Schindler’s List è un film del 1993 diretto da Steven Spielberg, interpretato da Liam Neeson, Ben Kingsley e Ralph Fiennes e dedicato al tema della Shoah.
Com’è nato Schindler’s List
Ispirata al romanzo La lista di Schindler di Thomas Keneally e basata sulla vera storia di Oskar Schindler, la pellicola permise a Spielberg di raggiungere la definitiva consacrazione tra i grandi registi, ricevendo ben 12 nomination agli Oscar e vincendo 7 statuette, tra cui quelle per il miglior film e la miglior regia. Con un budget stimato attorno ai 22 milioni di dollari, la pellicola è riuscita ad incassarne negli U.S.A. circa 96, mentre globalmente 321, risultando così il 9° maggior incasso USA e il 4° maggior incasso globale dell’anno 1993, mentre in Europa ha riscosso un incasso di ben 143 milioni. Il regista Spielberg però dichiarò di aver rifiutato, per rispetto, il suo compenso personale A seguito dell’enorme interesse suscitato, Spielberg utilizzò parte degli incassi per creare la Survivors of the Shoah Visual History Foundation, organizzazione no-profit per la collezione audio-video delle testimonianze di circa cinquantaduemila sopravvissuti. Alcune di queste interviste compaiono nei contenuti extra del DVD di Schindler’s List.
La trama di Schindler’s List
Oskar Schindler, di origine morava, arriva nel 1939 a Cracovia con l’intenzione di arricchirsi sfruttando gli ebrei in una fabbrica di vasellame. Ma, colpito dalla ferocia nazista, decide di “giocare” una pericolosa avventura: salvare i suoi operai dallo sterminio. Si ridurrà in miseria, ma, per merito suo, più di mille israeliti, destinati ai campi di stermino, sopravvivranno alla guerra.
Dalla carta allo schermo
Tratto dal libro di Thomas Keneally, Schindler’s List è la vera storia di Oscar Schindler, industriale tedesco, che nel 1938 capisce che è bene legarsi ai comandanti militari. Li frequenta nei locali notturni, offre bottiglie preziose. Quando gli ebrei sono relegati nel ghetto di Cracovia Schindler riesce a farsene assegnare alcune centinaia come operai in una fabbrica di pentole. All’inizio sembra sfruttarli, in realtà li salva. Di fronte alla persecuzione tremenda, il tedesco trasforma quella sua prima iniziativa in una vera missione, fino a comprare letteralmente le vite di quasi milleduecento ebrei (la famosa lista) che sicuramente morirebbero nel campo di Auschwitz.
La memoria di una catastrofe
Film concepito e costruito per essere definitivo, come memoria, opera d’arte e documento. La qualità cinematografica è altissima, del resto nessuno ne avrebbe dubitato conoscendo le attitudini di Steven Spielberg. L’impressione in chi vede il film è profonda, molto studiata è la mediazione fra il cuore e il pensiero. Il regista ha usato il bianco e nero ispirandosi ai documentari dell’epoca nelle sequenze corali e alle immagini espressioniste nelle scene private.
Ci sono momenti straordinari, come l’attacco al ghetto di Cracovia e alcuni episodi del campo di concentramento. Quando “tocca” Auschwitz e deve sintetizzare in pochi momenti, al regista basta mostrare il grande fumaiolo nella notte per far capire tutto. C’è anche una piccola licenza squisitamente cinematografica, quando vediamo una bambina che riesce a salvarsi dalla strage del ghetto e poi la troviamo morta su un carro nel campo: per farla riconoscere le è stato colorato il cappottino di rosso pallido.
Un’opera praticamente impeccabile
Trattandosi di uno dei più importanti cineasti contemporanei, capace di muovere il costume, è doveroso essere severi.
Ma è davvero difficile essere critici. Si può parlare di troppa Hollywood presente, nonostante il tentativo di nasconderlo (certo, Spielberg non è Rossellini). E si può parlare di troppa pianificazione, anche strumentale. Con tanto movimento come si sarebbe potuta negare a Spielberg una bella messe di Oscar? Infatti ne ha raccolti sette, compresi i due maggiori, al film e alla regia.
Ma ribadiamo: è un film che “rimarrà”. Sebbene gli si possa rimproverare di aver indugiato con lo sguardo sull’orrore, di averne praticato quasi una cosmesi ai fini di una spettacolarizzazione in grado di fare presa su un pubblico più vasto possibile. Noi, tanto per essere chiari, gli preferiamo il ben più pudico, dal punto di vista etico ed estetico, Il figlio di Saul di László Nemes.
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