaginato ma, come dire, non faceva parte dell’idea di partenza. Sappiamo che c’è questa conseguenza, ma non ci dispiaceva, pensando che oggi vedere quella luce, quei colori e quei paesaggi aumenta il desiderio di trovarsi in quei luoghi e, dunque, dentro il film. Anche se poi, ti dico la verità, quando scrivo ragiono e cerco di immaginarmi la storia al di là della sua uscita nelle sale, oggi destinata a durare sempre meno. Al contrario, spero in una tenitura simile a quella degli altri film e, dunque, che si possa vedere in tutte le stagioni e per molto tempo. Dunque non l’ho scritto pensando all’uscita nelle sale.
La città vuota, i protagonisti pronti per le vacanze e poi la vista dei personaggi, sdraiati nei lettini e sotto gli ombrelloni, con l’azzurro del mare a fare da sfondo alla loro permanenza. Odio l’estate inizia e prosegue ricordando situazioni e luoghi della grande Commedia all’italiana. Rispetto al dinamismo e alla voglia di vivere presenti nel film di Risi, il tuo mostra una certa riluttanza a mettersi in moto per raggiungere il luogo di villeggiatura. Come se le difficoltà dei protagonisti fossero lo specchio di quelle – molto più grandi – vissute dal paese.
Non che non ci fosse questa componente anche nel cinema che hai citato. Ora, però, non mi metterei a parlare de Il sorpasso, non fosse altro per rispetto a Dino Risi, verso il quale ho già dato (ride, ndr), e poi perché parliamo di un film talmente inarrivabile che nessuno di noi ha mai pensato di avvicinarvisi, né a ricordalo.
Diciamo che per quanto riguarda le spiagge, l’estate e l’atmosfera abbiamo guardato a certi film anni ’50 e forse ’60. Quelli in bianco e nero del primo periodo avevano situazioni che in qualche modo hanno ispirato un po’ la messinscena. Mi riferisco, per esempio, alla spiaggia che abbiamo voluto un po’ rarefatta e fuori dal tempo, diversa da quelle di adesso.
Volevamo fare quel tipo di racconto e non una istant satira che a me non interessa molto. Al contrario, partendo dal richiamo del titolo alla canzone di Bruno Martino, desideravo unire quella musica a queste atmosfere. L’effetto si vede la prima volta in cui Aldo e sua moglie vanno in spiaggia. Le suggestioni richiamano i film di cui ti parlavo. In essi si mischiavano diversi stati d’animo, non soltanto quelli allegri e scherzosi tipici dell’estate. Del resto, la canzone che abbiamo scelto è emblematica di quanto sto dicendo.
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Nelle scene girate sulla marina il lavoro sulla luce dona al paesaggio una bellezza quasi irreale.
Sono contento che tu lo abbia notato. Quello è un lavoro che abbiamo fatto con una certa cura, a cominciare dall’ambientazione, scelta per favorire l’effetto controluce, nel momento in cui il sole sorge o è più alto. Con il direttore della fotografia abbiamo girato solo in determinati orari e nel complesso abbiamo messo particolare cura sulle piccole cose, quelle di cui talvolta ci si dimentica. Con Vittorio Omodei (direttore della fotografia, ndr) ci siamo divertiti nel dare alla spiaggia quel sapore, lavorando molto sulla luce.
Hai fatto riferimento alla scena in cui vediamo Aldo e Marina Di Biase seduti sotto l’ombrellone. Lì il risultato finale è dato anche dalla particolarità delle inquadrature, strette e tagliate e con un punto di vista un poco sbilanciato. L’esito non solo si discosta dal solito paesaggio da cartolina ma contribuisce a creare una zona di comfort meno esplicita di quella che ci si aspetterebbe in una situazione di quel genere.
Esatto. È stata una scelta e, dunque, sono felice se si nota e se funziona nel film, perché poi non c’è un modo giusto o sbagliato, ma c’è un racconto. Il mio lavoro è quello di mettere insieme tutte le possibilità di linguaggio per rendere l’atmosfera, il tono e il ritmo del racconto.
