Mi chiedo quando ti mancherò: intervista al regista Francesco Fei, che avevamo già apprezzato alla regia in Onde e Dentro Caravaggio.
Perché hai scelto questa storia da raccontare (tratta da un romanzo)?
Fondamentalmente per i contenuti della storia: un’adolescente che fa un percorso di vita che la porta a crescere fisicamente e psicologicamente rispetto a quello che le è accaduto in passato. Si tratta di un momento particolare. E mi stava molto a cuore raccontare la fine dell’adolescenza e l’assumersi le proprie responsabilità cercando di affermare i propri desideri. In più, qui, c’è anche una storia di bullismo e di un mondo ostile. E poi questa amica immaginaria che rappresenta una sorta di sorella maggiore.
Ed è proprio l’aspetto immaginifico che ha stimolato tantissimo la mia fantasia anche se poi l’amica immaginaria (che nel libro esiste ed è chiamata “la cicciona”) l’ho trattata in maniera realistica. Ma mi ha intrigato il giocare su quest’ambiguità a livello di narrazione e di regia, tanto da far sì che l’amica immaginaria venga compresa in modo e in momenti diversi da parte del pubblico. C’è chi lo capisce dopo i primi minuti e chi a metà film. Ma in generale il lungometraggio non è costruito per svelare quell’aspetto perché avevo altre priorità.
A livello di regia vorrei riflettere sull’insistenza, specialmente nella prima parte, di numerosi primi piani quasi come a volersi mettere ogni volta nei panni di uno dei personaggi coinvolti. C’è questa volontà di mostrare più aspetti in questo modo?
Non ho pianificato questa cosa, nel senso che il film è stato girato molto in funzione del testo e della recitazione. Non ho teorizzato queste cose, ma questa impressione, che condivido, è evidente nella prima parte perché è lì che si dedica più attenzione al passato della protagonista. Volevo evidenziare la diversa fisicità, anche espressiva, dei personaggi. C’era l’intenzione di raccontare lo stesso personaggio colto in due momenti diversi della sua esistenza: sofferenza (fisica e morale) e spavento. C’è stata una volontà, anche se non teorizzata di raccontare due momenti diversi dello stesso personaggio. E alla fine lo strumento più significativo del cinema per raccontare l’espressività di un personaggio è il primo piano. Nella seconda parte tende a scomparire il personaggio del passato e il film si apre sul contesto che la protagonista vive nel presente.
E infatti sempre nella prima parte del film ho notato un’attenzione a non mostrare il personaggio, sempre inquadrato di spalle, ma che poi si estende mostrando anche un paesaggio che da piccolo diventa vasto.
Il momento di passaggio è proprio la scena del traghetto ed è il momento in cui il film si apre al mondo. L’attenzione a non mostrare il personaggio rispecchia la psicologia e il carattere: da una parte abbiamo una persona in sofferenza della quale vediamo il passato e quello che subisce e, poi, contemporaneamente, abbiamo il suo presente, ma molto spaventato perché non sa dove andare. Quando attraversa il mare (che è anche una sorta di rito simbolico) decide di aprirsi al mondo. Inoltre c’è da dire che la prima parte è tutta girata a Milano, in spazi chiusi, mentre nella seconda c’è sia un paesaggio di mare che il circo on the road e, quindi, emotivamente il personaggio fa uno scarto.
C’è una scena che colpisce veramente e che, secondo me, si può considerare un altro momento di svolta: quella nella quale l’amica immaginaria inizia ad accanirsi e quasi distruggere violentemente un pollo invitando Amanda a fare la stessa cosa. Grazie anche ad un gioco con la macchina da presa e con le luci e le ombre sembra quasi che inizialmente il pollo sia un pezzo di “grasso”, un pezzo della vecchia Amanda e del quale la ragazza vuole cercare di liberarsi. Come è stata pensata la scena? Ha effettivamente questa valenza?
Non l’avevo pensata in questo modo ed è bello che possa sembrare anche questo. Io, in realtà, ci vedo la rabbia di accanirsi su qualcosa che non poteva essere un pezzo di legno, ma doveva essere qualcosa di fisico perché comunque quello che “la cicciona” la sta invitando a fare è qualcosa di duro e fisico. Per me, quindi, il pollo aveva una valenza di forza fisica per aumentare la durezza di questo passaggio e dargli una notevole importanza.
