Diretto nel 2017 da Dario Almerighi, il primo parte dalla figura di un imponente pregiudicato che, incarnato da Mino Bonini, esce di prigione. Prima che si passi alla brutalizzazione di due ragazze da parte di alcuni balordi in un bosco. Una circostanza che, in maniera evidente, richiama alla memoria la feroce situazione raccontata ne L’ultima casa a sinistra di Wes Craven.
Del resto, ispirato a fatti realmente accaduti, anche 42 – 66 – L’origine del male fa degli eccessi di barbarie il proprio fondamentale ingrediente.
Tanto che, immerso in una romanità verbale di borgata che suggerisce romanzi criminali assortiti, risulta anche facilmente accostabile al famigerato The last house on dead end street. Una vicenda a base di snuff movie e vendette, quest’ultima, che, realizzata nel 1977 da Roger Watkins, non ha mai avuto distribuzione in Italia.
Una vicenda disturbante e shockante, come quella raccontata in 42 – 66 – L’origine del male, che non ci va affatto leggero per quanto riguarda gli scempi. Non a caso, abbiamo nel mucchio una lingua strappata via per mezzo di una tenaglia e un trapano conficcato in bocca.
In omaggio sì al gore esagerato risalente agli anni Settanta, ma lasciando tranquillamente intuire anche altre influenze. Vi dicono nulla le produzioni tedesche più o meno casalinghe di fine secondo millennio di Olaf Ittenbach o Andreas Schnaas? Se apprezzate i loro The burning moon e Violent shit, non rimarrete delusi dal debutto almerighiano, tempestato di dita mozzate, mani inchiodate e viscere estirpate. Debutto reso disponibile su supporto dvd da Digitmovies, in collaborazione con Home Movies, nonché arricchito da diversi contenuti extra, a cominciare dal trailer. Sono infatti presenti circa diciannove minuti di reportage sulla lavorazione e i cortometraggi Sette colpi dell’assassino di Yari Pignotti e Inside, dello stesso Almerighi.
Le medesime due label che lanciano su disco digitale anche il secondo dei lungometraggi citati, concepito nel 2018 da Brace Beltempo. Ne sono protagoniste le quattro componenti di una band rock decise a girare un video musicale in una falegnameria abbandonata che fu teatro di omicidi e torture. Protagoniste che conosciamo appena superato l’avvio già all’insegna dello spargimento di liquido rosso e il cui pensiero principale sembra essere il sesso.
Perché, con vergine nella combriccola e la morte chiaramente dietro l’angolo, sono in maniera evidente gli stilemi dello slasher ad essere rispolverati. Lo slasher anni Ottanta, soprattutto, che annoverò anche storie a base di gruppi rock massacrati dai folli di turno, come Blood tracks – Sentieri di sangue. Non a caso, tra un dialogo e l’altro viene citato verbalmente anche Vicious Lips di Albert Pyun, scult appartenente proprio al decennio reaganiano.
E, in mezzo a una fellatio con testa mozzata e accettate durante un rapporto saffico, effetti speciali e fotografia si rivelano i maggiori pregi.
Fino all’ultima sequenza posta al termine dei titoli di coda di The carpenter’s house, anch’esso corredato di materiale aggiuntivo. Materiale comprendente il cortometraggio The tracklist, dello stesso Beltempo, il relativo trailer e quelli di Wild West Coast e P.O.E. 4 – The black cat. Tutti lavori che ha firmato il regista o che, comunque, lo hanno visto coinvolto. Come pure i videoclip di Fire dei There will be blood e Dead spider degli Slut machine, entrambi incluse nella colonna sonora del film.