Se il racconto della famiglia in vacanza è uno dei temi preferiti da certa commedia nostrana di costume, quella in cui i protagonisti diventano un compendio caricaturale di vizi e lazzi dell’italiano medio, al contrario Odio L’estate lavora su sfumature e suggestioni che puntano al realismo dei sentimenti e, per esempio, a una malinconia che fa da contraltare alla leggerezza propria del genere in questione.
Qui non posso rispondere, ma solo ringraziarti per le tue parole. Casomai, devo ringraziare il produttore e il distributore perché per il momento stiamo parlando bene di un film che deve ancora uscire nelle sale. Nelle varie anteprime l’accoglienza della stampa è stata favorevole, però non era così scontato che un film comico o comunque interpretato da tre campioni della commedia potesse funzionare.
Quando un film è scritto bisogna anche saperselo immaginare, e in questo caso quella malinconia indolore presente a tratti nel corso del film, le sfumature e l’autenticità delle relazioni erano delle caratteristiche anomale rispetto alle aspettative e, quindi, non facili da accettare per chi ha in mente di investire soldi su quello che dovrebbe essere un blockbuster. Invece, io ho trovato complicità, collaborazione e comprensione e una fiducia che mi hanno permesso di fare il film come avevo in mente.
Penso sia una cosa rara ed è giusto ringraziare chi mi ha dato carta bianca, lasciandomi la possibilità di scegliere gli attori che mi sembravano più adatti, aiutandomi in tutti i modi ad ottenerli. Anche la scelta di Brunori Sas adesso sembra facile, perché oggi è primo in classifica, però un anno fa non era così e avere dalla tua un produttore che fa di tutto per fartelo avere è una dimostrazione di stima che non dimenticherò mai.
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Il film fa suo il momento di crisi economica senza le solite sottolineature da strapaese, ma attraverso un forte sentimento dell’umano. Guardandolo si respira lo spirito dei tempi, quindi ti volevo chiedere se mentre lo scrivevi avevi in mente questa finalità.
No, l’intento era di raccontare le relazioni tra queste persone, quelle che nascono dal caso e dagli imprevisti della vita. Volevo descrivere la mancanza di entusiasmo, la diffidenza, se vogliamo anche verso se stessi e, più in generale, una felicità oramai considerata impossibile da raggiungere, per cui “odio l’estate”, odio partire, niente mi interessa, può solo andare male, insomma, desideravo raccontare un momento della vita che a un certo punto tutti attraversano e di come le relazioni che oramai si possono ottenere solo casualmente siano il viatico per recuperare quel piacere che poi è un po’ il senso delle cose; quelle che sembrano piccole e insignificanti e che secondo me sono le più importanti.
Nel farlo ho cercato l’autenticità, perché mi piacciono i film realisti. Poi, certo, dentro questo quadro giochiamo nella speranza che il film faccia ridere, perché la storia presenta anche situazioni estreme, tipiche della commedia. Però, ecco, mi piaceva che tutto succedesse dentro la realtà e l’autenticità, per cui abbiamo lavorato su questa epoca, perché è ambientato nel 2020, sullo stato delle relazioni più che su quello della società.
Ci sono le sensazioni e, soprattutto, la stanchezza dei nostri giorni senza gli stereotipi con cui di solito queste si rappresentano.
Come dicevo all’inizio, penso ai film come a qualcosa che debba durare nel tempo. Per questo motivo è necessario che non raccontino solo un istante della vita delle persone, giocando su quello che sta succedendo in quel momento o in quella settimana, perché poi, come sappiamo, le cose cambiano in un batter d’occhio. Essendo un film ambientato nel presente della nostra epoca è logico che questa risuoni sulla storia, però ero più interessato a come oggi viviamo le relazioni tra le persone, nelle famiglie, sempre nell’augurio di fare un film popolare e leggero e senza pretendere di raccontare delle verità.
