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Buio, l’interessante esordio nel lungometraggio di Emanuela Rossi

Presentato nella sezione autonoma Alice nella Città alla Festa del Cinema di Roma 2019, e vincitore del Premio ‘Raffaella Fioretta’, dedicato alla Miglior Opera Prima Italiana, Buio di Emanuela Rossi si è distinto per originalità, ottenendo grande successo

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Presentato nella sezione autonoma Alice nella Città alla Festa del Cinema di Roma 2019, e vincitore del Premio ‘Raffaella Fioretta’, dedicato alla Miglior Opera Prima Italiana, si è distinto per originalità, ottenendo grande successo, il film Buio, indipendente esordio al lungometraggio della regista e autrice Emanuela Rossi. Un’atmosfera rarefatta e misteriosa conduce lo spettatore, inizialmente, all’interno di una grande casa dove tre sorelle, Stella, Luce e Aria, vivono ‘recluse’ in una sorta di non-tempo e non-luogo post apocalittico, in sottomessa attesa del padre, che torna sporadicamente a casa portando con sé qualche ortaggio slavato per una parca cena, nel corso della quale regna il silenzio e si ascolta musica classica.

Le tre ragazzine, vestite da collegiali, smagrite e affamate, convinte che il sole fuori faccia male, hanno un vero e proprio culto del padre, specialmente Stella, la più grande, ed idealizzano il ricordo della madre, bionda e luminosa, finché un giorno Stella è costretta a uscire all’aria aperta, prima in giardino, poi per le strade. La progressiva scoperta di un mondo diverso da quello immaginato, dell’esistenza di altre luci, colori, suoni, dimensioni, porterà la ragazza a compiere un processo di autonomia e liberazione dai pericoli delle derive paternalistico-maschiliste e dalle credenze assolutiste in un’era post conflittuale e/o apocalittica, all’interno della quale, sembra dire la regista, già tutti ci troviamo senza saperlo, ma non per questo possiamo arrestare la nostra esistenza.

La nuova realtà rende la narrazione più dinamica, arricchendola di elementi di ‘vita vera’, come la scoperta del mondo del rap e degli artisti di strada da parte di Stella/Emanuela (molti e dichiarati gli elementi autobiografici inseriti dalla regista nella sua opera), che inizia a condurre una doppia vita a tutti gli effetti, tra il dentro e il fuori, tra la repressione e la libertà, tra il buio e la luce. Consapevolezza e ripresa psico-fisica andranno di pari passo nelle tre ragazze, mentre il thriller devia da un finale scontato e/o ipotizzato nel corso della visione, e vira ad evidenziare la scoperta di una speciale forma di guarigione.

Molto brave le giovani Denise Tantucci, Gaia Bocci ed Elisa Tosatto, e un gradito ed intenso ritorno quello del bravo Valerio Binasco, nel ruolo del padre. “Ho lavorato molto con le tre attrici adolescenti ha affermato la regista   ci tenevo che fossero ‘nella parte’, che capissero il senso di ciò che interpretavano: sono stata un’adolescente ribelle, cresciuta in una famiglia molto religiosa ed anch’io, come le ragazze protagoniste del film, avvertivo un senso di soffocamento, mi si diceva che il mondo fuori era da evitare, portava al peccato. Ispirandomi a Hitchcock e Lanthimos, mie fonti cinematografiche, ci tenevo a mettere al centro del film le tre sorelle in crescita, piuttosto che il padre, anche noi eravamo sei sorelle e la sorellanza ci ha aiutato”.

Un film di genere dunque, se si vuole cercare una definizione, ma non nel senso stretto del termine, piuttosto un ‘genere’ nuovo e d’autore, anzi d’autrice, dove lo sguardo è posato sulle tre adolescenti e sulla loro capacità di evolversi e trasformarsi.

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