Emozioni brevi, ma non troppo
Dal 1998 il Trieste Film Festival ospita anche un nutrito Concorso Cortometraggi. E, stando al palmares ufficiale, non è la prima volta che tale competizione vede trionfare una produzione bielorussa: era già capitato nel 2002 con il bucolico We are Living on the Edge (My zivjom na kraju) di Victor Asliuk. Per quanto riguarda poi l’interessante selezione di corti curata quest’anno da Tiziana Ciancetta e Patrizia Pepi Gioffrè, oltre a prendere nota di un’analoga ambientazione in campagna, abbiamo ravvisato nel vincitore Lake of Happines un dato statistico tanto semplice quanto emblematico: la durata di circa 30 minuti, che ne fa il più lungo tra i corti in concorso. Mezz’ora ben spesa, comunque, perché il regista Aliaksei Paluyan in tale lasso di tempo è riuscito ad abbozzare una storia toccante, profonda, ancorata al carattere rivelatore delle azioni e alla potenza delle immagini più che alla parola.
Un premio meritato
Al magnetico Lake of Happiness del bielorusso Aliaksei Paluyan è stato così assegnato, meritatamente, il Premio Fondazione Osiride Brovedani. Uno dei pregi del corto vincitore di questo 31° Trieste film Festival è senz’altro l’equilibrio tra contenuti sociali di una certa rilevanza ed aspetti formali parimenti curati, a partire dal valore fortemente iconico di determinate inquadrature, dalla sobria eleganza dei raccordi narrativi e da una simbiosi pressoché perfetta tra personaggi umani e paesaggio.
Volendo sintetizzare il racconto, reso ancor più asciutto dalla rarefazione dei dialoghi, un piccolo villaggio bielorusso è per la protagonista Jasja l’anticamera di turbolenti stati d’animo, dovuti al fatto che con la morte della madre suo padre intende lasciarla in orfanotrofio. Per inciso, pare che in Bielorussia sia questo purtroppo il destino di parecchi bambini, che vivono in aree depresse e contesti famigliari difficili. Ma la piccola Jasja da quel posto a lei così estraneo vorrebbe tornare a casa. E la sua fuga, agreste anabasi costellata di piccoli ma significativi incontri, si tinge pertanto di un malinconico lirismo, in cui anche allestire un rudimentale tavolo da ping pong per giocare con altri bambini può assumere fieri significati catartici.