Però, di fatto, dai delle indicazioni, perché alla fine Odio l’estate mostra in che modo amicizia, amore e condivisione possano alleggerire il nostro malessere. Nel film i personaggi non vorrebbero stare insieme ma, essendovi costretti, si danno la possibilità di vincere le reciproche diffidenze: come a dire che con un po’ di buona volontà si riesce a trovare la maniera di superare certe diffidenze e di comunicare con i figli, con le mogli, con il vicino di casa.
Si, certo, questo è un film che racconta le cose che capitano alle persone e quanto sia bello far capire quello che succede ai personaggi. Noi, se non altro, dovremmo solo permetterci di farlo accadere, cosa che spesso ci impediamo di fare. Si tratta di una cosa che sentivo io per come sono, e poi pensando molto a loro, alla fase artistica e personale che stanno attraversando. Mi sembrava giusto raccontarlo con gli elementi che avevamo a portata di mano.
Che fase di carriera è per Aldo Giovanni e Giacomo quella attuale?
Ovviamente non posso entrare nella testa delle persone, oppure se lo faccio lo tengo per me, però posso dirti che è una fase artistica particolare perché dopo tanti anni c’era una certa stanchezza. Forse si cominciava a cogliere una certa sfiducia mentre io ho visto ancora presente in loro quella scintilla che a me piaceva tanto. Non parlo tanto della comicità ma piuttosto dell’umanità che Aldo, Giovani e Giacomo sono in grado di trasmettere; senza contare del loro rapporto con il pubblico che è molto affettuoso, diretto, quasi miracoloso; sono credibilissimi qualunque cosa facciano, tanto da arrivare a suscitare emozioni e non solo risate. Dunque, mi sembrava che partire da questa fase per raccontare un ritorno a un certo clima potesse essere il momento giusto anche per loro, come attori, per metterlo in scena.
Tra le tante sequenze che rappresentano la sintesi delle caratteristiche che dovrebbe avere una commedia vorrei soffermarmi su quella in cui i tre protagonisti, per un disguido dell’agenzia immobiliare, si ritrovano a essere affittuari della medesima abitazione. In un crescendo di ritmo e situazioni, estremizzi la realtà deformandola con equivoci, tormentoni, giochi di parole e non sense.
L’inserto a cui ti riferisci è la parte di commedia più classica che in un film con Aldo, Giovanni e Giacomo non puoi non fare, perché poi il pubblico la desidera. Poi, certo, lo spettatore vuole anche qualcos’altro, come per esempio lasciarsi andare all’emozione. Quindi abbiamo cercato di fare anche questo e la la casa è il luogo dove abbiamo concentrato le dinamiche comiche che hai descritto, di cui anche il personaggio di Michele Placido è parte integrante. Da questo punto di vista il suo ruolo ha una funzione importantissima.
La scena vive su un accumulo continuo di umori e stati d’animo stimolati dal succedersi dell’entrata in scena dei protagonisti, ognuno dei quali tenta di imporre all’altro le proprie ragioni. La ciliegina sulla torta però è la sua conclusione e il ridicolo che scaturisce nel vedere il personaggio di Giulia Mascino rivolgersi al computer di bordo della macchina per farsi dare il numero dei carabinieri.
Quelle che ho messo sono cose che davvero capitano nella vita di tutti i giorni. Ogni tanto ti capita di vederle e quando ti accorgi che stai parlando con una macchina non puoi fare a meno di ridere. È successo a tutti di rendersi ridicoli facendo delle gaffe, però i dettagli di quella scena sono osservazioni di cose buffe inserite per divertire il pubblico. Le reazioni dei vari nuclei famigliari ci sembravano un modo divertente di rappresentare differenti abitudini sociali.