Perché questo è un aspetto che si lega alla particolarità del film, cioè il fatto di non essere politicamente corretto. Si sta raccontando una persona che, per quanto bullizzata, fa comunque un gesto forte e violento. Il passaggio fondamentale è che lei alla fine si assume le proprie responsabilità. Il pollo, insieme alle luci che sembrano far sfociare quasi nell’horror, servivano per evidenziare e preparare il gesto che lei farà. Questo perché non si tratta di un gesto scontato. Siamo abituati, nei film, a vedere che le persone che soffrono subiscono, poi, crescendo, superano automaticamente i propri traumi.
Un’altra scena emblematica a tal proposito è quella del tuffo/volo preceduto dalla frase “ho paura di volare”. Nonostante questa affermazione la giovane, poi, riesce a trovare il coraggio. E’ anche questo un momento chiave e un momento di svolta importante (non a caso dopo rivelerà il suo vero nome)?
Al cinema le cose che colpiscono di più non sono le parole, ma le azioni. Avevamo bisogno, per raccontare questa crescita e questo percorso, di qualcosa di attivo. Il personaggio deve fare qualcosa che racconti la sua crescita. Ed è una cosa che succede anche nella vita. Quindi abbiamo condensato in una scena quello che nel libro era diluito in più tempo. E abbiamo anche dovuto modificare alcune cose, come, ad esempio, il fatto che nel libro si trattasse di un circo di animali con le tipiche dinamiche.
Niente sembra lasciato al caso perché un altro elemento interessante al quale prestare attenzione sono le pareti che circondano Amanda, nella parte finale del film, che sono tinteggiate di rosso. Ma la vernice non è uniforme, sembra come scagliata sulla parete. E il fatto che sia proprio rosso è un caso o è volutamente un richiamo a qualcosa?
Nel posto dove abbiamo girato c’erano già dei segni e io ho voluto proprio quel rosso perché secondo me era simbolico. Doveva essere una sorta di prova, nel muro, di quello che “la cicciona” costringe a fare. Doveva, quindi, averlo di fronte, riuscire a superarlo e andare oltre. In un certo senso doveva essere un elemento che raccontava qualcosa e poteva richiamare all’idea dello “sfregiamento”. In realtà tutta la seconda parte ha delle atmosfere cupe perché è il momento in cui le due ragazze si stanno lasciando. E’ un momento di passaggio molto forte dove vengono anche dette delle parole pesanti, anche se poi ci sarà la pacificazione finale.
E comunque c’è da ricordare che “la cicciona” è in realtà Amanda e, quindi, per superarla non può litigarci. Lei, alla fine, combatte con se stessa. E inevitabilmente la loro separazione doveva essere tempestosa. Quello che mi piace sottolineare è che, con questo film, siamo riusciti a parlare di un tema importante, ma molto cupo e comunque con un messaggio positivo, seppur nella durezza e nella difficoltà. E vorrei citare le parole dell’attrice Claudia Marsicano che, in un’intervista, ha detto “nessuno ci dice che l’adolescenza a un certo punto finisce e la sofferenza si ferma, dal momento che noi, quando siamo adolescenti, soffriamo tantissimo pensando che sia eterna. In realtà non è così perché l’adolescenza finisce”. Non ho voluto calcare troppo la mano perché se lo avessi fatto sarebbe rimasto probabilmente solo come un film sul bullismo.
Una domanda sulla scelta dei personaggi e soprattutto del carattere delle due giovani. Ti sei basato solo ed esclusivamente sul romanzo o hai cercato di inserire tratti tipici degli adolescenti di oggi?
Il libro è del 2003, ma, ad esempio, non compare nemmeno un cellulare. Volevo che si sentisse la realtà di oggi, ma senza calcare la mano e, quindi, le influenze sono soprattutto del presente. Ma più che altro l’influenza maggiore è stata quella di Claudia che è attrice, ma che si porta dietro anche un peso vero e proprio. Da questo punto di vista posso dire di aver avuto molta ispirazione da Claudia. E poi voglio sottolineare che le due attrici hanno legato molto. Claudia ha portato una fisicità reale e Beatrice Grannò ha portato una grande tecnica di cui avevamo bisogno anche per un discorso di assenza di tempo, il tutto mantenendo la spontaneità. E spero che questo aspetto si possa percepire anche quando il film uscirà al cinema il 7 Maggio con Istituto Luce.