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La sceneggiatura spinge sempre l’azione in avanti perché lungo il percorso compiuto dai personaggi disseminate qua e là dettagli che poi si rivelano decisivi per giustificare ciò che viene dopo. Oltre alla coerenza della struttura a guadagnarne è il ritmo della commedia.
È una caratteristica che ho notato anche io mentre scrivevamo. Forse a volte l’abbiamo cercata troppo, nel senso che c’è molto rapporto di causa effetto tra il prima e il dopo. Bisogna stare attenti a non esagerare con questa tecnica, perché è vero che ti fa andare veloce però a volte per migliorare il risultato ci sta anche rallentare un attimo per riflettere sul senso di quanto accade. L’abbiamo fatto poco in questo film, però mi sembra che alla fine il requisito l’abbiamo trovato. Come detto, mentre scrivevamo avevo la sensazione che fosse giusto fare, così siamo andati in quella direzione. Anche perché sapevo che poi avrei girato un lungometraggio meno roboante del solito. Volevo fare un film di sentimenti e relazioni, quindi avevo bisogno di una storia che scorresse veloce, altrimenti diventava una cosa troppo introspettiva.
Infatti, laddove a prevalere è la suggestione emotiva e i sentimenti, la trama li mette ogni volta di fronte a un fatto nuovo e, direi, a un nuovo viaggio da compiere. Parlando dei personaggi femminili mi sembra li abbiate scritti nell’intento di declinarne diverse tipologie, ma con la costante che ognuno di loro ha come scopo principale quello di dedicarsi alla famiglia. È per questo che nessuno di loro svolge una professione?
No, in realtà non è così. Di Lucia non si sa, cioè non vien detto alcunché a proposito, poi noi sceneggiatori sappiamo che invece ne ha uno (ride, ndr). È una cosa che ci siamo detti tra di noi ma che non traspare dal racconto. Di Carlotta Natoli conosciamo il suo lavoro di insegnante, mente per quanto riguarda Maria De Biase, è vero, non traspare nella sceneggiatura. Come sceneggiatori noi sappiamo che fa la cassiera da qualche parte, però nel film non è raccontato. Si è vero, abbaiamo lasciato questo vuoto e chissà se è un errore o se, inconsciamente, è stato meglio lasciare questo dubbio.
Odio L’estate è un film ricchissimo di facce e dunque di attori, perché, come si è detto, oltre ad Aldo Giovanni e Giacomo, ce ne sono di bravissimi. Avete scritto la storia pensando a loro tre o, viceversa, sono loro che si adattano ad essa?
Ovviamente, quando scrivi un film per Aldo Giovanni e Giacomo i personaggi sono delineati e sono loro. Io li conosco piuttosto bene e quindi il bello è lavorare su caratteristiche che gli appartengono, anche nella vita reale. Dunque, mentre scrivi pensi e parli come loro. Con le donne, invece, è stato diverso, ma devo dire che per Maria De Biase ho scritto il personaggio pensando a lei dal primo istante, senza che lei lo sapesse. Anche Lucia e Carlotta mi sono venute in mente quasi subito. Nel momento in cui i personaggi crescevano abbiamo subito visto i loro contorni e capito che quelle attrici erano perfette il ruolo. Abbiamo scelto interpreti che fossero giuste per i personaggi. Credo abbiamo fornito una prova molto efficace.
I personaggi hanno caratteristiche e personalità diverse ma finiscono per integrarsi all’unisono.
Il film cerca dapprima di sottolineare delle differenze che fanno ridere, creando conflitti e contrasti da cui nasce la commedia. Si tratta di diversità che sono la ricchezza delle relazioni, quelle in cui ci si aiuta e si offre all’altro quello che non ha. Quindi è proprio il gioco del film. In qualche modo anche Aldo Giovanni e Giacomo sono così e quindi abbiamo giocato su quello. La stessa cosa è successa anche per i ragazzi. Sabrina Martina e Davide Calgaro sembrano provenire da due pianeti diversi, però insieme stanno davvero bene.
Una nota a parte merita il maresciallo dei carabinieri che fa il verso al De Sica di Pane, Amore e Fantasia. Lo si conosce soprattutto per ruoli drammatici e invece tu gli dai modo di esprimere il suo talento di commediante.
Lui è l’unico che si possa permettere di fare una cosa del genere, poi con quel baffo cosa gli vuoi dire (ride, ndr). A parte tutto, Placido è un attore che ha tantissime corde e poi come regista è bravissimo: ho adorato molti i suoi lavori. Conosce questo mestiere come pochi, sa i toni da usare in un determinato momento. Il suo era un ruolo molto scritto e quindi è dovuto entrarvi dentro rispettando certi presupposti. È stato bravissimo a dargli una vita tutta di Michele Placido. Si sono incontrati il personaggio e la sua interpretazione facendone nascere un tipo umano adorabile.
La stima che nutro verso il tuo lavoro, e parlo anche della tua collaborazione con la Gialappa’s, mi portano a chiederti dello stato di salute della commedia italiana.
Mi sembra di poter dire che siamo in una fase felice, nel senso che c’è un evoluzione nel rapporto tra la commedia e chi la fa, ma anche con le persone che la producono. Questa stagione l’ha dimostrato in maniera netta con un fortissimo indirizzo che spero sia seguito dai produttori, perché sono loro che poi permettono ai progetti di diventare realtà. Rispetto al passato si fanno commedie meno prevedibili e identiche una all’altra.
Pensiamo a quella di Ficarra e Picone e a Checco Zalone, il quale, potendosi permettere di tutto, ha fatto un film diverso dai precedenti. In generale parlo di una strada, di una direzione. A prescindere dai gusti e dai pregiudizi – tenuto conto che io sono un super fan di Zalone, quindi per me è facile dirlo -, ciò dimostra la voglia di cambiare. Il pubblico apprezza reagendo in maniera netta e chiara al tipo di lavoro che si cerca di fare.
Poi penso a Paolo Virzì, che non è citato quando si parla di commedia e che, invece, ne è un maestro assoluto. Non è un caso se Zalone ha pensato a lui quando ha voluto fare un salto di qualità. La sua scelta ha davvero indicato a tutti noi la strada, almeno a quelli a cui piacciono un certo tipo di commedie. Nel nostro piccolo anche noi abbiamo faticato perché a suo tempo fare le commedie di Natale diverse da quelle più in voga era difficile.
Dunque, per risponderti, dico che ci sono cambiamenti in positivo e mi piacerebbe se la commedia diventasse sempre più d’autore. Ciò che ha fatto Zalone è un passo in quella direzione. Sento che in qualche modo ne ha preannunciato la svolta. Penso si tratti di un cambiamento positivo, mentre c’è ancora chi pensa a una diminuzione delle sue caratteristiche originali.
Per finire mi piacerebbe sapere che tipo di cinema guardi e magari quali sono i tuoi registi preferiti?
Mi spiace dare questa risposta perché sembra io voglia sfuggire la responsabilità di privilegiare una parte e diminuire l’altra, però la verità è che amo qualsiasi tipo di cinema. Poi se devo pensare a quello che mi piaceva da ragazzo e quindi a certi film che ti porti dietro tutta la vita, di sicuro il Neorealismo è in testa alle mie classifiche.
Da piccolo i miei genitori mi facevano vedere quei film quindi è logico che sia così. Adesso, avendo due bambini che stanno crescendo e hanno circa 10 anni, sto scoprendo il piacere di guardare il cinema insieme a loro. Quando gli ho fatto vedere ET, io che sono un fanatico della fantascienza, è stata una cosa meravigliosa.
La serata in cui abbiamo visto Green Book è stata stupenda perché poi quando c’è intelligenza e bellezza i bambini ne sono rapiti. In questa stagione paterna il cinema è anche un mezzo per mostrare il mondo ai miei figli.
Il film è distribuito da Medusa Film. In streaming su Netflix.
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